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In Colombia la violenza della polizia è fuori controllo

Da giorni nel paese ci sono manifestazioni contro il governo, che ha risposto mandando i militari in strada. Almeno trenta persone sono state uccise dalle forze dell’ordine.

Quando il popolo scende in piazza durante una pandemia, vuol dire che il governo è più pericoloso del virus”, c’era scritto su un cartello di un manifestante colombiano. Lo slogan dice molto su quello che sta succedendo negli ultimi giorni in Colombia.

Dal 28 aprile decine di migliaia di persone hanno cominciato a protestare in molte città del paese contro la riforma fiscale annunciata dal governo del presidente di centrodestra Iván Duque. Il 2 maggio Duque ha fatto marcia indietro annunciando il ritiro del progetto, che secondo i critici avrebbe colpito soprattutto la classe media e le fasce più povere della popolazione già provate da una grave crisi economica. Poi si è dimesso il ministro dell’economia, Alberto Carrasquilla, ma le proteste non si sono fermate. Anzi, si sono allargate trasformandosi in una critica radicale al governo e alla sua gestione della pandemia di covid-19. La Colombia è nel pieno della terza ondata , con le terapie intensive degli ospedali di quasi tutto il paese al collasso.

Il bilancio degli scontri è grave: almeno venti persone sono state uccise e più di ottocento sono rimaste ferite. La decisione dell’esecutivo di militarizzare la repressione, inviando l’esercito in strada contro i manifestanti, ha sollevato polemiche e condanne da parte della comunità internazionale, delle Nazioni Unite e di alcune ong, come Human rights watch e Amnesty international.

A Cali, una città nell’ovest del paese, la terza più grande del paese, le manifestazioni sono state partecipate e l’azione delle forze dell’ordine è stata particolarmente brutale. Il 28 aprile un poliziotto ha sparato a Marcelo Agredo Inchima, un ragazzo di 17 anni che stava partecipando alla protesta contro la riforma fiscale. La notte del 2 maggio un altro agente ha sparato alla testa a Nicolás Guerrero, un giovane di 22 anni che filmava gli scontri tra manifestanti e forze statali nel nord della città.

Ho sentito gli spari”, ha detto al País Juan David Gómez, un avvocato presente sul posto. “All’inizio pensavo che la polizia stesse usando proiettili di gomma, invece erano armi da fuoco. Il ragazzo è morto ai nostri piedi, davanti a venti o trenta persone che cercavano di aiutarlo. Lo abbiamo visto agonizzare”.

La capitale Bogotá il 4 maggio ha vissuto una notte di violenza con un bilancio di trenta civili e 16 agenti feriti, e varie stazioni della polizia date alle fiamme. La sindaca Claudia López, di sinistra, ha dichiarato che “il livello di distruzione e violenza e gli attacchi contro i cittadini e i beni pubblici sono davvero insoliti”. Poi ha aggiunto una preghiera: “Chiedo alla città e al paese di fermarci e di dialogare”.

Richiesta di dialogo
Video e immagini dell’uso sproporzionato della forza da parte della polizia e dei militari sono stati diffusi sui social network spingendo i movimenti sociali e gli organizzatori della protesta a non fermarsi e a convocare nuove manifestazioni per i prossimi giorni. Da parte sua il governo di Duque, che vede allontanarsi sempre di più la possibilità di essere rieletto per un secondo mandato presidenziale nel 2022, ha messo in moto una strategia di dialogo con i vari movimenti sociali per convincerli a sospendere el paro nacional, lo sciopero nazionale.

Se la forza pubblica, cercando di proteggere le città, non rispetta i limiti legali e usa la forza n maniera sproporzionata, non fa che gettare benzina sul fuoco e fomentare la violenza. Bisogna ovviamente fermare i vandali e i violenti, ma senza calpestare la costituzione”, scrive El Espectador. Il solo modo per uscire dalla crisi, sostiene il quotidiano colombiano, è accettare un dialogo aperto con tutte le forze politiche e sociali senza eccezioni.

Secondo il giornalista e politologo colombiano Ariel Ávila, direttore della fondazione Paz y reconciliación, sapremo solo tra qualche giorno chi uscirà vittorioso da questo braccio di ferro. Ma c’è intanto una certezza: con la disoccupazione al 15 per cento, l’aumento della povertà, la chiusura di decine di piccole imprese e la vecchia strategia di affermare che le proteste sono infiltrate da criminali e terroristi il governo ha dimostrato ancora una volta di essere completamente scollegato dalla realtà.

aggiornamento da Radio Onda d’Urto

COLOMBIA: 31 VITTIME E 814 ARRESTI IL BILANCIO DELLA REPRESSIONE

In Colombia prosegue da oltre una settimana la mobilitazione “#ParoNacional” contro il governo di ultradestra di Ivan Duque, già costretto a ritirare la contestatissima riforma fiscale che ha provocato una sollevazione popolare che adesso ha messo nel mirino lo stesso esecutivo. Nelle strade la repressione poliziesca è violentissima: i dati diffusi ieri dalle organizzazioni locali parlavano di 31 vittime tra i manifestanti, 814 arrestati, 21 ferite agli occhi, 77 feriti di armi da fuoco, 10 casi di violenza sessuale agita da uomini delle forze di polizia. Secondo le denunce raccolte dalle organizzazioni per i diritti umani, nel quartiere di Siloe, a Cali, la polizia durante la notte è entrata nei quartieri e nelle case con l’intenzione di uccidere indiscriminatamente.

Testimonianze riportano di black-out in ampie zone urbane e il distacco della rete internet, al fine di ostacolare ogni possibilità di denuncia ed agevolare le operazioni di repressive, in quella che è diventata una vera e propria guerra contro la popolazione civile. Non si hanno notizie di molte persone che sono state portate in centri di detenzione: in rete circolano video in cui si sentono grida provenire dai commissariati e si teme un utilizzo sistematico della tortura da parte della polizia. Anonymous ha oscurato per diverse ore i siti del ministero della Difesa e della Presidenza della Repubblica. Nonostante la durissima repressione la rivolta prosegue ininterrottamente dallo sciopero nazionale di mercoledì della settimana scorsa con manifestazioni e scontri in diverse città, in particolare Cali, Medellin e Bogotà. Il partito del presidente Duque comincia a parlare esplicitamente di dichiarazione dello stato di assedio nell’intero paese o in alcune città.

Il servizio con Giulia De Luca, redattrice di Radio 3 mondo ed esperta di America Latina.Ascolta o scarica

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