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USA: Perchè definanziare, smantellare e abolire la polizia

Il nuovo abolizionismo. Un attivista di Minneapolis racconta la campagna e le idee del movimento che si batte perché venga definanziata la polizia: «Ci rifacciamo al movimento che abolì la schiavitù»

Definanziare, smantellare e abolire la polizia sono state alcune tra le rivendicazioni più forti e concrete delle mobilitazioni che hanno travolto gli Stati uniti nelle ultime settimane. L’illusione di poter riformare i corpi di polizia ha lasciato il passo alla consapevolezza delle radici storiche e strutturali della violenza poliziesca.

MPD150 è un’organizzazione fondata nel 2017 il cui nome fa riferimento ai 150 anni di esistenza di quel dipartimento di polizia di Minneapolis che aveva sede nell’edificio dato alle fiamme durante le rivolte seguite all’omicidio di George Floyd. Il suo principale obiettivo è educare le persone a comprendere cosa significa costruire una società senza polizia. Quest’obiettivo è nato dopo 150 anni di collusione del Minneapolis police department con il sistema coloniale e schiavista, con il suprematismo bianco e con la violenza razzista e anti-sindacale, una violenza strutturale che è sopravvissuta ai vari tentativi di riforma.

Tony Williams, è un giovane attivista di MPD150, rapper e co-produttore del podcast What’s good, man? che esplora i limiti e le potenzialità della mascolinità, e ha risposto ad alcune domande sulle ragioni e gli obiettivi delle mobilitazioni nate dopo l’omicidio di George Floyd.

Qual è, e qual è stato, il ruolo delle organizzazioni sociali prima, durante e dopo l’insurrezione di Minneapolis?

Le rivolte e le insurrezioni di queste settimane sono state spontanee, ciò che le organizzazioni hanno fatto è stato coltivare il terreno affinché una volta esplosa la rivolta si riuscisse a far convergere questa spinta verso richieste e discussioni abolizioniste, invece che verso le richieste di riformare il corpo di polizia. Per quanto riguarda il «prima», da anni abbiamo lavorato nelle comunità delle Twin Cities [Minneapolis e St. Paul] insistendo su queste tematiche, abbiamo cercato di creare un contesto e gli strumenti per la comprensione di quale dovrebbe essere il campo di battaglia e quali i nostri obiettivi. Durante la rivolta abbiamo solo cercato di sostenere le persone che sono scese in strada e abbiamo partecipato al loro fianco durante le mobilitazioni. Dopo l’insurrezione abbiamo cercato di capire come interpretare il cambiamento nella cultura e nella percezione dell’opinione pubblica avvenuto durante l’insurrezione e abbiamo cercato di incanalarla verso un cambiamento concreto.

Come va interpretato l’annuncio del consiglio comunale di Minneapolis di iniziare un percorso mirato alla ricostruzione della gestione della sicurezza pubblica?

Penso che l’impegno preso da parte del consiglio comunale rappresenti una decisione storica. Abbiamo sempre sostenuto la prospettiva abolizionista e siamo coscienti che il sistema di polizia non possa essere smantellato dall’oggi al domani. Ci deve essere un processo graduale in cui trasferiamo le risorse dalla polizia alle soluzioni alternative che si occupano della sicurezza della comunità. Sembra che sulla scia della rivolta per George Floyd i consiglieri comunali e la popolazione di Minneapolis abbiano finalmente preso coscienza e siano ora pronti per iniziare questo processo. Quindi l’impegno preso dal Consiglio comunale lo interpreto come un inizio, non un punto d’arrivo. È il nostro inizio, dobbiamo mantenere aperta questa conversazione con le comunità rispetto a quale tipo di sicurezza vogliamo portare avanti nella nostra città. Sostanzialmente il lavoro che ci spetta come MPD150 non è diverso da quello che abbiamo fatto dal 2017 a oggi, cioè dare gli strumenti alle persone per poter comprendere cos’è una società libera dalla polizia, quali sono le alternative già esistenti e perché il sistema di polizia non funziona e dobbiamo sostituirlo con qualcosa di diverso.

Come si possono preparare le comunità in vista del passaggio a una società senza polizia?

Penso che la cosa più importante sia che la comunità debba essere più interconnessa e dotata di maggiori risorse, dobbiamo prepararci a prenderci cura l’uno dell’altro dato che lo Stato non può prendersi cura di noi. A Minneapolis abbiamo visto che durante le due settimane di rivolte molti negozi hanno dovuto chiudere e sono apparsi nazionalisti di estrema destra, persone che si sono presentate nei nostri quartieri e che hanno causato problemi nelle nostre città, e la nostra comunità si è riunita e ha creato unità di primo soccorso e distribuito cibo e rifornimenti gratuiti. Sono state create reti comunitarie che si sono dedicate alla prevenzione rispetto ai suprematisti bianchi, si sono assicurate che nessuno venisse ferito e si sono attivate per domare gli incendi. Penso che questo sia un esempio di una parte dell’infrastruttura di cui abbiamo bisogno per fare questo lavoro. Ma penso anche che per fare un buon lavoro di abolizione dobbiamo avere delle fondamenta solide e una chiara consapevolezza del perché stiamo combattendo per l’abolizione e del perché esigiamo delle alternative per le varie funzioni a cui, in teoria, la polizia dovrebbe adempiere. Il nostro rapporto MPD150 , scritto nel 2017, contiene molte informazioni su come pensiamo che queste soluzioni alternative possano essere organizzate a Minneapolis. Crediamo anche, però, che la sicurezza possa prendere forme diverse in ogni comunità e che ogni comunità debba aprire una discussione profonda su come gestire e promuovere la sicurezza e su che tipo di risorse e infrastrutture si debbano costruire. Se guardiamo, ad esempio, la questione della salute mentale vediamo che il sistema sanitario statunitense è così devastato che molte persone non possono permettersi l’assistenza sanitaria psicologica o psichiatrica e le infrastrutture che offrono questi servizi alla comunità non ricevono abbastanza fondi. Quindi molte persone che vivono un acuirsi delle loro problematiche sanitarie possono chiedere aiuto solamente attraverso il numero d’emergenza 911. Quando chiamano il 911 è la polizia che risponde. La polizia diventa quindi la prima risposta alle crisi legate alla salute mentale. Lo scenario che si crea è che ti ritrovi una persona pesantemente armata e con un addestramento sanitario elementare che risponde a una crisi di salute mentale. Una persona armata con una pistola che è stata preparata a sparare come prima cosa, e solo dopo a porre le domande. Ciò non ha alcun senso, non è un buon modo per affrontare quelle situazioni, un ufficiale non è formato per gestire bene situazioni del genere e le persone finiscono per soffrire gravemente e a morire per questo motivo. Esiste invece un modello che viene applicato nella Contea di Hennepin, di cui fa parte Minneapolis, dove puoi chiamare un numero specifico e un professionista della salute mentale disarmato risponderà alla chiamata e sarà inviato sul luogo per aiutarti. Purtroppo, però, questo programma è insufficiente e non puoi semplicemente chiamare il numero di emergenza standard, il 911, e accedervi. Per molte persone è difficile anche solo sapere dell’esistenza di questo servizio, e considerando la sua capacità limitata è possibile che nel momento in cui tu fai la chiamata i soccorritori siano già usciti per risolvere altre emergenze e che nessuno possa risponderti. Per questo chiediamo di cambiare la destinazione della grande quantità di denaro che viene fornita al dipartimento di polizia e esigiamo inoltre che il servizio di emergenza per i problemi di salute mentale venga trasferito al di fuori del dipartimento. Questo è il vero obiettivo e ci sono tante altre questioni che si pensa che la polizia sia in grado di risolvere e che invece potrebbero essere gestite meglio da altre organizzazioni. Per esempio per quanto riguarda il consumo di droghe va depenalizzato il consumo, abbiamo visto l’esempio del Portogallo [dove i fondi per la persecuzione dei reati sono stati dirottati verso la prevenzione e all’assistenza dei cittadini, riducendo le statistiche sul consumo di sostanze e i reati connessi ad esso, Ndr] e altri esempi che mostrano come ciò renderebbe la nostra città un luogo più sicuro, sia per chi consuma queste sostanze sia per chi non le consuma. La stessa cosa deve essere promossa rispetto al lavoro sessuale. Esistono soluzioni molto diverse per le diverse parti del problema. Dobbiamo essere creativi nell’approcciare ogni singolo aspetto della sicurezza nella comunità.

Cosa risponderesti alle persone che temono che senza la polizia il tasso di criminalità potrebbe aumentare e che le loro famiglie si troverebbero in pericolo?

Innanzitutto è importante sottolineare che la polizia non previene né impedisce i crimini, i poliziotti intervengono solamente in risposta ai crimini. Se si considera il robusto corpus di studi prodotto dalle scienze sociali si noterà che i fattori principali correlati con il crimine all’interno di una comunità sono la povertà e la mancanza di risorse. Quindi un approccio logico consisterebbe nel fornire più risorse, promuovere programmi sociali e assicurarci che le persone possano accedere alle cose di cui hanno effettivamente bisogno, allora sì che vedremo una sostanziale riduzione del crimine. Questo è il tipo di mondo in cui vogliamo vivere. Ovviamente dovrà sempre esserci un servizio a cui le persone in difficoltà possono rivolgersi, con dei professionisti che siano in grado di aiutarti se hai a che fare con situazioni pericolose o violente. Non stiamo cercando di abolire l’aiuto, stiamo cercando di abolire la polizia. È importante riconoscere che l’umanità ha vissuto su questo pianeta per 200 mila anni e le forze di polizia professionali moderne sono state create solo nel 1600, quindi per più del 99% della sua storia, la nostra specie ha trovato un modo diverso dalla polizia per mantenere sicure le persone. Ci sono inoltre un gran numero di comunità in tutto il mondo che oggi non hanno un sistema di polizia e riescono a promuovere una società più sicura e prospera. Sono quelli gli esempi a cui dobbiamo guardare per cercare di decostruire le nostre paure riguardo all’idea dell’abolizione della polizia. Ad esempio il mio mentore proviene da una comunità che sorge tra le montagne del Porto Rico e non aveva mai visto un ufficiale di polizia fino a quando non si è trasferito negli Stati uniti. Se guardiamo a modelli come quello del Rojava in Siria o agli zapatisti in Chiapas, hanno strutture alternative per affrontare i crimini nelle comunità che non corrispondono alle forze dell’ordine militarizzate. Possiamo citare anche l’esempio delle comunità native del Nord America, le quali tradizionalmente non hanno un apparato di polizia, e si affidano ad altre pratiche per gestire i problemi di devianza, e lo stesso vale per le comunità di cacciatori e raccoglitori di tutto il mondo. Ci sono inoltre zone autonome in molte parti del pianeta che gestiscono la sicurezza e la devianza senza l’utilizzo della forza armata. Anche qui a Minneapolis durante le prime settimane di insurrezione la polizia è stata quasi inutile, se non dannosa. I poliziotti si sono dedicati principalmente a colpire con violenza e arrestare i manifestanti, mentre noi stavamo risolvendo collettivamente i problemi di sicurezza che spuntavano nel nostro quartiere, come gli incendi e i suprematisti bianchi.

Pensi che costruire strategie per risolvere le crisi e le problematiche sociali senza ricorrere alla violenza estrema e agli equipaggiamenti militari possa aiutare a mettere in discussione l’ideologia patriarcale e i suoi modelli culturali? Quali pensi possano essere le conseguenze per i problemi legati alla violenza di genere in assenza di un dipartimento di polizia?

Siamo abituati a vedere applicata una risposta molto patriarcale al danno e al dolore nella nostra società, ovvero chiediamo alle persone più pericolose, violente e con una mascolinità più tossica di gestire anche le più semplici questioni diplomatiche e vediamo il fallimento di questo sistema tutti i giorni nel quotidiano, soprattutto per quanto riguarda le persone povere, la comunità Nera, i non-bianchi, le donne e i soggetti non-binari. Dato che cerchiamo di decostruire le nostre stesse risposte come uomini al danno causato dai modelli patriarcali e cerchiamo di risolvere i conflitti e le crisi autonomamente nelle nostre comunità, allora ci aspettiamo che anche la società debba proporre un approccio migliore e più olistico alla gestione e riduzione del danno. Dobbiamo incarnare noi stessi una migliore risposta alla violenza e al dolore, sia verso chi ne è causa sia verso le vittime.

Per quanto riguarda le conseguenze è importante riconoscere che la polizia risponde alla maggior parte delle richieste di aiuto legate alla violenza di genere in modo pessimo, non è per niente competente nel rispondere a questioni come gli abusi sessuali e la violenza domestica, anzi in realtà commette questi crimini a un tasso superiore rispetto alla popolazione generale. Quindi il sistema attuale non sta risolvendo questi problemi e non risponde ai bisogni effettivi della popolazione. Penso che soprattutto le persone sopravvissute alle molestie sessuali e alla violenza domestica dovrebbero essere quelle incaricate di guidare la creazione di soluzioni alternative. Non ho esperienza diretta con nessuno di questi problemi, quindi non credo di essere legittimato a parlarne, ma direi che le persone sopravvissute alla violenza dovrebbero essere i soggetti coinvolti nella costruzione di modelli di intervento più efficaci.

La funzione dell’incarcerazione di massa negli Stati uniti viene paragonata a quella delle Leggi di Jim Crow, un sistema in grado di perpetuare la segregazione razziale anche quando questa formalmente è stata abolita. Pensi che la lotta per il de-finanziamento e l’abolizione della polizia possa frenare l’incarcerazione di massa dei membri della comunità Nera e la segregazione razziale negli Stati uniti?

Assolutamente sì. Prima di tutto la ragione per cui ci definiamo abolizionisti è perché ci sentiamo parte della tradizione del movimento per l’abolizione della schiavitù, dell’incarcerazione di massa e dei lavori forzati che esiste in quelli che oggi chiamiamo Stati uniti fin dal 1619. Nessuna persona è mai stata incarcerata senza prima entrare in contatto con gli agenti di polizia. Quindi, anche se crediamo nell’abolizione delle carceri, vogliamo sottolineare che la polizia è l’estensione più visibile del sistema di giustizia penale. Per la maggior parte delle persone rappresenta l’elemento più semplice per iniziare un processo di smantellamento anche del sistema di detenzione di massa. Quindi se ci fossero meno poliziotti, allora meno persone della comunità Nera verrebbero arrestate, processate, condannate e un numero inferiore di loro finirebbe in prigione. Una parte del problema con la polizia non è solo legato agli omicidi illegali dei membri della comunità Nera, ma è anche l’apparato quotidiano che spinge le persone sempre più verso un sistema di criminalizzazione. Quello che stiamo cercando di fare è focalizzarci su questo nodo, e il sistema di polizia in questo momento è il filo da tirare per scioglierlo.

La richiesta di spostare i finanziamenti dai dipartimenti di polizia ai servizi di cura e prevenzione delle comunità è una rivendicazione in aperto contrasto con l’ideologia capitalista e con la dottrina neoliberista. Pensi che questa battaglia possa aprire altri fronti di critica al capitalismo suprematista e patriarcale?

Sì, decisamente, penso che la polizia e la violenza di Stato in generale siano l’estensione più visibile della supremazia bianca capitalista etero-patriarcale. Quindi se potessimo smantellare questo sistema che sostiene tanti altri sistemi di oppressione, e che causa il danno forse più visibile, otterremmo un’opportunità per passare a un approccio più olistico per smantellare le altre parti del sistema. Credo che questo nodo rispecchi dinamiche più ampie. Poter togliere i finanziamenti alla polizia, e investire nei servizi sociali e di cura, può significare anche rinunciare ai modelli produttivi che ci danneggiano e che sono basati sulla scarsità e sulla difesa dei privilegi e investire invece nel benessere delle comunità. Questo ci permetterà di sviluppare un approccio olistico alla comprensione di chi siamo e del perché facciamo il lavoro che facciamo.

Qual è stato il contributo della musica e delle arti in generale nel consolidamento della coscienza politica delle comunità oppresse?

MPD150 è composto soprattutto da persone che lavorano nel campo artistico, c’è chi si occupa della parte organizzativa e chi lavora più sulla componente creativa. L’opportunità di stimolare la coscienza della comunità riguardo l’abolizione è stata un’esperienza preziosa. Se non avessimo svolto questo lavoro organizzativo la discussione sullo smantellamento della polizia che stiamo vedendo in questi giorni non avrebbe le stesse radici profonde e robuste che invece oggi possiede. Penso che il processo artistico e creativo della costruzione dei report, delle mostre d’arte che abbiamo ospitato, degli audiolibri che abbiamo pubblicato hanno fornito strumenti per aiutare a influenzare l’opinione pubblica e modificare la percezione di cosa significhi veramente l’abolizione della polizia. Più in generale ci sono stati un certo numero di libri che sono stati utili nel movimento, per esempio Are prison obsolete? di Angela Davis e The end of policing di Alex Vitale. Ci sono molti podcast che hanno svolto una funzione strumentale nel costruire consapevolezza sull’abolizione come Surviving the end of the world di Autumn e Adrienne Maree Brown, e Ear Hustle che parla di ciò che la gente vive nella prigione di San Quentin, California, che è un altro esempio di come rendere visibili gli invisibili e costringere le persone a confrontarsi con l’esperienza vissuta dalle persone incarcerate. Anche la musica ha avuto e tuttora ricopre un ruolo importante, penso sia necessaria anche a livello spirituale. La musica può contribuire alla formazione politica, personalmente in passato l’ho usata anche per questo, ma credo che sia utile soprattutto a sostenere il nostro benessere emotivo mentre lottiamo contro il sistema. La musica è capace di rinvigorire, di sostenere e curare. Quindi sono molto grato di essere in un movimento con così tanti artisti qui a Minneapolis.

Intervista per Jacobin Italia a cura di Gianpaolo Contestabile, psicologo, operatore sociale e ricercatore indipendente, si occupa di comunicazione collaborando con collettivi politici e media comunitari tra l’Italia e l’America Latina. Tony Williams, è un giovane attivista di MPD150, rapper e co-produttore del podcast What’s good, man?

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