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Bologna, avanguardia anche sulla respressione

I recenti decreti penali di condanna comminati a 9 militanti bolognesi per il corteo di solidarietà per la morte di Abd Elsalam, proprio per la loro gravità, stanno inducendo molti a Bologna a chiedersi cosa stia succedendo davvero.

Una condanna senza precedenti, infatti, sarà quella che costringerà i 9 militanti al pagamento di circa 25.000 e ciascuno, alternativi a mesi di detenzione, per aver manifestato senza avvisare preventivamente la questura e per aver tentato di raggiungere la stazione, in solidarietà ad un compagno morto durante uno sciopero. Questa l’accusa e la pena inflitta, che è bene ricordare per inquadrare di cosa si sta parlando.

Una pena “eccessiva” si potrebbe commentare, ma il fatto è che negli ultimi anni, sotto le Due Torri (ma ovviamente non solo) si è assistito ad un forte inasprimento della repressione verso chiunque praticasse una qualsiasi forma di conflitto.

Solo negli ultimi mesi, nel tentativo di mettere ordine quanto successo, si contano a Bologna oltre 30 studenti denunciati (e uno già condannato in primo grado), prima per la battaglia contro il caro mensa che portò a una settimana di scontri davanti la mensa universitaria, poi per la lotta contro i tornelli installati nella biblioteca di discipline umanistiche. Varie decine sono anche le denunce agli attivisti di Asia-Usb e Social Log per le occupazioni abitative che nello scorso anno sono state tutte sgomberate con la forza dei manganelli; un foglio di via ad un attivista fermato con due bombolette spray nello zaino; i decreti penali e le assurde e spropositate pene pecuniarie inflitte ai 9 militanti di di USB citate sopra.

Dopo alcuni anni che si vive in questa situazione, si rischia di “farci il callo” e pensare che ricevere una denuncia per aver acceso un fumogeno, o per aver protetto uno sfratto, sia una prassi pseudo-quotidiana, quando sarebbe bene fermarsi un attimo e pensare a cosa sta davvero succedendo.

Perché la tendenza alla restrizione degli spazi di mediazione politica sta diventando evidente non solo a Bologna, ma in tutto il Paese e su diversi piani in cui si pratica il conflitto: dalle manganellate ai precari a Roma (e non solo), alla restrizione del diritto di sciopero, ai controlli a tappeto durante la manifestazione del 25 marzo scorso contro i trattati di Roma, fino ai fogli di via dello scorso week end per chi voleva raggiungere il corteo contro il G7 a Taormina. Una restrizione degli spazi democratici che vediamo a tutti i livelli, dalle aziende, agli enti locali fino allo stato centrale, e la direzione è chiara dal punto di vista della classe dirigente: austerità, privatizzazioni, centralizzazione delle decisioni e annullamento dei corpi intermedi della società sono la condizione sine qua non l’Italia potrà essere compartecipe al polo nascente dell’UE.

Dall’altra parte però, non si può accettare che semplicemente il conflitto sparisca, e che i popoli accettino supinamente questi diktat, nè queste tattiche repressive, mirate a fiaccare chi vuole diritti e dignità. L’incontro di domani a Bologna, “Ammazzano un operaio e condannano chi ha protestato”, affronterà proprio il tema della repressione nel territorio emiliano ma non solo, soprattutto ora, col decreto Minniti, in cui si è ufficializzato un salto di qualità, con l’uso smodato ed ingiustificato delle misure cautelari preventive.

Non va poi dimenticato che i segni di un crescente malcontento popolare stanno emergendo in modo sempre più marcato in questi mesi: dal referendum costituzionale di dicembre, al referendum per la ristrutturazione di Alitalia e, tornando al caso bolognese, le amministrative dello scorso anno in cui la coalizione a guida PD ha toccato il minimo storico al primo turno (poco più del 37%).

In questo contesto, non possiamo quindi stupirci se l’unica risposta a proteste, scioperi, picchetti ed ogni altra forma di resistenza, è la repressione poliziesca e giudiziaria. Perché se il potere ha come unica arma quella dei muscoli, significa che è un potere in difficoltà, in forte crisi di legittimazione e che teme per la propria autoconservazione.

Questo potere, benchè delegittimato ed in relativa crisi, non cederà mai di schianto, non imploderà su se stesso. E di certo, non smetterà di mordere laddove può fare più male, laddove può creare danni a chi si organizza per resistergli e contrattaccare.

da contropiano