Afrin è distrutta, le macerie dei palazzi sventrati occupano il cantone curdo-siriano. E ora incendi mangiano le strutture ancora in piedi, appiccati dopo i saccheggi dai miliziani dell’Esercito Libero Siriano (Els). Ieri il ministro degli Esteri turco Cavusoglu lanciava promesse: «Non glielo permetteremo», ha detto a saccheggi ormai perpetrati.
E da Afrin parla l’Els che annuncia all’agenzia turca Anadolu la creazione di un «Congresso della liberazione», una sorta di parlamento locale composto da 30 membri dell’opposizione che gestisca ricostruzione, rientro degli sfollati e passaggio dell’amministrazione a funzionari locali. Eppure gli amministratori locali sono stati cacciati, la loro sede occupata dalle bandiere della Turchia e dell’Els.
Saraà formato, aggiunge l’intervistato Hasan Sindi, anche un corpo di polizia con il compito “accessorio” di «eliminare completamente le Ypg».
«L’esercito turco e l’Els – dice al manifesto l’Information Center di Afrin – hanno portato dei collaboratori, arabi e curdi, ad Afrin per dare vita a false istituzioni che legittimino l’occupazione». Per chi non collabora l’unica opzione pare essere la prigione: con ogni via di uscita ormai chiusa, i residenti rimasti – qualche migliaio – devono scegliere tra carcere e uniforme dell’Els.
«Stiamo ricevendo informazioni su gruppi di persone arrestate nel centro della città e nei villaggi vicini – aggiunge l’Information Center – Almeno 300 sono prigionieri in una scuola. E si riporta di sparizioni di persone denunciate per sostegno alle Ypg». Fuori dalla città, intanto, centinaia di migliaia di sfollati hanno raggiunto aree sotto il controllo governativo o delle unità di difesa Ypg/Ypj.
Come Tal Rifat, divisa a metà tra le due forze: ieri la Mezzaluna è arrivata con la Croce Rossa per consegnare indispensabili aiuti umanitari a circa 25mila famiglia, 14 camion con 25 tonnellate tra coperte, cibo, acqua.
E mentre il presidente Erdogan difende l’operazione spacciandola per protezione dei confini della Nato e i locali (riporta Agenzia Nova) denunciano la presenza di carri armati tedeschi Leonard nella città occupata, 400 km a sud si consuma un altro dramma.
Dopo la fuga di 45mila civili, ieri l’Onu ha chiesto accesso immediato a Ghouta est dove ne restano intrappolati almeno 200mila. Per ora gli aiuti sono stati portati agli sfollati che, dice l’Unhcr, arrivano «esausti, affamati, assetati, malati, senza effetti personali»: i centri di assistenza sono affollati, con neonati da registrare e persone senza documenti da identificare.
Ma raggiungere il centro dell’enclave è quasi impossibile per gli scontri ininterrotti. Dal cielo, con i raid governativi, e da terra con i missili delle opposizioni jihadiste. Ieri attivisti locali hanno denunciato la distruzione da parte governativa di una scuola nella cittadina di Arbin, usata come rifugio. Sedici morti, di cui molti bambini, che si aggiungono a 16 vittime all’alba e 35 nel pomeriggio: missili jihadisti hanno centrato un mercato, tra i morti donne e bambini.
Le violenze si intensificano: Jaysh al-Islam, gruppo salafita leader nella Ghouta, ha lanciato una controffensiva lunedì smentendo così le voci di un concreto negoziato in corso, mentre l’esercito di Damasco avanza e riprende l’80% del sobborgo. Il presidente Assad (ripreso domenica mentre guidava dentro Ghouta a dimostrare la presunta sicurezza della zona e dimenticando i civili intrappolati) vuole una resa completa, le opposizioni puntano all’evacuazione.
E come accaduto in questi anni, nel caos si infila l’Isis, dato per morto ma ancora presente in sacche di territorio siriano. A partire dal dimenticato campo profughi di Yarmouk, tuttora occupato, e da cui i miliziani del «califfo» si sono allargati a zone vicine: nelle ultime 24 ore l’Isis ha ucciso 36 soldati siriani e occupato il distretto di al-Qadam, sud della capitale, dopo l’uscita dei qaedisti di al-Nusra a seguito di un accordo con il governo.
Un’altra controffensiva, dunque, che preoccupa e riaccende l’attenzione sul campo palestinese: dentro restano 4.500 civili sui 150-180mila di prima della guerra. Tutti fuggiti, chi resta è ridotto letteralmente alla fame.
da il manifesto
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