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15 ottobre 1987 – Ucciso Thomas Sankara, rivoluzionario africano

Il 15 ottobre 1987 –  veniva assassinato Thomas Sankara, rivoluzionario comunista e presidente del Burkina Faso.

Thomas Sankara nasce il 21 dicembre 1949 a Yako nell’Alto Volta, allora colonia francese che diventerà indipendente il 5 agosto 1960.

Non avendo i mezzi per studiare medicina come vorrebbe, intraprende la carriera militare. Inizia a formarsi alla politica anche nel corso di soggiorni in Marocco e Madagascar.

Fra il 1981 e il 1983 viene chiamato a far parte di governi dei quali presto denuncia malefatte e corruzione, fino a essere imprigionato. Con un’alleanza fra militari e forze popolari arriva al potere il 4 agosto 1983. Il 4 agosto 1984 l’Alto Volta diventa Burkina Faso. Intanto governo e comitati popolari lavorano alla «rivoluzione degli integri» a ritmi accelerati.

Nel 1987 iniziano a serpeggiare i dissidi e i malcontenti fra i capi storici della rivoluzione. Il 15 ottobre 1987 Sankara con dodici collaboratori viene assassinato in un colpo di stato ordito dal suo vice Blaisé Compaoré, il quale assume la presidenza e reprime le proteste con diversi morti. La rivoluzione è finita. Elezioni successive alle quali partecipa una minoranza della popolazione hanno continuato a rieleggere Compaoré il quale anche grazie alle divisioni e debolezze dei “sankaristi” è tuttora capo di stato, ben introdotto in Occidente e oscuramente coinvolto in diversi conflitti africani. Mai chiarite le circostanze e le responsabilità di quel 15 ottobre.

Uomo e politico di grandi parole e fatti concreti, Thomas Sankara è stato forse il leader africano più carismatico del XX secolo. Stupisce l’efficacia politica e la concretezza con la quale riuscì a realizzare incredibili obiettivi in soli quattro anni e mezzo al potere (1983-87) in Burkina Faso. Il giovane capitano-presidente licenziò circa 10 mila dirigenti, funzionari, quadri e impiegati statali, retaggio clientelare del vecchio impero coloniale francese; con i soldi risparmiati fu capace in soli 8 mesi di costruire una ferrovia di comunicazione tra le due principali città del paese. Rilanciò alla grande l’artigianato tessile locale obbligando i nuovi impiegati statali assunti ad indossare esclusivamente abiti in cotone naturale di produzione nazionale, proibendo l’utilizzo e l’importazione di quello acrilico. Emancipò le donne ed i bambini burkinabè con la realizzazione di progetti di alfabetizzazione rurale e costruzione di scuole rispettose dello stile, degli usi e tradizioni del Sahel. Inorgoglì i suoi connazionali istituendo il più bel festival folklorico, musicale, artistico e cinematografico del continente. Con l’aiuto di pochi tecnici e medici cubani riuscì a portare ausilio medico, infermieristico sinanche nei villaggi più sperduti del paese e soprattutto riuscì ad incrementare la superfice arativa del paese del 40 %, di quel territorio semidesertico chiamato Sahel. Irrise senza cattiveria, ma anzi con ironia ed autoironia gli osservatori europei ai vertici dei paesi dell’Oua, l’organizzazione dei paesi africani, dove si discuteva sul debito dei paesi del terzo mondo verso quelli più ricchi. Conseguì la sua più grande vittoria proprio dove nessuno se l’aspettava: in macroeconomia… Infatti dimezzò letteralmente la povertà del suo paese in meno di un lustro, portandolo dal 143˚ al 78˚ posto. Lui cristiano, richiamò le alte sfere delle religioni monoteistiche a un maggior rispetto delle religioni ancestrali burkinabè ed africane in generale. Con integerrima onestà intellettuale, da marxista eterodosso e gramsciano convinto si distaccò dallo sterile carro dello statalismo sovietico e dei paesi dell’est. Pochi giorni prima di essere assassinato ricordò in un memorabile discorso all’Onu il suo idolo e punto di riferimento: Ernesto Che Guevara. Riuscì in quel famoso discorso addirittura ad essere profeta del suo imminente destino e del suo incombente assassinio da parte del suo migliore (si fa per dire) amico Blaise Camporè, attuale presidente del Burkina Faso. Viveva in una semplice casa di Ougadougou di tre vani ed accessori con moglie e figli. Dopo aver venduto tutte le auto blu dello stato per invece costruire due ospedali, si vide obbligato ad utilizzare una Renault 5 presidenziale, ovvero una delle sole 4 utilitarie gemelle del parco macchine nazionale. Si decurtò lo stipendio del 500% abbasandolo sino a 200 dollari mensili, imponendo col suo esempio il tetto massimo per qualsiasi salario statale. Suonava la chitarra nelle sue frequenti visite nei villaggi rurali più remoti. Riuscì anche qualche volta a rimanere senza soldi in tasca, tanto da farseli prestare dalle sue guardie del corpo. Ma più di ogni cosa Thomas Sankara riuscì a trasmettere a tutti i suoi connazionali l’entusiasmo per un cambiamento, per una rivoluzione pacifica, filantropica ed umanista. Insomma l’esperimento di Thomas Sankara e dei burkinabè divenne un “cattivo esempio” per i paesi limitrofi, tanto da riuscire a far alleare i servizi segreti statunitensi, francesi e libici al fine di assassinarlo.

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