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3 febbraio 2016: Ritrovato senza vita il corpo di Giulio Regeni

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Al Cairo, in Egitto, veniva ritrovato, senza vita, il corpo di Giulio Regeni, giovane ricercatore italiano, torturato nei giorni precedenti dalla polizia del regime di al-Sisi

Giulio Regeni  giovane dottorando italiano dell’Università di Cambridge è stato rapito al Cairo il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir, e ritrovato senza vita il 3 febbraio 2016 nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani.

Il corpo presentava evidenti segni di tortura, al punto che la madre lo riconobbe «dalla punta del naso» e disse di aver visto nel volto martoriato del figlio «tutto il male del mondo». In particolare nella pelle erano state incise, con oggetti affilati, alcune lettere dell’alfabeto, e tale pratica di tortura era stata ampiamente documentata come tratto distintivo della polizia egiziana; queste evidenze hanno messo subito sotto accusa il regime di al-Sisi.

L’uccisione di Giulio Regeni ha dato vita in tutto il mondo, e soprattutto in Italia, a un acceso dibattito politico sul coinvolgimento nella vicenda e nei depistaggi successivi, attraverso uno dei suoi servizi di sicurezza, dello stesso governo egiziano. Tali sospetti hanno costituito motivo di forti tensioni diplomatiche con l’Egitto. Secondo il Parlamento europeo, l’omicidio di Giulio Regeni non è un evento isolato, ma si colloca in un contesto di torture, morti in carcere e sparizioni forzate avvenute in tutto l’Egitto negli ultimi anni

I servizi di sicurezza del governo di al-Sisi, così come lo stesso governo egiziano, sono accusati di avere un ruolo chiave nell’omicidio del giovane ricercatore, potendo nutrire sospetti di un eventuale movente nell’attività di ricerca di Regeni. La polizia del Cairo aveva già svolto indagini sul ragazzo nei giorni 7, 8 e 9 gennaio su esposto del Capo del sindacato dei venditori ambulanti.

Nella notte tra il 24 e il 25 aprile 2016 le forze speciali della polizia egiziana hanno arrestato il consulente egiziano della famiglia Regeni, Ahmed Abdullah, presidente dell’organizzazione non governativa “Commissione egiziana per i diritti e le libertà”, con l’accusa di sovversione e terrorismo.

Nel dicembre 2016 è stato accertato che Mohamed Abdallah, leader del sindacato degli ambulanti oggetto della ricerca universitaria e incontrato per la prima volta da Giulio il 13 ottobre 2015, aveva denunciato Giulio Regeni alla polizia di Gyza il 6 gennaio e lo aveva seguito fino al 22 gennaio, ovvero tre giorni prima della scomparsa del ricercatore italiano, comunicando alla polizia tutti gli spostamenti.

Un testimone ha parlato a maggio 2019 e ha detto che era in un caffè a Nairobi, capitale del Kenya, nell’agosto 2017, dove ha sentito funzionari egiziani discutere del caso “ragazzo italiano” in arabo. Dopo aver spiato uno scambio di biglietti da visita, venne a sapere che l’agente che sosteneva di essere stato coinvolto personalmente nel rapimento e nella morte di Giulio Regeni era, in effetti, il maggiore Majdi Ibrahim Abdel-Al Sharif, 35 anni. Secondo il loro resoconto, credevano che Regeni fosse una spia britannica e che l’ufficiale affermasse che avrebbe dovuto colpire e schiaffeggiare Regeni dopo averlo caricato sul furgone della polizia, sebbene non avesse menzionato nulla sulla brutalizzazione e la morte dello studente. Gli investigatori italiani hanno ascoltato il testimone e hanno accreditato la sua ricostruzione degli eventi con una certa affidabilità

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