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Risarcimenti ai detenuti, una clamorosa presa in giro

Non funziona il decreto voluto dal governo: i magistrati respingono le richieste dei reclusi, che hanno meno diritti dei maiali. Appena entrato in vigore il decreto Renzi finalizzato a risarcire, con urgenza, i detenuti delle sofferenze patite per una carcerazione inumana e degradante, le persone ristrette nelle carceri di tutta Italia, con in mano uno strumento normativo ambiguo, che nessuna chiarezza offre su tempi e modalità applicative, si sono precipitate ad inoltrare istanze ai magistrati di sorveglianza.

Avevano fretta. La fretta che origina dalla sofferenza nonché dalla consapevolezza che la loro richiesta sarebbe stata accatastata assieme alle mille altre – ciascuna espressione di una speranza o aspirazione di libertà – sui tavoli dei magistrati di sorveglianza assillati da un lavoro sempre maggiore a fronte di risorse, umane e non, sempre inadeguate e insoddisfacenti.

E, in effetti, dopo mesi dall’entrata in vigore del decreto, quasi nessun provvedimento è stato partorito che accogliesse le sante (o santificate dalle fragorose bacchettate inferte e minacciate dalla comunità europea) attese risarcitorie dei detenuti.

Due casi positivi

Il rischio è che i provvedimenti che decurtano la pena giungano quando è ormai espiata. E allora al detenuto, ormai ex, rimane solo da chiedere 8 euro al giorno. Ad oggi due soli provvedimenti di segno positivo sembra siano stati emessi: uno a Padova, un ragazzo albanese è stato risarcito con 4.808 euro per 601 giorni di detenzione, e 10 giorni di detrazione della pena sui residui 100 che ancora gli restavano da scontare; l’altro a Ferrara, un uomo campano, ha goduto di una decurtazione di 22 giorni sulla residua reclusione.

Sette metri quadri

Nelle altri parti d’Italia fioccano, invece, numerosi i provvedimenti di inammissibilità delle istanze risarcitorie non corredate dalla specificazione del danno subito, dell’indicazione dello spazio fruibile per individuo nella cella, se inferiore ai tre metri. Nel frattempo giungono dalle direzioni delle carceri rassicurazioni più o meno ufficiali circa il ripristino della piena legalità della detenzione dei reclusi. Avrebbero, si afferma – sebbene ciò molto spesso non risponda al vero – ben tre metri a testa, escluso il mobilio.

In realtà, nella sentenza Sulejmanovic c. Italia, la Corte europea ricorda, tra l’altro, che il consiglio di prevenzione della tortura ha fissato in 7 metri quadri a persona la superficie minima auspicabile per una cella detentiva e che un’eccessiva sovrappopolazione carceraria costituisce in sé una violazione dell’art. 3 della Convenzione dei diritti dell’uomo impedendo ai detenuti una vita dignitosa.

Lo spazio del verro

Per il verro, invece, il maiale adulto, una direttiva – n. 2008/120/CE del consiglio del 18 dicembre 2008 – stabilisce che i recinti devono essere sistemati e costruiti in modo da permettere all’animale di girarsi e di avere il contatto uditivo, olfattivo e visivo con gli altri suini. “Il verro adulto deve disporre di una superficie libera al suolo di almeno 6 metri quadri. Qualora i recinti siano utilizzati per l’accoppiamento, il verro adulto deve disporre di una superficie al suolo di 10 metri quadri e il recinto deve essere libero da ostacoli”.

Il maiale, insomma, deve potersi muovere liberamente, incontrare i suoi simili in uno spazio adeguato, accoppiarsi in uno spazio adeguato. Sono norme che stabiliscono gli standard minimi a tutela del verro. Al maiale, dunque, sei metri quadri, per socializzare, dieci per accoppiarsi. Al detenuto ne bastano tre e non può accoppiarsi, ma tant’è! E, comunque, richieste inammissibili. Devono essere corredate dalla specificazione della tortura patita.

Trovato l’inganno

Ma c’è un altro aspetto che inquieta fortemente ed è ad ogni evidenza del tutto distonico rispetto al senso originario della decretazione d’urgenza nonché al suo principio ispiratore; ottemperare a quanto disposto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza dell’8 gennaio 2013 “Torreggiani” e predisporre un insieme di rimedi idonei a offrire una riparazione adeguata del pregiudizio derivante ai detenuti dal sovraffollamento carcerario.

Alcuni magistrati di sorveglianza si sono soffermati sul concetto di attualità della condizione vessatoria determinata da una carcerazione disumana ed hanno partorito il criterio che la detenzione sofferta in altre carceri e interrotta da un trasferimento sia da considerare “cessata”, non attuale e, pertanto, non risarcibile.

In sostanza, se una persona è stata dieci anni detenuta in uno spazio infimo, in condizioni igieniche disperate e da pochi giorni sia stata trasferita in una struttura che offra tutte le condizioni per rendere la detenzione in linea con i dettami europei, per quella detenzione inumana ormai “cessata”, nulla è dovuto. Abominevole!

E l’abominio appare ancora più stridente se si pensa che la corte europea sta respingendo in massa i ricorsi provenienti dai detenuti delle carceri italiane per violazione dell’art, 3 della convenzione, perché ora possono chiedere ristoro nel loro Stato grazie al rimedio compensativo offerto dalla decretazione di urgenza. Una desolante presa in giro, insomma.

Cosa è la tortura

Ma la tortura che cos’è? Quali sono in concreto le vessazioni che ordinariamente una persona ristretta subisce che rendono la sua reclusione contraria ai parametri europei? Anche la costituzione italiana timidamente stabilisce che la pena non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, ma meglio invocare le sanzioni europee che colpiscono i portafogli a un po’ di paura ancora la fanno.

La risposta si trova nello rappresentazione della normale – salvo sporadiche eccezioni – condizione di vita di un soggetto detenuto nelle patrie galere, Gli istituti penitenziari sono sovraffollati ed ospitano una popolazione di oltre il 20% superiore alla loro capacità. Lo spazio per persona raramente raggiunge i tre metri quadri, spazio ulteriormente ridotto dalla presenza di mobilio. Le celle spesso non sono riscaldate; la doccia è in comune per numerosi reclusi, servita da modesta possibilità dì acqua calda, quando c’è: soltanto le prime 4-5 persone ne godono mentre la rimanente parte è costretta, se vuole lavarsi, a usare l’acqua fredda, anche in inverno; non ci sono spazi adeguati alle attività sociali all’esterno della cella, pochissimi privilegiati svolgono attività lavorative, i “bagni” fungono anche da cucina e contengono latrina, lavabo, secchio per l’immondizia, secchi per fare il bucato e un tavolino dove poggiare fornelletti per cucinare, stoviglie e le poche provviste che è consentito e possibile conservare; non è possibile usare acidi per pulire la latrina e il pavimento col rischio sempre incombente di malattie infettive; manca la minima privacy anche durante l’uso della latrina perché e solitamente proibito chiudere la porta dall’interno; l’illuminazione artificiale non è conforme alle norme in materia; non è presente un sistema d’allarme che permetta al detenuto di contattare il personale di custodia in caso di necessità o di urgenza; spesso si è costretti a tenere aperte le finestrelle, anche d’inverno perché è impossibile, col blindo di sicurezza chiuso, assicurare una buona respirazione alle persone che occupano uno spazio inadeguato.

Altro che estate

D’estate il caldo è insopportabile e gli ambienti sono infestati da zanzare che stazionano infettandosi nelle latrine alla turca, nonché da mosche, blatte e formiche e non è consentito l’uso di insetticidi o di zanzariere; non c’è un frigo nelle celle né nei corridoi di pertinenza delle sezioni per cui è impossibile conservare il vitto.

L’accesso alle opportunità trattamentali tutte patisce le conseguenze del sovraffollamento e così risulta pressoché virtuale la possibilità di incontrare psicologi, educatori, assistenti sociali, magistrati di sorveglianza; tempi lunghissimi di attesa sono necessari per visite specialistiche interne anche per patologie acute; struggenti sono i sacrifici imposti ai familiari che viaggiano per incontrare a colloquio i loro congiunti ristretti: tempi infiniti e mortificanti per accedere all’incontro, per pesare il cibo e il vestiario preparato con cura, per lasciare al loro caro il denaro da spendere all’interno del circuito; il vitto somministrato è scarso e di pessima qualità. Questa ancora oggi la condizione ordinaria di carcerazione in Italia, con buona pace dei moniti europei. E ogni mattina, i nostri detenuti esclamano con aria sognante: “ah, se fossi un maiale!”

Maria Brucale da il Garantista

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