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I detenuti disabili, Condannati due volte

638 detenuti disabili reclusi nelle carceri italiane. Ma solo in 7 istituti ci sono sezioni attrezzate per una capienza di 32 posti

Seicentotrentotto – secondo gli ultimi dati messi a disposizione dal Dap – sono i detenuti disabili ristretti negli istituti penitenziari italiani. Quella dei reclusi portatori di handicap è una tragedia nella tragedia, una vera e propria doppia pena, e lo denunciano le associazioni che tutti i giorni con loro si trovano ad operare. Barriere architettoniche, mancanza di strutture in grado di accoglierli pienamente, carenza di operatori che li accompagnino nelle attività, fatica a usare i servizi igienici e a lavarsi come tutti gli altri. Quando hanno i requisiti per accedere alle misure alternative non sempre possono uscire dal carcere, perché fuori non ci sono strutture in grado di fornire loro la necessaria assistenza.

A tutto questo va aggiunto il dato preoccupante che per i detenuti con disabilità fisica esistono sezioni attrezzate in 7 istituti, per una capienza complessiva di 32 posti. Tutti gli altri vivono in celle comuni, quindi non idonee. I problemi legati a questa tipologia di detenuti sono stati al centro dell’attenzione della corte europea di Strasburgo che ha condannato l’Italia per ben quattro volte. L’ultima condanna risale al 2012. A fare causa fu Franco Scoppola, appellandosi all’ articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Lo Stato italiano fu condannato a risarcire l’ex detenuto per un importo di quasi dieci mila euro.

Per far fronte a questi problemi, il Dap ha emanato una recente circolare (datata il 14 Marzo 2016) dove detta le linee guida. Una vera e propria sfida che consiste nel riformare ed adeguare tutti gli istituti penitenziari in maniera tale da far rispettare i sacrosanti diritti dei disabili.

Diritti violati che, non di rado, si trasformano in tragedie sfiorate. Come quella di due anni fa denunciata dall’ex garante dei detenuti del Lazio. Raccontò di un detenuto che tentò il suicidio, in una cella del G11, piano terra di Rebibbia. A salvarlo fu la prontezza del suo compagno di cella, che si buttò per terra, sotto i suoi piedi e ne sostenne il peso, evitando che il cappio improvvisato consentisse l’esito finale del gesto. Il fatto è che il detenuto era una persona con disabilità, che viveva in sedia a rotelle. Non aveva esitato a gettarsi dalla carrozzina, un gesto non naturale e anche pericoloso, in uno slancio di umanità che di per sé ci interroga sulla realtà del carcere, sulla drammatica situazione nella quale queste persone si trovano a vivere. «Le celle e i servizi utilizzati non sono adeguati – disse il Garante Angiolo Marroni – per ospitare disabili. Mancano i supporti e capita spesso che i detenuti siano costretti a stare tutto il giorno in cella. Nel G 11 ci sono persone affette da patologie gravi, che avrebbero bisogno di ben altra attenzione».
la circolare

Nella circolare del Dap a firma del capo Santi Consolo, viene spiegato che l’amministrazione penitenziaria svolge attività di diretta competenza “in tema di monitoraggi, di ordine e sicurezza, di osservazione e trattamento, di traduzioni e piantonamenti, di assegnazione ad istituti o sezioni adeguate e senza barriere architettoniche ” e contribuisce all’accesso del disabile “ai servizi erogati da altre Amministrazioni – in materia di tutela della salute, di reinserimento sociale e lavorativo, di prestazioni per i ciechi, per i sordi o per i sordociechi o per gli invalidi civili – in linea con la legge 8.11.2000, n. 328, legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi socio-sanitari.

GLI AMBIENTI
L’Amministrazione – viene spiegato sempre nella circolare – ha il compito di garantire ambienti adeguati alle limitazioni funzionali della persona nelle diverse forme e gradi che la disabilità può assumere: obesità, mancanza o forte riduzione del visus, limitazioni motorie e posturali. Pertanto – nel caso di realizzazione di nuove strutture penitenziarie ovvero di manutenzione e ammodernamento di quelle esistenti – i provveditorati regionali considereranno l’esigenza di eliminare le barriere architettoniche, prevedendo percorsi e varchi per gli spostamenti verticali e orizzontali, adeguatamente dimensionati e attrezzati per garantire l’accessibilità ai locali frequentati da detenuti e/o operatori disabili, nonché ambienti con servizi igienici dedicati e una camera di pernottamento adeguata per ogni circuito. Inoltre – ordina sempre la circolare del Dap – ai detenuti disabili dovrà essere garantita, con la necessaria assistenza, la libera ed autonoma circolazione all’interno dell’istituto ivi compresa l’accessibilità ai locali destinati alle attività trattamentali.

I TRASFERIMENTI
Il problema del trasferimento per mancanza di celle idonee nel carcere è reale. Molto spesso il detenuto disabile viene trasferito in un altro carcere che si trova lontano dai propri affetti e familiari. La circolare infatti spiega che qualora non siano disponibili ambienti appositamente attrezzati nell’istituto ove è presente il disabile, dovrà essere “verificata la presenza di luoghi idonei nell’ambito degli istituti penitenziari più vicini, al fine di non allontanare la persona dagli affetti e dai riferimenti territoriali”. In ogni caso il Dap intima che, in ossequio al principio della territorialità della pena, si dovrà privilegiare l’istituto più prossimo alla residenza.

I CAREGIVERS
Nel 2015 è stato avviato il primo progetto formativo “Caregivers” nel carcere di Bari. Ovvero un corso per dare le competenze ai detenuti di svolgere il ruolo di “badante” per i compagni di cella con problemi di disabilità fisica. Tale iniziativa formativa era nata per svolgere un cambio di cultura sanitaria che passa dalla mera risposta terapeutica alla presa in carico della persona. Per questo motivo la recente circolare del Dap ordina a tutti i provveditori regionali e alle direzioni penitenziarie di promuovere presso le regioni e le Asl l’organizzazione di corsi di caregivers in linea anche con le specifiche indicazioni sull’argomento fornite dal comitato di prevenzione della tortura a seguito dell’ultima visita effettuata in Italia. L’obiettivo è quello di formare tutti i detenuti lavoranti con competenze adeguate per lo svolgimento di interventi secondo il modello di “caregivers familiare”, comprendente l’igiene della persona, l’aiuto nel movimento e la mobilità in relazione alla limitazione motoria, le modalità di relazione, l’ alimentazione del paziente, le forme di allerta e di intervento per le emergenze.

LE BARRIERE
Ma rimane il problema della società esterna. Molti detenuti, a causa della loro disabilità, non possono usufruire la meritata pena alternativa. Nelle città non esistono strutture adeguate. Difficile trovare un’abitazione consona per il disabile ed è difficilissimo trovare un‘occupazione nonostante le forme di lavoro protetto. Per questo motivo i disabili sono costretti ad espiare la loro pena dentro il carcere. Nella circolare del
Dap non c’è nessun riferimento sulla necessità di sinergia tra carcere e territorio per quanto riguarda i detenuti con disabilità fisica. Anche per questo loro subiscono una doppia pena: sono costretti a subire anche le sbarre esterne.

Damiano Aliprandi da il dubbio

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