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Caso Vito Daniele: Perchè si vuol nascondere la verità???

Vito Daniele era un ragazzo di 36 anni che lavorava a Roma come perito informatico. Con sua moglie Mariella avevano tre figli e vivevano in provincia di Bari, nel comune di Casamassima. Vito era un emigrante per lavoro, che durante la settimana viveva lontano dalla sua famiglia e solo nei week end tornava dai suoi figli. Era il 9 maggio del 2008 e Vito stava proprio rientrando a casa. Nella sua macchina, regali per i figli piccoli e tanta voglia di riabbracciare tutta la sua famiglia. Una vita normalissima, scandita ogni settimana da un viaggio di andata e uno di ritorno, ma quel giorno qualcosa non andò come doveva andare.

Vito fu, infatti, fermato all’improvviso in autostrada da una volante della Guardia di Finanza con a bordo un solo militare, il tenente Roberto Russo della tenenza di Ariano Irpino, piccolo comune dell’avellinese. Fu bloccato su un tratto dell’autostrada A16, nel territorio del comune di Pietradefusi, in provincia di Benevento; non certo un tratto autostradale molto sicuro quello che si percorre per arrivare a Bari, in particolare quello compreso tra Benevento e le due uscite di Avellino est ed ovest. Il paesaggio tutto intorno è collinare, si alternano innumerevoli curve e lunghe gallerie, il tutto reso ancora più pericoloso da numerosi tir e mezzi pesanti che fanno, ormai, quasi parte del paesaggio in quella zona. Vito venne fermato proprio in prossimità di una galleria e subito dopo una di queste pericolose curve; non venne fatto accostare su una piazzola di sosta ma bensì nella corsia d’emergenza. Vito scese dalla sua auto mentre transitava un tir guidato da un autista ucraino, Viktor Adamchuk, che investì il giovane perito informatico uccidendolo sul momento. Un banale controllo, forse per eccesso di velocità, si è trasformato in una tragedia che ha distrutto la vita della moglie Mariella, dei loro tre figli e di tutti coloro che conoscevano Vito.

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Sono passati circa sei anni da quel tragico giorno e i dubbi sulla morte di Vito Daniele sono ancora tanti. C’è stato un processo, la sentenza è uscita nemmeno un mese fa, che ha assolto il militare e condannato l’autista ucraino. Una decisione però non accettata dalla moglie di Vito, la signora Mariella Zotti che non ha mai smesso di cercare la verità riguardo la morte di suo marito, una morte secondo la ricostruzione processuale avvenuta per una semplice banalità, un sinistro stradale.
Mariella Zotti non è convinta però di questa tesi e con questa intervista ci spiega il perché.giustizia per vito daniele

La sentenza pronunciata lo scorso 21 febbraio presso il Tribunale di Benevento ha assolto, per non aver commesso il fatto, il tenente della Guardia di Finanza Roberto Russo, mentre ha condannato a sei mesi con pena sospesa l’autista ucraino Viktor Adamchuk. E’ stata confermata, di fatto, la tesi del semplice sinistro stradale, un banale incidente che ha causato la morte di suo marito. Lei non ha mai creduto a questa tesi, ci spieghi il perché.

Incomincio col dire che la sentenza mi lascia meno sorpresa della richiesta del rinvio a giudizio e spiego il perché. Hanno costruito tutto per chiudere il processo in un sinistro stradale. Il militare in macchina, Vito fuori dall’auto e il tir che lo travolgeva. Doveva chiudersi così. Il consulente della Procura in base alle informazioni che ho appena elencato non ha potuto fare altro, attribuendo quasi la responsabilità dell’accaduto a Vito e dando quindi la colpa materiale al conducente del tir che non frenò. A questo punto c’è solo una lieve responsabilità del tenente, cioè quella di aver scelto un posto non idoneo per il fermo, ma l’accusa contro di lui è di conseguenza veramente leggera.

In una recente intervista, commentando proprio la sentenza, ha sottolineato come lei stessa abbia fornito elementi di prova che non sono mai stati accettati ne considerati nel processo e che molti testimoni sono stati considerati inattendibili. Si è fatta un’idea sul perché c’è stato questo atteggiamento nei confronti delle sue segnalazioni?

Il problema in tutta questa storia sono stata io che ho sempre messo in dubbio la ricostruzione alla base della sentenza del processo. Non mi sono fermata, ho continuato con le mie interviste e con la mia ricerca di verità, cambiando anche avvocato una serie di volte. Con l’indagine investigativa e le mie ricerche le cose diventavano sempre più chiare. Le persone che abitano nei pressi dell’autostrada hanno ribaltano le dichiarazioni delle forze dell’ordine, ma sono state dichiarate inattendibili. Sapevano già dal giorno successivo a quel 9 maggio quale sarebbe stata la sentenza, infatti è stato proprio così. Ho così cercato di allargare il processo con le mie prove ma niente. In questi casi è sempre così, i pm non contrastano le dichiarazioni delle forze dell’ordine e non si fanno indagini adeguate e corrette. Come ho chiarito nella lettera che ho inviato al Presidente della Repubblica Napolitano e letta in udienza dal Giudice, che ringrazio perché più volte ha ribadito che posso sempre produrre prove e che la mia lettera sarebbe finita nel fascicolo in quanto trattasi di un documento importante, Vito è stato scambiato per un contrabbandiere. Infatti articoli precedenti al 9 maggio 2008 parlano di controlli a tappeto e tensione altissima della Guardia di Finanza per contrastare lo spaccio di stupefacenti ed armi. Il fermo di mio marito ha sicuramente un altro movente però. I testimoni raccontano anche di aver visto i bagagli sull’asfalto, per non parlare delle posizioni delle macchine dopo l’incidente che non sono ancora chiare. Infatti le perizie sono contrastanti fra di loro. Ci tengo a precisare che so della presenza di testimoni sul posto solo perché sono andata personalmente a prendermi le immagini dalle tv locali, nel fascicolo hanno lasciato solo il morto che non parla, il camionista straniero e il tenente. Inoltre vorrei sottolineare che sul corpo di Vito non è mai stata effettuata alcuna autopsia per determinare come effettivamente sia morto.

Ci sono molti dubbi anche riguardo il fermo di Vito in autostrada. Non ci sono, infatti, elementi utili a confermare che Vito avesse superato il limite di velocità o che avesse commesso qualche altra infrazione. Cosa è successo secondo la sua ricostruzione quel giorno di circa sei anni fa?

Mio marito non aveva nessun motivo per scappare dalla finanza, lo conoscevo bene non si sarebbe comportato mai così. Questo è stato il primo elemento che mi ha fatto dubitare e poi se ci fosse stato questo inseguimento perché non si sono recuperati i filmati dato che fuori dalla galleria ci sono delle telecamere? Se davvero andava così veloce tanto da intimarlo a fermarsi, dove è finito il ticket di ingresso dell’autostrada? Detto questo vorrei anche fare notare che le dichiarazioni del tenente sono assurde. Ha dichiarato di aver guidato a 180 km/h, di aver mostrato la paletta e preso la cornetta per chiamare la centrale. Successivamente scese dalla volante e vide mio marito, asserendo di essersi tranquillizzato perché Vito aveva la faccia pulita. Mi sono anche chiesta come mai non si siano presi provvedimenti disciplinari subito; se ha agito per sua iniziativa come mai il suo superiore è stato così permissivo?
Tutto questo è accaduto ma solo dopo il mio intervento. Nella lettera che ho scritto al Capo dello Stato, ma anche in quella inviata al Comando Generale della Guardia di Finanza, ho chiesto spiegazioni in merito. Il Presidente ha chiesto a sua volta delucidazioni sull’accaduto alla Procura di Benevento e la Finanza ha chiesto un incontro privato con me. Il Tenente è stato spostato e gli è stato tolto il comando della tenenza di Ariano Irpino, ma se non ci fosse stata la mia reazione non ci sarebbe stata alcuna richiesta di rinvio a giudizio e il Tenente sarebbe rimasto al suo posto indisturbato. Perché tutto doveva finire in una fatalità.

E’ di pochi giorni fa la notizia che ci sarà un nuovo processo rispetto al caso di Giuseppe Uva, un processo dove saranno giudicati gli otto militari coinvolti a vario titolo nella morte di Uva. Esiste ancora una giustizia quindi?

Per quanto riguarda il caso Giuseppe Uva, sono contenta per Lucia, so bene quanto ha lottato per ottenere questo risultato, ma il problema è che non so se credere più nella giustizia dato che si riesce a ottenere qualcosa solo dopo le nostre battaglie. Questa non è giustizia, bisogna andare in televisione e lottare per ottenere qualcosa che ti spetta? La verità è che solo dopo aver reso pubblico il fatto si ottiene qualcosa e magari anche le scuse ma non è giusto comunque.

Cosa ha provato quando a Ferrara si sono radunate più di 5000 persone per la manifestazione che chiedeva la destituzione dei quattro agenti di polizia condannati in via definitiva per la morte di Federico Aldrovandi?

A Ferrara ho capito davvero di non essere sola nella mia battaglia ma allo stesso tempo anche triste nel sapere che ci sono persone che come me vivono una vita ormai piena di dubbi e sofferenza. La cosa che mi ha fatto rabbrividire è stata notare che nel luogo in cui è stato ucciso Federico c’erano tante abitazioni vicine, sicuramente diverse persone hanno sentito e visto qualcosa e quindi mi sono chiesta quante madri e quanti padri si trovavano lì? Non hanno fatto niente per salvare la vita a un ragazzino che chiedeva aiuto. Ribadisco il concetto, non dovevamo andare a Ferrara a chiedere di togliere la divisa a 4 assassini, la giustizia non esiste se dobbiamo faticare per ottenere cose legittime e normali.

Marco Miggiano  da you-ng

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