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Francia: Lo stato d’emergenza contro le lotte sociali

La violenta repressione poliziesca sommata all’utilizzo dell’articolo 49-3, che nega la discussione parlamentare della legge e costringe al silenzio chi contesta dentro e fuori l’Assemblée nationale, sono gli strumenti che ha in mano Hollande per governare la Francia insieme al patronato “e il suo mondo”.

Negli ultimi tre mesi il “fronte del no” alla legge El-Khomri ha organizzato sei manifestazioni sindacali e studentesche nazionali, un Primo Maggio storico di lotta e centinaia di mobilitazioni che hanno innervato l’intera Francia con le nuitdebout, le azioni pacifiche e simboliche, le occupazioni a sostegno dei migranti o dei lavoratori intermittenti. A tutto questo il governo ha deciso di rispondere con la presenza in massa di polizia antisommossa e l’uso sproporzionato della forza, di armi da guerra, droni, elicotteri, di corpi speciali anti-terrorismo (come il RAID) e con l’intervento dell’apparato militare, da Rennes a Marsiglia. Inoltre sono centinaia i manifestanti colpiti dall’apparato giudiziario che si è spinto, in questi ultimi giorni, fino ai divieti preventivi (DASPO) di partecipare a scioperi e manifestazioni.

Per chi difende i diritti sul lavoro e la garanzia di un reddito dignitoso non esistono avversari ma nemici.

Fino a marzo i media main stream osavano ancora citare i sondaggi – e mostravano che il 75% di francesi si opponeva alla Loi Travail – oggi gli stessi tacciono, il selciato macchiato di sangue viene ignorato e le nubi di gas lacrimogeno come il rombo degli elicotteri della gendarmerie coprono l’operato dei “casseurs” della fraterna patria dei diritti e della libertà; la stessa libertà che aveva tanto eccitato gli animi dei “charlie” solo un anno fa.  Il risveglio dalla sbronza nazionalista a sei mesi dagli attacchi terroristi alle “terrasses de café”, al Bataclan e allo Stade de France, è stato tanto brutale quanto necessario.

La politica della paura ha perso, la legge stigmatizzante e discriminatoria sull’identità nazionale è fallita. Senza il dispositivo dell’emergenza massificato e il ‘golpe’ costituzionale, la Legge El-Khomri sarebbe finita in un cassetto, certo non dimenticata, magari votata ma non applicata come era accaduto per il CPE nel 2006 con Chirac. L’opposizione al disegno politico del PS, ad un anno dalle elezioni presidenziali, spiega sia l’inflessibilità dei movimenti francesi, sia la cieca ostinazione di Hollande.

Il governo, per impedire ogni forma di lotta contro la Loi Travail, ha imposto la chiusura amministrativa di licei e università, seguita da consigli disciplinari ed espulsioni violente con aggressioni e minacce. Non si contano i feriti, alcuni gravi con infermità permanenti come la cecità, gli arresti, accerchiamenti e cariche continue a Place de la République, le violenze poliziesche quotidiane contro assemblee e manifestazioni o manifs sauvages. Carcere per uno studente di Nantes accusato di ‘tentato omicidio” di un poliziotto. E’ in atto una repressione giudiziaria di massa.

Lo stato d’emergenza, prolungato fino al Tour de France per contrastare il terrorismo, espone intere popolazioni – specialmente quelle che abitano nelle cités – ad un aumento della violenza poliziesca. Gli studenti liceali e universitari, così come i movimenti contro la Cop21 nel 2015 e dal 2016 contro la Legge sul Lavoro, stanno scoprendo e vivendo le condizioni repressive che i quartieri popolari conoscono da anni: la violenza sta da una sola parte ed è politica.

Il 49-3, il passaggio forzato della legge, è stato definito un’”arma contro la democrazia” dagli stessi parlamentari contrari alla El-Khomri. Come accade dal 9 marzo, la risposta dell’unione intersindacale – i comitati nazionali di 7 sindacati (CGT, FO, FSU, SUD-Solidaires, UNEF, UNL e FIDL) – è stata prevedibile e immediata: scioperi e mobilitazione ad oltranza, moltiplicarsi dei blocchi all’apparato economico, porti e aeroporti, dai trasporti pubblici all’istruzione, dalla sanità alla posta, dalla logistica alle raffinerie.

Il 12 maggio, cortei in tutta la Francia hanno denunciato la presa in ostaggio parlamentare e l’adozione del testo di Legge El-Khomri con una giornata di sciopero nazionale. Azioni e occupazioni in molti punti nevralgici delle differenti città francesi hanno caratterizzato l’espandersi delle lotte e la volontà di decentrarsi rispetto ai cortei, ritenuti sempre più militarizzati e insicuri. In alcune città, come a Rennes o a Nantes, il rapporto tra manifestanti e polizia è stato 1:1.

Un altro dispositivo messo in atto per tentare di contenere e controllare i manifestanti è il divieto preventivo di manifestare deciso dai soli prefetti in maniera arbitraria (art.5 dello stato d’emergenza). Da questa settimana decine di persone appartenenti ai collettivi antifascisti e ai movimenti studenteschi indipendenti dai sindacati non possono avvicinarsi alle zone di mobilitazione temporanea (dalle 11 alle 20) o permanente (dalle 18 alle 7) come le piazze nuitdebout. Questo abuso dello stato d’emergenza contro chi manifesta invece di dissuadere ha rinforzato la “convergenza” delle lotte e il livello di scontro con  le forze dell’ordine si è alzato e diffuso fin dalle prime repressioni di massa. Non esiste un “gruppo di elementi più radicalizzati” (i famosi “300” che in realtà sono qualche migliaio) ma tanti gruppi diversificati che hanno condiviso delle pratiche di lotta e di autodifesa convinti che non basti più “indignarsi”. La “palestra di democrazia” delle nuitdebout ha assunto per migliaia di persone il suo pieno significato nella difesa solidale del diritto a manifestare “contro la legge sul Lavoro e il suo mondo”, rifiutando di disperdersi sotto il bombardamento chimico di gas lacrimogeni e correndo il rischio di un impatto con le forze dell’ordine.

Mercoledi 18, il sindacato Alliance (fascista) della Polizia ha indetto un presidio, “Stop all’odio anti-poliziotto”, a Place de la République a Parigi, scegliendo di occupare – armato e difeso – un luogo simbolico delle mobilitazioni e di provocare ancora una volta movimenti e cittadini che partecipano aNuitdebout. Sono previste contro-manifestazioni in una cinquantina di città francesi.

Mentre la Police républicaine e la BAC (brigata anti-criminalità) saturano gli schermi e le testate giornalistiche con la propria “legittima difesa”, Hollande annuncia per l’ennesima volta che “non farà un passo indietro, la legge sarà votata”. Ad ogni apparizione mediatica, il governo – nelle vesti del presidente come dei ministri, in particolare del primo ministro Valls o del ministro dell’Interno Cazeneuve – dichiara “fermezza e determinazione” nella difesa della legge, quella del lavoro come del dispositivo dell’emergenza, mentre le piazze e l’opposizione parlamentare vengono ridotte a “minoranze” di cittadini“incompetenti”, sindacati “incapaci”, giovani “manipolati”.

Le organizzazioni studentesche e i sindacati non hanno intenzione di cadere nelle trappole delle divisioni dall’alto di “buoni e cattivi” e, nei loro comunicati, rivendicano l’insieme delle forme di lotta, delle azioni e pratiche radicali a difesa del diritto di manifestare. Inoltre sono migliaia le persone, compresi i passanti testimoni delle violenze poliziesche, che dimostrano solidarietà continuando a scendere nelle piazze e nelle strade. Non saranno né il 49-3, né le ingiunzioni dei prefetti, né la grottesca campagna mediatica contro i “casseurs” a negare la piazza a centinaia di migliaia di cittadini.

L’adozione del testo di legge in prima lettura senza voto parlamentare non ha fermato le mobilitazioni che si sono date ulteriori appuntamenti nelle giornate del 17, 18 e 19 maggio contro la Legge sul Lavoro e contro la violenza di Stato. Alla testa dei cortei gli “ingovernabili”: comitati d’azione composti dal coordinamento studentesco e dai lavoratori precari, dagli intermittenti e dai collettivi LGBT. Come ricorda lo striscione femminista del maggio 2016 – “Les femmes sont comme les pavés, à force de marcher dessus…on se les prends sur la gueule !” (Le donne sono come i sampietrini, a forza di calpestare… li si prende sul muso ! Ndt.) – una convinzione tiene insieme le lotte: la convergenza delle pratiche con azioni dirette, determinate e generalizzate, è l’unico strumento per far fronte all’abolizione dei diritti sul lavoro e alla violenza che nega il diritto di manifestare contro la precarizzazione della vita e il suo sfruttamento.

da GlobalProject

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