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Riaperte le inchieste per l’omicidio di Peppino Impastato e la strage di Alcamo

Il depistaggio sull’uccisione di Peppino Impastato e quello sulla strage alla casermetta di Alcamo dove furono uccisi due carabinieri ed arrestati quattro innocenti (tra questi Giuseppe Gulotta che dopo 21 anni di carcere ieri è stato assolto ndr) sono oggetto di valutazione della Procura di Palermo e di quella di Trapani“.
Lo dice senza se e senza ma il procuratore aggiunto di Palermo, Antonino Ingroia che insieme ai colleghi della Procura di Trapani, ha riaperto le due inchieste, quella sull’uccisione dei due carabinieri, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, avvenuta il 27 gennaio del 1976 e quella sul militante di Democrazia Proletaria, Peppino Impastato ucciso il 9 maggio 1978.
Non solo ma c’è una terza inchiesta, quella sul “suicidio” di Giuseppe Vesco, anche lui accusato dell’uccisione dei due carabinieri di Alcamo, che fu trovato impiccato nella sua cella, nonostante fosse privo del braccio destro. Vesco era in prigione come gli altri tre “complici”, tutti torturati per estorcere loro una falsa verità. Il motivo? Secondo la procura è possibile che si volesse depistare indagini che avrebbero potuto portare molto in alto, che avrebbero potuto svelare, già negli anni ’70, l’esistenza della struttura militare “Gladio”.

Ci sono troppi elementi in comune tra l’uccisione dei due carabinieri, il suicidio di Vesco, l’arresto dei tre innocenti, e l’assassinio di Peppino Impastato che inizialmente fu fatto passare come un “incidente” avvenuto mentre stava tentando di piazzare dell’esplosivo sulla linea ferroviaria da Trapani a Palermo vicino a Cinisi. La storia di Peppino Impastato, della sua “Radio Aut” che dava fastidio alla mafia perché parlava chiaro, della sua uccisione ad opera del boss Tano Badalamenti è stata immortalata nel film “I cento passi” e in tanti libri e pubblicazioni e anche in sentenze di condanna a carico di Tano Badalamenti (ergastolo) e Vito Palazzolo (30 anni). Oggi, con la riapertura dell’inchiesta, la vicenda prenderebbe un contorno diverso. Peppino Impastato fu ucciso, sì, dalla mafia ma, probabilmente, all’interno di un disegno più ampio e complesso che unisce anche la strage di Alcamo e la morte di Vesco. Vediamo come.
L’assoluzione di Giuseppe Gulotta e le indagini che hanno portato finalmente a fare giustizia, almeno per lui, hanno provocato una serie di altre inchieste che hanno già riscontri oggettivi. Per questa ragione, nei giorni scorsi, è stato interrogato dalla Procura di Palermo il Generale Giuseppe Subranni, come persona informata dei fatti. Subranni, all’epoca, era comandante provinciale dei carabinieri e che con i suoi uomini coordinò le due inchieste che portarono a strade completamente diverse dalla verità. E dopo Subranni saranno sentiti anche gli altri carabinieri, ormai pensionati e ultraottantenni, che parteciparono a quelle inchieste e alle torture subite da Vesco, Gulotta e dagli due innocenti che da oltre 30 anni sono “latitanti” in Brasile.
Il filo comune che unisce la morte di Impastato con il “suicidio” di Vesco e l’attentato alla caserma dei carabinieri di Alcamo è consacrato in alcune “carte” e delle dichiarazioni di alcuni pentiti, come Vincenzo Calcara e Giuseppe Ferro, che adesso sono al vaglio delle due procure siciliane. Si è scoperto che, subito dopo l’attentato alla casermetta di Alcamo Marina i militari della squadra coordinata da Subranni e dall’allora capitano Giuseppe Russo (che, poi, morì in un attentato a Ficuzza nell’agosto del 1977), fecero una perquisizione nella casa di Giuseppe Impastato ritenendolo in qualche modo coinvolto, insieme a Giuseppe Vesco, nell’uccisione dei due carabinieri. Quando, due anni dopo, lo stesso giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, il cadavere di Peppino Impastato venne ritrovato sui binari della ferrovia, i carabinieri indicarono la falsa pista dell’incidente o del suicidio e la sua casa di Cinisi venne nuovamente perquisita. Durante quella perquisizione i militari portarono via numerosi documenti: tra questi c’era un fascicolo intestato proprio a “Giuseppe Vesco”. Conteneva le indagini private che Peppino Impastato aveva svolto dopo essere stato perquisito in seguito all’attentato alla caserma di Alcamo Marina. Il giovane, attraverso i suoi canali, quelli soprattutto dei militanti di Democrazia Proletaria, era arrivato a ipotizzare che l’uccisione del carabiniere Apuzzo e dell’appuntato Falcetta fosse legata al fatto che i due, in una normale operazione di servizio, avevano involontariamente fermato un pulmino che trasportava armi che facevano parte dell’arsenale di “Gladio”.
Giovanni Impastato, fratello di Peppino, è l’uomo che con tantissime iniziative tiene viva la memoria del giovane conduttore di “Radio Aut”. “Ricordo – racconta oggi – che mio fratello poco prima di morire, si stava interessando attivamente alla strage della casermetta di Alcamo Marina. In seguito a quel fatto, gli uomini dell’Arma erano venuti a perquisire casa nostra dato che mio fratello era considerato un estremista. Da lì Peppino iniziò a raccogliere informazioni sulla questione, notizie che accumulava in una specie di dossier: una cartelletta che fu sequestrata e mai più restituita”. E di quella cartelletta di “controinformazione” di Peppino Impastato su Giuseppe Vesco e sull’attentato alla Casermetta di Alcamo, si trova traccia in un verbale di sequestro dei carabinieri. Ma soltanto il verbale, a distanza di oltre 30 anni, è stato ritrovato, non il dossier di Peppino Impastato. Che fine ha fatto?
Adesso dopo l’assoluzione di Giuseppe Gulotta ingiustamente condannato perché torturato insieme ai suoi presunti complici, le procure di Palermo e Trapani vogliono sapere chi, oltre alla mafia di Don Tano Badalamenti, partecipò all’uccisione di Peppino Impastato, perché furono depistate le indagine sulla sua morte, perché Giuseppe Vesco fu “suicidato”, perché furono arrestati quattro innocenti e tortutati. Chi c’era dietro tutta questa regia stragista e di depistaggio?
 

Francesco Viviano da Le inchieste di Repubblica

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