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Verso il derby delle barriere: la “vittoria” del Governo è la sconfitta di una città

In vista dell’ennesima stracittadina con le curve divise, il punto della situazione sulla questione stadio. Alfano rivendica il successo delle politiche di sicurezza. L’avvocato Contucci ci spiega invece perché “a perdere è l’intero sistema giuridico”

Venerdì 25 novembre 2016. Per il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, “la sfida è vinta”. Ora, “grazie al decreto sugli stadi”, le partite del campionato italiano “sono sicure”. Sono i numeri a parlare: “Nelle 739 partite di serie A, B e Lega Pro monitorate dall’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive” gli incontri che hanno visto feriti tra il pubblico e le forze dell’ordine “sono scesi del 24 percento”. Così come “sono scesi del 41,7 percento i feriti tra gli spettatori e del 59,4 percento quelli tra gli appartenenti alle forze di polizia”. Non solo: “Sono aumentati del 25,7 percento i denunciati”. Il risultato, secondo Alfano, è che oggi “siamo vicini a restituire il pallone a bambini e famiglie e fare in modo che i violenti non si travisino da tifosi”.

E’ DAVVERO UNA VITTORIA? – Domenica 4 dicembre 2016. Il derby si avvicina ma sono pochi i tifosi della Roma accorsi ai botteghini per acquistare il biglietto. I laziali torneranno invece a riempire la curva Nord, ma solo per questa partita e data la sua importanza. La gente “è stanca”. L’ordine pubblico “avrà anche vinto la sua battaglia contro la violenza all’Olimpico” ma “ha perso la sfida delle libertà”. E’ il risultato di quello che l’avvocato Lorenzo Contucci, da anni impegnato in difesa degli ultras di mezza Italia, ritiene essere “un vero e proprio esperimento sociale”. Le cavie? “Gli ultras”L’obiettivo? “Una sostituzione antropologica: eliminare dagli stadi i tifosi per far spazio ai consumatori”. E’ il concetto stesso di “famiglie allo stadio” a mettere a rischio il calcio fatto di passione, colori, cori: “Qui non si sta cercando di creare un clima talmente tranquillo da consentire a papà, mamma e figli di andare ad assistere a una partita di calcio, cosa ovviamente auspicabile, ma si sta provando a fare di una partita di calcio una gita a Gardaland. Vogliono uno stadio trasformato in un grande parco tematico in cui il pubblico sia assolutamente interscambiabile. Una domenica una famiglia, una domenica un’altra famiglia. Ma la cosa sta andando diversamente …”. E a dimostrarlo è il calo degli spettatori nell’impianto del Foro Italico (fonte Financial Sports).

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L’ULTIMO DERBY, QUELLO “DELLA STRETTA” –  Torniamo ad aprile: domenica 3 è andato in scena il derby della “stretta finale”. All’inizio fu la tessera del tifoso. Con lei, i tornelli. Poi vennero le curve divise dalle barriere e le multe per chi non rispetta il suo posto. Quindi lo scanner biometrico, le telecamere ad alta definizione, i controlli serrati che fermano al prefiltraggio non solo petardi e fumogeni, ma anche striscioni e sciarpe ritenute offensive. I reparti antiterrorismo chiamati a bonificare l’intera area dello stadio, con le auto costrette a fermarsi a due chilometri di distanza. E, infine, anche le truppe a cavallo. Risultato: i tifosi disertarono tristemente lo stadio. Da allora i romanisti non sono più tornati. I laziali lo faranno domenica, ma solo per novanta minuti.

UNO STADIO NON ALL’ALTEZZA – Il problema, evidente a chiunque abbia visto nelle ultime due stagioni almeno una partita allo stadio di Roma e Lazio, è che nella Capitale “non esiste un pubblico in grado di sostituire i tifosi”. Al centro della questione, ovviamente, una struttura non adatta a seguire una partita di calcio. Il campo è lontano. L’impianto non è nemmeno paragonabile in termini di qualità agli stadi europei. “I controlli sono esasperanti. La viabilità congestionata. I prezzi esorbitanti. E il risultato è che a causa di questo sistema di sicurezza, che potrebbe – teoricamente – anche essere corretto, si scoraggia chi vorrebbe andare a seguire la partita dal vivo”. E così chi era solito trascorrere le domeniche seduto sul divano a guardare la sua squadra del cuore ha trovato la compagnia di chi, invece, viveva la Roma o la Lazio con passione e partecipazione. Insomma, stadi vuoti e divani pieni. E’ così che Roma si prepara a vivere l’ennesimo derby spento, triste ricordo delle sfide che furono.

DASPO E BARRIERE – Al centro della discussione, ormai da tempo, ci sono due questioni: Daspo e barriere. Repressione del movimento ultras e curve divise a metà. “E’ come aver messo una lastra all’interno di un cuore. Il cuore ha smesso di battere”. Senza dimenticare la questione delle multe per chi non rispetta il posto assegnato sul biglietto: “Alla seconda multa nella stessa stagione sportiva, e si può prendere una sanzione anche se si cambia di posto in maniera consensuale tra spettatori del medesimo settore, scatta il Daspo fino a tre anni”. E il Daspo, avverte Contucci, “è qualcosa che incide nella vita quotidiana su questioni molto più importanti di una semplice partita di calcio“. Un esempio per tutti: chi è sottoposto a Daspo non può partecipare a concorsi pubblici o rischia di perdere il posto di lavoro.

PREVENZIONE O REPRESSIONE? – Quello che è nato come misura di prevenzione, il Daspo, “si è nel tempo trasformato in uno strumento indiscriminatamente repressivo”. L’esempio più eclatante snocciolato dall’avvocato Contucci – “ma potrei scrivere almeno tre o quattro libri” – riguarda Reggio Calabria, a dimostrazione che “non siamo davanti a un problema solo romano”: diverse persone non pagarono il biglietto del treno per raggiungere la città calabrese, e per questo vennero daspate. Ovviamente “è assolutamente condivisibile che una persona pericolosa per la pubblica sicurezza non possa accedere agli stadi”, ma il problema è che in Europa questa norma viene applicata da un giudice su proposta del questore, mentre in Italia sono direttamente le Questure a comminare queste misure ideate come strumenti preventivi “ma ormai usate come punitivi”.

DALLE CURVE ALLE PIAZZE – Ma chi pensa che la questione dei Daspo riguardi solo gli ultras, si sbaglia di grosso. Ormai da tempo manifestanti e attivisti politici sono puniti con questa misura pensata per i reati di stadio. “Una vera e propria abnormità giuridica che ha purtroppo preso piede nei palazzi di giustizia”. In pratica, spiega l’avvocato Contucci, “è come se ci sia una giustizia per i normali cittadini e una per tifosi e ultras”. Se a finire in una rissa per motivi politici, ad esempio, è un appassionato di cinema, l’iter giuridico seguirà il normale procedimento penale. Ma se la persona in questione è frequentatore dello stadio, ecco che potrà essere daspato. La ratio? “Semplice. Erodere ancora di più il diritto costituzionale a manifestare in questo Paese”.

IL RUOLO DELL’OSSERVATORIO – Sono soprattutto una serie di anomalie, “tutte italiane”, a mostrare come ormai ci si sia infilati in un vicolo cieco sul tema delle curve: in Italia esiste un organo del ministero dell’Interno, l’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, che da ‘tavolo’ di consulenza tecnico-amministrativa “ha ormai assunto il ruolo di Giudice sportivo delle tifoserie“. Nato per dare dei pareri che poi i prefetti avrebbero dovuto scegliere se e come seguire, ormai “ha cambiato funzione”. Ad esempio “ha smesso di valutare gli indici di rischio di ogni singola partita” mutandosi in un “tribunale che valuta il comportamento pregresso delle tifoserie e decide se premiarle o meno con l’apertura dei settori ospiti”. Il risultato è che “per disordini scoppiati in partite a rischio ci si ritrova con le trasferte vietate in partite tranquille e viceversa”.

LA “MANO INVISIBILE” DELL’ECONOMIA – Nessuna soluzione praticabile attivamente. Per l’avvocato Contucci c’è una sola speranza che chiama involontariamente in causa la famosa “mano invisibile” dell’economia: uno stadio vuoto riduce l’appeal “ambientale” di una partita, di cartello e non. In tutto il mondo, in fondo, il derby di Roma è diventato famoso non per la forza calcistica delle due squadre, decisamente non di primo piano, ma per il suo aspetto coreografico. Tanto la Curva Sud quanto la Curva Nord hanno occupato prime pagine in tutto il mondo per la loro capacità di fare spettacolo. Ma ora che il derby è disertato dalla maggior parte della tifoseria organizzata, il fascino della “partita che vale una stagione” è venuto meno. E tutto questo ha reso il “prodotto derby” meno appetibile per le televisioni. E un derby che vale poco o niente economicamente, è un derby destinato a morire dietro la stretta securitaria. O a rinascere dietro future spinte economiche.

Daniele Nalbone e Mauro Cifelli

da Romatoday

 

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