Dall’esclusione alla negazione sociale: un anno di Daspo urbano
- gennaio 05, 2018
- in divieti, fogli di via, misure repressive, riflessioni
- Edit
Un primo bilancio sull’applicazione del Daspo urbano e delle misure sulla sicurezza che stanno trasformando le città italiane in luoghi di controllo ed espulsione per i poveri.
a cura di Carmen Pisanello
Il 31 Dicembre alcuni importanti quotidiani italiani hanno riportato i dati diffusi dal Viminale su migranti e sicurezza [1] . Si tratta soprattutto di dati su accoglienza e espulsioni che è possibile trovare sul sito del viminale. Sul versante sicurezza sia Repubblica [2] che Il Sole 24 Ore [3] hanno riportato lo stesso laconico righino “i dati del ministero dell’Interno dicono che il Daspo urbano è stato adottato quest’anno in 465 casi, era già in vigore in 270, per un totale di 735” un dato che però non è stato possibile riscontrare sul sito del Viminale.
Un’informazione difficile da interpretare poiché il daspo urbano, tecnicamente, non esiste. “Daspo urbano” è un termine giornalistico utilizzato per spiegare le nuove misure introdotte dal Decreto legge del 20 febbraio 2017, ( D.L. 14/2017 ) meglio noto come Decreto Minniti. Le nuove “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città” hanno introdotto nell’ordinamento italiano nuovi provvedimenti amministrativi di polizia: l’ordine di allontanamento, di competenza delle Forze dell’ordine, e due diverse tipologie di divieto di accesso, emanate dal questore.
L’ordine di allontanamento, detto anche “mini-daspo” è un provvedimento amministrativo preventivo-cautelare e può essere imposto da tutti gli appartenenti alle Forze dell’ordine anche prive della qualifica di agente di pubblica sicurezza. L’allontanamento della durata di 48 ore può essere così impartito anche dagli appartenenti alle Polizie locali e deve limitarsi a vietare la circolazione o lo stazionamento in una zona ben delimitata.
Il Divieto di Accesso Urbano (c.d. D.AC.UR.) è ciò a cui generalmente ci si riferisce con la dicitura “Daspo urbano”. Si tratta di un divieto di accesso della durata di sei mesi, che può estendersi sino ai due anni nel caso in cui il destinatario non abbia una fedina penale immacolata. Il divieto di accesso viene emanato dal questore in caso di “reiterazione delle condotte che impediscono l’accessibilità e la fruizione di infrastrutture urbane”, può essere emanato relativamente ad una o più aree che devono essere espressamente specificate e dunque precedentemente individuate attraverso una delibera comunale. Considerando che molti capoluoghi hanno deliberato solo recentissimamente sulle zone “a rischio daspo” e che molti non lo hanno ancora fatto, si può affermare senza grossi dubbi che il reale impatto di queste misure sui territori è ancora tutto da verificare.
In base a questi dati sarebbe possibile supporre che i 465 “daspo urbani” emanati quest’anno si riferiscano esclusivamente ai divieti di accesso urbano. Sorge spontaneo il dubbio di quali siano i 270 casi già in vigore, trattandosi di uno strumento assolutamente nuovo a disposizione delle polizie. Fino al febbraio dello scorso anno infatti, le uniche (se vi sembrano poche) misure di prevenzione amministrativa con disposizione di allontanamento erano il foglio di via e naturalmente il D.a.spo oltre che l’ordine di allontanamento dello straniero previsto dal testo unico sull’Immigrazione. Con il D.ac.ur. per la prima volta è possibile limitare la libera circolazione anche di cittadini regolarmente residenti. Ma di che tipo di cittadini stiamo parlando? Dopo la femminilizzazione del lavoro, stiamo assistendo a una “migrantizzazione” della cittadinanza?
Nonostante l’assenza di dati certi da parte delle questure e dalle polizie locali, per rispondere a queste domande abbiamo messo in campo una ricerca a mezzo stampa, che ci fornisce un dato parziale ma senza dubbio un campione indicativo di come i comuni hanno applicato la nuova misura a disposizione, con quali differenze geografiche e di soggettività coinvolte. Governi e polizie locali, ansiose di comunicare i risultati raggiunti nella “lotta al degrado”, hanno fornito sufficienti dati da poterci fare un’idea piuttosto chiara dell’applicazione del “daspo urbano” attraverso i giornali locali.
Sui giornali locali italiani infatti sono stati segnalati almeno 679 decreti di allontanamento fra daspo e mini daspo. Considerando che si tratta di una ricerca a mezzo stampa e che i giornali hanno dato rilevanza all’argomento solo con le prime applicazioni della misura o riportando i dati forniti dalle stesse polizie locali probabilmente parliamo di numeri anche parecchio più elevati. In particolare i “mini daspo” non essendo emanati dal questore possono essere emanati in maniera molto più ingente e discrezionale tale da salire difficilmente all’occhio dei giornalisti a meno che non sia stata la stessa polizia locale a fornire i verbali a riprova dell’ “ottimo lavoro svolto”.
Considerando che la misura deve ancora essere adottata dalla totalità dei comuni italiani potremmo aspettarci che i cittadini (residenti e non) “daspabili” nell’arco del 2018 siano nell’ordine delle migliaia. A questi numeri va aggiunto l’ingente numero di sanzioni amministrative che sono state inflitte dai “nuclei antidegrado” (o “pattuglie antidegrado”) costituitesi negli ultimi anni nei corpi di polizia. Questi nuclei, per i quali sono state disposte numerose nuove assunzioni da parte del ministero, sopperiscono alle disposizioni delle nuove ordinanze comunali riguardo la “difesa del decoro urbano” e la tutela dell’ordine pubblico nei centri cittadini. Le ordinanze a tutela del decoro non sono una novità, ma sono già state promulgate da sindaci di ogni colore politico a partire dal 2008. Una delle più recentemente note è l’ordinanza “anti-clochard” firmata dal sindaco di Como [4] , alla quale l’ordinanza anti mendicanti scritta da Renzi nel 2009 (quando era sindaco di Firenze) non ha nulla da invidiare. Ma quello che sta accadendo in questi mesi è una vera e propria ondata di multe, foraggiata da sindaci sceriffi e forze dell’ordine incitate a contrastare chiunque assuma condotte ritenute illecite. Condotte che vanno dai cosiddetti “atti osceni in luogo pubblico” al bivacco, al semplice consumo di bevande. Nel mirino quindi senza dubbio i poveri e i clochard, ma non solo. A Cairo Montenotte in provincia di Savona, due ragazzine di quattordici anni sorprese dai vigili urbani su delle giostre vietate ai maggiori di dodici anni hanno rimediato una multa di 340 euro [5] a testa.
L’isteria securitaria applicata nei piccolissimi comuni del nord Italia dove accade poco o nulla di realmente pericoloso porta alla repressione anche delle più piccole forme di illegalità, con conseguenze davvero sproporzionate rispetto alla gravità del fatto (che ricordiamo non può essere nemmeno definito reato). Così a balzare agli onori della cronaca finiscono pericolosi fruttivendoli abusivi: «La squadra di vigili anti-degrado ha sgomberato il camion e sequestrato la merce del fruttivendolo abusivo (…) È il primo risultato illustrato dall’assessore Garassino stasera al termine della giornata di controlli straordinari che hanno interessato la zona del centro storico [6] » o pericolosissime ragazze che urinano in strada con immancabile foto di mutandine abbassate annessa, e dovizia di particolari possibilmente pornografici mimetizzati fra lo scandalo dei passanti. La nuova dottrina del decoro, riproduce una sorta di meccanismo di “esibizionismo morale”. Un esibizionismo che è pornografico proprio come lo è l’industria del porno descritta dagli studi femministi, ovvero con il preciso intento di essere esibita e vista, con amplessi programmati che devono essere estremamente ripetitivi, meccanici, uniformi. Affinché l’epopea della pubblica sicurezza possa essere consumata e utilizzata «la parola e l’azione securitarie devono essere metodicamente messe in scena, esagerate, drammatizzate, persino ritualizzate» scriveva il sociologo Loic Wacquant [7]e, dunque, particolarmente prevedibili in modo da soddisfare le esigenze dello spettatore medio, alimentandone le paure, ma incanalandone la rabbia, senza lasciare spazio alla riflessione.
Così, in base a una certa perversione geograficamente collocata i daspo colpiscono soggettività diverse. Ad esempio mentre al sud si applica il daspo con più timidezza, riservandolo agli odiati parcheggiatori abusivi, nel nord Italia l’ubriachezza e i comportamenti cosidetti “antisociali” sono fra le principali cause dell’utilizzo del daspo. Non sono i pochi i casi in cui i daspati sono persone con problemi psichici o di dipendenza dall’alcool. Spesso si tratta di anziani o di giovanissimi. Allontanati dai propri stessi quartieri, queste persone reiterando il loro “comportamento antisociale” rischiano il TSO, la galera o nel caso dei migranti, il rimpatrio. Alcuni di essi, come ad esempio le persone di etnia rom, sono daspabili per il semplice fatto di esistere, poiché il loro stile di vita non corrisponde a precetti e ordinanze a difesa del decoro.
Inutile dire che in genere queste misure securitarie aprono la strada alle rivendicazioni dei gruppi di estrema destra. A Vicenza l’estrema destra ha divulgato un comunicato contro l’amministrazione comunale colpevole di aver trattato con mano troppo morbida i parcheggiatori abusivi «Al riapparire di parcheggiatori abusivi e molestatori, siamo pronti a mettere nuovamente in campo i nostri militanti per un’azione decisa [8]». A rischio sono anche gli agenti della polizia locale, che per mettere in atto misure fortemente liberticide sono sempre più spesso vittime di aggressioni. Naturalmente a rischiare più di tutti sono i migranti e le migranti, i più daspati in assoluto da Roma in su, potenzialmente rimpatriabili con un paio di segnalazioni per commercio abusivo, per accattonaggio, per prostituzione. Sfruttati da un sistema che non gli riconosce alcun tipo di diritto e poi espulsi nel tripudio perbenista. Perbenismo che attenzione potrebbe colpire proprio chiunque: non mancano le multe per fumo nei parchi, per aver praticato la giocoleria agli angoli delle strade, per aver utilizzato fontanelle come lavatoi, o come accaduto a Como ma in molte altre città per aver aiutato i poveri, storie di elemosine, cappelli e coperte messi sotto sequestro.
Quello che sta accadendo sotto i nostri occhi, nelle nostre città, non è una serie di fenomeni slegati, ma è proprio uno spostamento di immaginario della vita comune e del concetto stesso di umanità. Le nostre città sono popolate da persone che non vengono riconosciute in quanto tali, che non sono degne di assistenza e restano invisibili, fino a quando non intralciano il cammino dei flussi economici e turistici. In quel caso vengono allontanate con ogni tipo di strumento, anche architettonico. Le nuove città “smart” sono costruite con elementi di “arredo urbano funzionale” ovvero anti-povero. Sbarre sulle panchine, dissuasori contro il bivacco, uomini e donne scacciati come se fossero piccioni, esistenze vessate, negate, recluse. Sono queste le caratteristiche delle società neoliberiste, in cui le politiche sociali e di sostegno alle povertà vengono totalmente abdicate in favore delle decisioni prese dalle istituzioni fiscali internazionali e dei pareggi di bilancio. Ai governi nazionali non resta che gestire l’enorme disagio sociale che ne consegue solo in termini di ordine pubblico e con le gravi conseguenze che già conosciamo. Ci aspetta un futuro in cui una parte della società potrebbe venire non solo esclusa, ma negata in tutta la sua interezza e umanità. Per disinnescare questo meccanismo disumanizzante, bisogna partire proprio dalla solidarietà e dal riconoscimento di ognuna di queste soggettività marginalizzate come parte integrante e umanissima delle nostre città.
Fonte: Non Solo Marange