Un governo in smobilitazione manda gli auguri di buon Natale annunciando la nuova missione dei soldati italiani in Niger. Un’operazione che puzza tanto di neocolonialismo
La volpe perde il pelo ma non il vizio. La saggezza latina aveva tradotto così la difficoltà, a volte insuperabile, ad operare cambiamenti significativi di comportamento. Tripoli e il bel suono d’amore fu inventato e cantato prima della conquista libica nel 1911. Passato al setaccio il testo conteneva in nuce gli ingredienti che il fascismo avrebbe portato a compimento con radicale ferocia in Libia e Etiopia in particolare. Da Niamey a Tripoli il viaggio è lungo, accidentato e adesso quasi proibito dalle circostanze avverse. Da Agadez si transita a Dirkou e poi a Madama, antico fortino francese rivisto e corretto da un aeroporto di sabbia che ospita velivoli dell’operazione Barkhane, basata nella capitale del Tchad. Il confine con la Libia non è lontano e un tempo arrivare a Tripoli era un gioco da commercianti.
Il bel suon d’amore ricordava che quanto prima avrebbe dovuto sventolare il Tricolore sulle torri, al rombo dei cannoni, naviga o corazzata, benigno è il vento e dolce la stagion, Tripoli, terra incantata, sarai italiana al rombo del cannon. Il rombo del cannon, tanto per mettere in chiaro le cose, è ripetuto sei volte. Va’ e spera soldato, Vittoria è colà… Hai teco l’Italia, che gridati: Va’! Non si tratta dell’inno alla nazionale esclusa peraltro dai mondiali di calcio, quanto dell’inno alla conquista coloniale in seguito allo sfaldamento dell’impero ottomano. Sul mar che ci lega, coll’Africa d’or, la stella d’Italia, ci addita un tesor.
Nel frattempo il mare è un cimitero non ancora battezzato. Mentre i vari giacimenti d’oro del Niger e dintorni sono stati chiusi ai cercatori per timore che i migranti usino l’oro per pagarsi il resto del viaggio. Tutti concordi col patto firmato tra i due ministri della difesa, l’italiana Roberta Pinotti e il nigerino Kalla Moutari. Per il parlamento italiano in fase di smobilitazione e con gli occhi perduti sulle prossime elezioni, approvare l’invio dei militari italiani nel Niger assomiglia ad una partita truccata. Neppure gli ultimi ritrovati della tecnica arbitrale potranno fermare il corso della storia. Era scritto sulla sabbia che l’Italia, col Tricolore dal far sventolare sulle dune mobili del deserto era destinata a far risuonare il rombo dei cannoni, o in cambio quello dei camion e dei carri per rallegrare il triste silenzio del deserto dei nomadi.
L’articolo 11 della Costituzione del Tricolore ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali non è ripetuto sei volte come per i cannoni.
L’Italia non va in guerra, la protegge, soprattutto quella contro i migranti inconfessata ma non troppo, rinasce, proprio sotto natale, l’antica idea coloniale di un posto alla sabbia del sole. La stella d’Italia, quella di Negroni si distingue per chiarezza e sapore. Il Tricolore ci lega al mare di sabbia di una probabile presenza a Madama, con l’aeroporto per avvistare cammelli sperduti, trafficanti di cocaina, armi, terroristi potenziali che sono trasformati in migranti a seconda degli interessi. Il vento è caldo, torrido, la stagione è secca e le temperature da far saltare anche i termometri più preparati, rimane dunque il rombo dei cannoni, da ripetere più volte per far capire che adesso, nel Niger, nel deserto rosso ci siamo anche noi. Con tanto di ambasciata da inaugurare.
Un’altra missione di pace coi militari, le armi, i mezzi necessari, il ripudio della guerra è stato ripudiato e si sviluppano altre carte costituzionali fatte di sabbia, sole e suon d’amore alla maniera di Tripoli. Niamey è la capitale del Niger dove è di visita Macron, l’Emmanuele transalpino che si trasforma in venditore ambulante di armi per le compagnie francesi dovunque passa la sua diplomazia da banchiere ormai presidente. Anche l’Italia c’è, dove più magico è il sol del mar che ci lega agli interessi. Va’ e spera soldato, vittoria è colà.
Mauro Armanino – già operaio e sindacalista, ora è un missionario e vive da alcuni anni in Niger
da Comune-Info
*********************
Buon Natale, anche se siamo in guerra
La produzione di armi cresce in tutto il mondo, intanto l’Italia mantiene in piedi diverse missioni militari. Tuttavia, il rifiuto della guerra può alimentarsi anche con le storie di Natale, quelle poco note, quando diverse truppe hanno smesso di spararsi
Siamo in guerra, ma non perché ci attaccano gli islamisti. Dopo l’11 settembre il giro d’affari dei produttori di armi è cresciuto quasi del 40 per cento arrivando a 375 miliardi di dollari. Tra i primi ci sono gli americani Lockheed Martin con oltre 40 miliardi di commesse soprattutto grazie alle vendita dei caccia F-35 che anche l’Italia sta comprando con i costi che sono raddoppiati e un ritardo di “almeno cinque anni” nei lavori (dati Adnkronos). Ma tra i primi dieci che vendono bombe al mondo ci sono anche gli italiani della Leonardo con 8 miliardi e mezzo di fatturato.Il 60 per cento dei clienti delle aziende nostrane sono nordafricani e mediorientali. Cioè quelli che la politica considera tra i peggiori al mondo. Ma anche l’Italia è un ottimo cliente dei venditori di armi. Quasi 6 miliardi sono impegnati per il 2018, una cifra che ogni anno sale con percentuali importanti. Sul sito del ministero della Difesa c’è scritto che “l’Esercito Italiano opera con la consapevolezza che le operazioni militari contribuiscono e stimolano la crescita del Paese ma soprattutto promuovono la coscienza dell’importanza per l’Italia di assumere ruoli di sempre maggiori responsabilità anche in campo internazionale” e vengono segnalate missioni in Iraq, Libia, Libano, Somalia, Mali, Kosovo e anche in Afghanistan. Francia, Canada e Spagna se ne sono andati da tempo da quest’ultimo Paese. Gli italiani restano e sono il secondo contingente più numeroso dopo quello statunitense. E perché restano? Dopo una montagna di morti (circa 150mila) nel paese non è cambiato niente, anzi la situazione è peggiorata. I talebani avanzano. In due anni il loro controllo del territorio è passato dal 21 per cento al 29 per cento, la guerra è costata 900 miliardi e l’Italia ne ha spesi 7 e mezzo, ma secondo alcuni studi questi costi potrebbero essere il doppio. L’analfabetismo è passato dal 68% al 62% e la condizione femminile è migliorata un pochino solo nelle città… questi gli unici miseri progressi (dati MIL€X).
Curzio Malaparte nel ’54 scriveva: “
Tra pochi giorni è Natale e già gli uomini si preparano alla suprema ipocrisia. Perché nessuno ha il coraggio di dirsi che il mondo non è mai stato così poco cristiano come in questi anni? Non ci importa nulla di chi soffre; non facciamo nulla per impedire
la sofferenza,
la miseria,
il male,
il delitto,
la violenza, la strage…”.
Ce lo ricorda l’immagine penosa del Senato svuotato dai politicanti che preferiscono non votare invece che prendersi una responsabilità davanti a migliaia di non-cittadini italiani e centinaia di migliaia che transiteranno nel nostro Paese nei prossimi anni. Eppure c’è stato qualche migliaio di soldati che un secolo fa, nei primi mesi della Grande Guerra, a Natale smisero di sparare e attraversarono la terra di nessuno per abbracciarsi. Era il Natale del 1914.
Un luogotenente inglese scrive che “le trincee sono così vicine che possiamo parlarci e ieri (Natale) siamo entrati un po’ in confidenza” e così un inglese e un tedesco si incontrano a metà strada, poi escono tutti e si scambiano cioccolata e sigarette. I tedeschi gli dicono che sono “stanchi di tutto questo, e hanno aggiunto: diamoci una mossa e finiamola con questa guerra“.
“La nottata era fredda. Noi cantavamo e loro applaudivano. Le nostre linee erano distanti soltanto un centinaio di metri. Noi suonavamo l’armonica a bocca, loro cantavano, e allora applaudimmo. Poi tirarono fuori delle cornamuse, e suonarono le loro melodie così poetiche. Gli uomini facevano oscillare delle torce e festeggiavano. Avevamo preparato un grog, e facemmo un brindisi” così scrive un soldato tedesco.
Il sergente C. Dobson ha perso 21 uomini su 50 e i sopravvissuti sono in buona parte feriti, ma la notte di Natale cantano, scambiano cioccolate e sigarette e seppelliscono i loro morti accanto ai tedeschi. In alcuni posti la tregua durò fino a Capodanno e c’è più di una testimonianza di partite di calcio improvvisate. Dicono che dalle parti di Ypres i tedeschi vinsero 3 a 2 contro gli inglesi.
Oswald Blundel, ufficiale inglese scrive che “è stata la cosa più incredibile del mondo, mescolarsi e intrattenere lunghe conversazioni con il nemico (…) Mi sono fatto dare un elmetto tedesco”. Fu un evento eccezionale tanto che negli anni a seguire i vertici decisero di comandare assalti e bombardamenti proprio nei giorni di Natale per impedire che i soldati si ricordassero di essere umani e fraternizzassero con quelli che i propri padroni di Stato definivano nemici.
Ma non mancarono negli anni a seguire episodi del genere. Antonio Rotunno, soldato 266° fanteria Brigata Lecce, 3° battaglione, 8^ compagnia nel suo diario, oggi all’archivio di Pieve S. Stefano, scrisse che i tedeschi si misero a suonare e a cantare e urlavano dalla loro trincea: “O buoni italiani, lasciateci divertire tranquillamente in questa sera della vigilia di Natale! Non tirate! Non tirate alla nostra volta! Vedete? Anche le nostre batterie non tirano mica e da parecchie ore sono diventate mute! Divertitevi anche voi e buona notte!”.
E persino nel corso della seconda guerra successe. Il pilota Amerigo Javarone ricorda che a largo di Corfù volò accanto a un aereo inglese senza che nessuno dei due sparasse un colpo. Era il 24 dicembre del 1940.
Siamo in guerra. I morti di Londra, Parigi, Barcellona e persino quelli dell’11 settembre sono ancora un numero piccolo rispetto a quelli che una guerra dichiarata potrebbe produrre. Le dichiarazioni folli di chi vuole chiudere le frontiere e, ancora peggio, di chi vuole segregare gli stranieri quando già sono nei nostri Paesi, chiuderli in un vuoto senza cittadinanza, buoni solo per essere sfruttati… sono il primo passo verso un conflitto che metterà tutti in pericolo.
Il soldato Danny Doyle scrive che “con alcuni vecchi stracci e un po’ di spago fu fabbricato un improvvisato pallone da calcio, e alla luce delle torce si formarono due squadre dei due schieramenti, che giocarono una partita di calcio dimenticando ogni fatto bellico”. Si racconta di un barbiere inglese che andò coi suoi compagni verso i tedeschi portandosi la cassetta con sapone e rasoi. Quel giorno di Natale tagliò barba e capelli a un tedesco. Se invece dei cacciabombardieri l’Italia comprasse rasoi, sarebbe un Paese migliore.
Ascanio Celestini
da Comune-Info
Leave a Comment