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In carcere ingiustamente e senza risarcimento

Almeno due terzi delle domande di risarcimento per ingiusta detenzione sono respinte: perché ci si è avvalsi della facoltà di non rispondere o per motivi ideologici. Scopriamo così che quelli che finiscono in cella senza aver fatto nulla sono il doppio di quanti ne conta il Ministero della giustizia.

di Tiziana Maiolo

Quanti sono ogni anno i cittadini italiani arrestati ingiustamente? Più del doppio di quello che ci dice il ministero e che vengono risarciti dallo Stato. Senza che mai alcuna toga paghi per i propri errori. Ci vorrebbe una scossa, come quella del referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, e anche una riforma del codice di procedura penale, sul risarcimento per ingiusta detenzione. L’articolo 314 sancisce che “chiunque è stato prosciolto con sentenza irrevocabile…ha diritto a un’equa riparazione, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”. Questo principio è stato interpretato liberamente nel modo più ampio dai magistrati.

Quanti sono ogni anno i cittadini italiani arrestati ingiustamente? Più del doppio di quello che ci dice il ministero e che vengono risarciti dallo Stato. Senza che mai alcuna toga paghi per i propri errori. Ci vorrebbe una scossa, come quella del referendum sulla responsabilità civile dei magistrati, e anche una riforma del codice di procedura penale, sul risarcimento per ingiusta detenzione. Una scossa che dia la sveglia allo stanco rituale per cui ogni anno in primavera per un giorno qualche quotidiano (non tutti, quest’anno pochissimi) ci racconta il carcere degli innocenti, con il numero delle ingiuste detenzioni e le cifre esorbitanti che lo Stato ha versato per mettere una pezza, almeno sul piano economico, sugli errori delle sue toghe. Sui processi sbagliati, sugli innocenti prima sbattuti in galera e poi assolti. Per la cronaca, se quest’anno abbiamo saputo che nel 2021 lo Stato ha dovuto sborsare ben 25 milioni di euro per errori giudiziari e detenzioni ingiuste, lo dobbiamo soltanto a un’interrogazione del deputato Enrico Costa e alla risposta in aula alla Camera della sottosegretaria all’economia Alessandra Sartore. Nel silenzio del Ministero di giustizia, che avrebbe il dovere ogni anno di fornire al Parlamento tutti i dati sull’amministrazione della giustizia entro il 31 gennaio.

Ma il tema delle toghe che sbagliano, non sempre in buona fede, è molto spinoso, negli uffici di via Arenula dove ha sede il ministero di Marta Cartabia. Perché il luogo è affollato di magistrati, soprattutto nelle posizioni apicali. Sono la gran parte dei famosi 200 fuori ruolo, cioè distaccati dai tribunali in organi amministrativi. Così ogni anno il rituale si svolge in primavera. E la stessa sottosegretaria del Ministero all’economia, che poi è quello destinato ad aprire i cordoni della borsa, si è lamentata non poco, nell’aula di Montecitorio, per essere stata costretta, il 9 febbraio, a sollecitare ai colleghi della giustizia i dati del 2021, che sono infine arrivati il 22 febbraio. Lentezza o resistenza rispetto a una ferita aperta che la magistratura non vuole neppure vedere?

La contraddizione è del resto palese. Se anche nell’anno della pandemia in cui si è arrestato di meno, anche su sollecitazione dello stesso procuratore generale Cesare Salvi, ancora seicento persone (contro le mille degli anni precedenti) sono finite in galera da innocenti, come mai il Csm “assolve” sempre il 99% dei magistrati colpiti da azioni disciplinari? È dunque il fato a mettere erroneamente le manette ai polsi di un numero così impressionante di persone che poi verranno assolte? In particolare nei distretti come quello di Catanzaro dove i blitz di 300 persone vengono poi sconfessati dai giudici?

Un vulnus esiste però anche nella legge, e qui occorre chiamare in causa il Parlamento. A volte noi osservatori ci domandiamo se in questa legislatura esistano solo il deputato Enrico Costa e pochi altri a occuparsi di giustizia. Un’occhiata andrebbe data per esempio all’articolo 314 del codice di procedura penale, laddove sancisce che “chiunque è stato prosciolto con sentenza irrevocabile…ha diritto a un’equa riparazione, qualora non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave”. Questo principio, che comunque andrebbe meglio precisato con un’opportuna riforma, è stato interpretato liberamente nel modo più ampio dai magistrati. Prima di tutto ha consentito alle corti d’appello di bocciare le richieste di riparazione a tutti coloro che, magari nel primo interrogatorio, quando erano ancora sconvolti per l’arresto, si erano avvalsi della facoltà di non rispondere alle domande. Un diritto, appunto. Non un’astuzia (che sarebbe masochistica, oltre a tutto) per dirottare il pubblico ministero nelle indagini. Ma non solo. Ci sono stati casi di persone accusate di reati di terrorismo, come Giulio Petrilli, che aveva subito una lunghissima carcerazione e che due anni fa organizzò anche una manifestazione di protesta e una petizione all’Unione europea, che si sono visti negare l’erogazione del risarcimento per motivi ideologici. Una sorta di giudizio morale sulle sue frequentazioni giovanili. O più di recente il caso di Francesco Belsito, ex tesoriere della Lega ed ex sottosegretario, che dopo sei mesi di ingiusto carcere preventivo e un enorme danno finanziario, si è visto respingere la richiesta di risarcimento dalla corte d’appello di Genova perché le sue dichiarazioni negli interrogatori sarebbero state “caratterizzate da notevole opacità”. Questi casi sono tantissimi, abbiamo calcolato che almeno i due terzi delle domande vengono rigettate con questo tipo di argomentazioni. Quindi occorre più che raddoppiare i dati del ministero.

Una luce è però spuntata alla fine di questo tunnel, fatto di argomentazioni capziose e non disinteressate. Perché ogni magistrato ha il timore che qualche seria riforma della giustizia lo porti a rispondere a qualcuno -che non sia il Csm dei 99 “perdoni” su 100- delle sue azioni, del suo lavoro, delle sue capacità professionali. Stiamo parlando di quella sentenza numero 1684 della quarta sezione penale della cassazione (v. Il Riformista, 23-3-2022) che ha considerato il silenzio dell’indagato non ostativo alla riparazione per ingiusta detenzione, proprio sulla base del decreto legislativo sulla presunzione d’innocenza. Giurisprudenza destinata a fare scuola o a essere scacciata come un fastidioso moscerino?

da Il Riformista

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