Il governo ungherese di Viktor Orbán ha già stabilito la dinamica dei fatti di cui è accusata Ilaria Salis: «lei e i suoi compagni sono venuti in Ungheria in un gruppo organizzato e hanno commesso assalti barbarici e premeditati contro cittadini ungheresi». Nella ricostruzione diffusa ieri da Zoltan Kovacs, portavoce dell’esecutivo, c’è l’associazione a delinquere, c’è la premeditazione, c’è il coinvolgimento diretto della 39enne italiana. Viene da chiedersi a cosa serva il processo penale.

Kovacs ha detto che la donna «non è un’eroina» e poi è tornato a prendersela, per la seconda volta in cinque giorni, con Roberto Salis, il padre di Ilaria. Lo accusa di aver politicizzato la vicenda, di aver parlato con i media occidentali e perfino di essere intervenuto davanti all’europarlamento. Nel video pubblicato su X afferma che «la ragazza è stata coinvolta in episodi simili nel passato» riprendendo le tesi, smentite dalle sentenze, del leghista Matteo Salvini. L’esponente magiaro conclude che quando riceve accuse il suo governo risponde per difendere la reputazione e l’integrità ungherese, oltre all’indipendenza delle istituzioni. In questo caso quella magistratura la cui autonomia Orbán ha minato facendo infuriare persino l’Unione europea, spesso pronta a chiudere un occhio quando in ballo non ci sono le regole di bilancio ma quelle relative allo stato di diritto. Per Budapest, invece, aveva bloccato i fondi.

Una risposta a Kovacs, seppur indiretta, è arrivata dal portavoce capo della commissione Ue. «Chiaramente le misure prese durante i procedimenti giudiziari sono un affare interno degli Stati membri ma c’è un principio di proporzionalità che va sempre applicato», ha detto Eric Mamer. Il riferimento può essere letto su diversi livelli, perché qui la proporzionalità manca dappertutto: negli oltre 20 anni di pena che Salis rischia per delle lesioni guarite in una settimana; nell’uso spropositato della carcerazione preventiva; nell’ostentazione della donna in catene e guinzaglio.

«Parole irricevibili», afferma la deputata dem Laura Boldrini. Roberto Salis preferisce non commentare, del resto vale ancora la risposta all’affondo precedente: «Il processo è già stato fatto, il verdetto è già stato emesso. Quando c’è un politico che se la prende con un privato cittadino di un altro stato è chiaro che c’è qualcosa di incredibile».

Ad alzare la voce è il consiglio direttivo della Camera penale di Milano che ha condannato l’intimidazione subita dall’avvocato Eugenio Losco e dagli altri legali di Salis davanti al tribunale di Budapest, prima dell’udienza del 28 marzo scorso. Quelle minacce «rappresentano un vulnus gravissimo ai diritti fondamentali del cittadino e una rottura delle regole del giusto processo, unico luogo in cui va accertata l’eventuale responsabilità degli imputati», scrivono i penalisti meneghini guidati dalla presidente Valentina Alberta. Già nelle scorse settimane avevano denunciato «un quadro estremamente preoccupante di limitazione delle garanzie individuali» per la donna.

Ieri a Napoli attivisti di Potere al Popolo si sono incatenati per «Ilaria libera». Stesso messaggio su striscioni appesi a Viareggio. A Torino, invece, il gruppo «nazionalista-identitario» La Barriera ha affisso finti manifesti in cui Salis è candidata Pd.

Il ministero dell’Istruzione e merito di Giuseppe Valditara ha reso noto l’avvio di una verifica sulle dichiarazioni di Christian Raimo. Lo scrittore e insegnante aveva detto in tv che «picchiare i nazisti è giusto». In tutta la vicenda Salis è la prima azione concreta dell’esecutivo Meloni, evidentemente indignato più da quelle parole che da un governo amico che attacca i cittadini italiani e protegge gli ultrà dell’estrema destra.