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Cassese: «Con un nuovo stato d’emergenza alleviamo nuovi Orban»

Il giudice emerito della Corte costituzionale: «il diritto eccezionale non può diventare la regola»

«Manca il presupposto della proroga: non basta che vi sia il timore o la previsione di un evento calamitoso. Occorre che vi sia una condizione attuale di emergenza». È quanto scrive sul Corriere della Sera il professor Sabino Cassesse, costituzionalista e giudice emerito della Corte Costituzionale, esprimendo contrarietà alla proroga, fino al 31 dicembre, dello stato d’emergenza. «Perché prorogare lo stato di eccezione, se è possibile domani, qualora se ne verificasse la necessità, riunire il Consiglio dei ministri e provvedere?», si chiede Cassesse. «L’urgenza non vuol dire emergenza».

Un altro motivo, secondo il professore, è quello di «evitare l’accentramento di tutte le decisioni a Palazzo Chigi. E questo non solo perché finora si sono già concentrati troppi poteri nella Presidenza del consiglio dei ministri, o perché in ogni sistema politico una confluenza eccessiva di funzioni in un organo è pericolosa, ma anche e principalmente perché l’accentramento crea colli di bottiglia e rallenta i processi di decisione».

Infine, la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza «è inopportuna perché il diritto eccezionale non può diventare la regola. Proprio per questo sia la legge che lo prevede, sia la costante giurisprudenza della Corte costituzionale hanno insistito sulla necessaria brevità degli strumenti derogatori, perché non è fisiologico governare con mezzi eccezionali. Questi possono produrre conseguenze negative non solo per la società e per l’economia, creando tensioni nella prima e bloccando la seconda, ma anche per l’equilibrio dei poteri, mettendo tra le quinte (ancor più di quanto non accada già oggi) il Parlamento e oscurando il Presidente della Repubblica e la Corte costituzionale, al cui controllo sono sottratti gli atti dettati dall’emergenza».

Da il Dubbio

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