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Il 20 luglio è alle porte. Da che parte stare non dimentiCarlo

«Mi piace ricordarlo con un buco in testa e steso sull’asfalto». Un commento come questo qualche anno fa scatenava l’inferno sulla pagina facebook di ZeroCalcare. Il 20 luglio è alle porte. Per l’Italia e non solo, dovrebbe diventare la Giornata dell’ipocrisia.

In un giorno di 17 anni fa, giorno di G8 e torture, giorno dell’assassinio di Carlo Giuliani, la divisione tra i buoni e i cattivi tornava di gran moda nella sinistra italiana. Perché in fondo, Carlo, «se l’è andata a cercare». L’ho scritto e riscritto, ma quella frase su un muro della mia città, Reggio Calabria, ce l’ho ancora sotto gli occhi: «Carlo Giuliani è morto inculato», diceva. Le scritte sui muri di allora, diventano post sui social di oggi. Dentro cervelli ingabbiati, su polpastrelli avvelenati.

Che importa se la Corte europea dei diritti dell’uomo ha criticato l’Italia, perché «le autorità italiane non hanno condotto un’inchiesta adeguata sulle circostanze della morte del giovane manifestante». Che importa se a diciassette anni dai massacri alla Diaz e alla caserma di Bolzaneto, il nostro Paese ha introdotto in ritardo e a fatica un seppur blando reato di tortura e, dai banchi del Parlamento c’è chi lo rivendica come «strumento di lavoro». «Abolire il reato di tortura che impedisce agli agenti di fare il proprio lavoro», ha twittato giorni fa Giorgia Meloni. Poi modificando «abolire» con «modificare».

A ribaltare la realtà, in Italia siamo diventati proprio bravi. Carlo da essere umano si riduce a estintore. Uno che “se la va a cercare”. Come i migranti dispersi in mare o rinchiusi nei lager d’Europa, che se “la vengono a cercare”. Come i NoTav, menati e denunciati costantemente da anni, e poi relegati nella categoria «cattivi». Come i pericolosi antifascisti che nelle piazze fanno quello che lo Stato non fa, impedire «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista».

Da tempo siamo caduti nella «trappola di farci dividere in buoni e cattivi», come la chiama Nicoletta Dosio. Qualche sera fa, a Casalgrande di Reggio Emilia, ha insistito ancora e per l’ennesima volta su questo punto. I buoni e i cattivi. I buoni che assecondano, fino a snaturarsi, la comodità del potere. I cattivi, che si rifiutano e si ribellano a esso. La stessa sera, sempre a Casalgrande, qualcuno prendeva la parola per far notare come i passi avanti o indietro dell’umanità ruotino spesso attorno a delitti e diritti. A come un diritto diventi delitto, e viceversa, ribaltando i pilastri stessi di una democrazia. È esattamente quello a cui assistiamo in questo nostro tempo disgraziato, in cui resistere e accogliere diventano delitti, mentre respingere e reprimere si fanno legge.

Prima o poi dovremo fare i conti con Genova, con Carlo e con i ribelli che troppo spesso liquidiamo con un ipocrita e insensato «cattivi». Anche attraverso l’ipocrisia, in fondo, la repressione si è fatta legge.

Tiziana Barillà

da il Salto

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