Prima udienza per Anan, Ali e Mansour: ammessi gli interrogatori israeliani, negate le consulenze della difesa
- aprile 02, 2025
- in lotte sociali
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La corte de L’Aquila ha accettato l’ammissibilità nel processo di metà degli interrogatori fatti nelle carceri israeliane, in spregio a qualsiasi diritto internazionale. Negata, invece, l’ammissione di quasi tutte le consulenze di parte proposte dalla difesa degli attivisti palestinesi. Tra le persone che i legali di Anan, Ali e Mansour hanno chiesto che potessero intervenire in aula durante il processo c’erano la relatrice speciale Onu Francesca Albanese, la deputata del M5S Stefania Ascari, Don Nandino di Pax Christi, Riccardo Mattone di Mediterranea Saving Humans e Ronen Bar, dirigente dello Shin Bet, i servizi segreti interni israeliani.
Prima udienza del processo contro i cittadini palestinesi Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh nella mattina di mercoledì 2 aprile 2025 davanti alla Corte d’Assise del Tribunale dell’Aquila.
La Procura accusa Anan (in carcere da oltre un anno), Ali e Mansour di terrorismo per aver, secondo accuse formulate dalle autorità israeliane, finanziato la Brigata Tulkarem, attiva nella resistenza contro l’occupazione sionista in Cisgiordania.
Il processo si svolge in un tribunale italiano ma – caso più unico che raro – le indagini sono state svolte interamente da inquirenti stranieri… Quelli dell’occupazione israeliana nei territori palestinesi. Durante la prima udienza, i giudici italiani hanno ammesso tutte le prove documentali prodotte da Tel Aviv: le trascrizioni di interrogatori a prigionieri palestinesi sottoposti – con ogni probabilità – a tortura. Negata, invece, l’ammissione di quasi tutte le consulenze di parte proposte dalla difesa degli attivisti palestinesi.
Tra le persone che i legali di Anan, Ali e Mansour hanno chiesto che potessero intervenire in aula durante il processo c’erano la relatrice speciale Onu Francesca Albanese, la deputata del M5S Stefania Ascari, Don Nandino di Pax Christi, Riccardo Mattone di Mediterranea Saving Humans e Ronen Bar, dirigente dello Shin Bet, i servizi segreti interni israeliani.
Durante l’udienza, all’esterno del Tribunale dell’Aquila si è svolto un presidio di solidarietà con i tre imputati. “Anche laddove fosse accertato il sostegno dei tre imputati alla resistenza in Palestina, addirittura il diritto internazionale e il diritto internazionale umanitario ritengono ogni forma di resistenza legittima”, commenta Khaled El Qaisi di Udap, che nel processo è consulente della difesa per la lingua araba. “L’impressione è che da un lato si voglia evitare un processo nel quale possano emergere da un lato i crimini perpetrati da Israele, dall’altro si vuole delegittimare ciò che è legittimato anche dallo stesso diritto internazionale, ossia il diritto di un popolo sotto occupazione a ogni forma di resistenza al fine di ottenere la propria autodeterminazione e liberazione”.
Sulle frequenze di Radio Onda d’Urto il racconto dell’udienza con Khaled El Qaisi dell’Unione democratica arabo-palestinese. Ascolta o scarica
Radio Onda Rossa in comunicazione diretta dall’Aquila, ha parlato con Vincenzo sull’inizio del processo e con un compagno dei Giovani Palestinesi Italia sul fatto che, con questo processo, lo Stato italiano cerca di condannare il diritto internazionale alla resistenza. Ascolta o Scarica
UN OLTRAGGIO AL DIRITTO ALLA DIFESA
SI NEGANO AI PALESTINESI GLI STRUMENTI PER DIFENDERSI IN AULA
E SI LEGITTIMANO CRIMINI DI GUERRA E TORTURA AMMETTENDO INTERROGATORI ISRAELIANI
Un processo giusto o una condanna già scritta?
Mentre il mondo assiste in silenzio al genocidio in Palestina, in Italia si sta svolgendo un processo che solleva interrogativi inquietanti sulla tutela dei diritti fondamentali.
Il 2 aprile 2025, presso la Corte di Assise de L’Aquila, si è tenuta la prima udienza del processo contro Anan Yaeesh, Mansour Doghmosh e Ali Irar, tre cittadini palestinesi accusati di terrorismo per il loro presunto sostegno alla resistenza palestinese a Tulkarem, in Cisgiordania, contro l’occupazione militare israeliana.
Le decisioni prese in questa udienza compromettono profondamente il diritto alla difesa e al giusto processo, richiamando scenari di giustizia sommaria.
“Prove” ottenute da crimini di guerra: deportazione, tortura e negazione di diritto alla difesa
Una delle decisioni più gravi della Corte riguarda l’ammissione di 15 verbali di interrogatori condotti su prigionieri palestinesi dallo Shin Bet (i servizi segreti israeliani) e dalla polizia israeliana.
Perché questa decisione è inaccettabile? Le confessioni sono state ottenute sotto tortura: Secondo Amnesty International e Human Rights Watch, Israele pratica trattamenti inumani e degradanti durante gli interrogatori.
Anche la Corte d’Appello dell’Aquila aveva riconosciuto il rischio di tortura. Nel marzo 2024, la Corte d’Appello de L’Aquila negò l’estradizione di Anan proprio per il rischio concreto che in Israele potesse subire tortura. Inoltre, lo scorso febbraio, lo stesso Giudice dell’Udienza Preliminare aveva scartato questi interrogatori.
La riammissione di questi interrogatori rappresenta un precedente pericoloso: accettare queste prove significa non solo legittimare metodi illegali, ma avvalersi come prova di materiale frutto di un vero e proprio crimine di guerra: i detenuti palestinesi interrogati sono stati deportati dai territori occupati in violazione della Convenzione di Ginevra.
Una difesa privata di testimoni e consulenti fondamentali
Come se non bastasse, durante l’udienza, la Corte ha deciso di ammettere solo quattro tra testimoni e consulenti dei 47 presentati dalla difesa, privandola, di fatto, della possibilità di contestualizzare i fatti dei quali vengono accusati i tre palestinesi, di giudicarli tenendo in considerazione quanto dettato dal diritto internazionale e dal diritto internazionale umanitario, di avere testimoni che possano riferire in merito alla città e al governatorato di Tulkarem, luogo nel quale si sarebbero svolti i fatti a loro contestati.
I testimoni e consulenti esclusi sono esperti di diritto internazionale, di movimenti armati in Medio Oriente, testimoni oculari, accademici, giornalisti, persone che hanno vissuto e lavorato a Tulkarem e in Cisgiordania e che avrebbero potuto raccontare la reale situazione nei territori occupati; è stato escluso addirittura il traduttore e interprete di lingua ebraica che avrebbe assistito la difesa nella revisione del materiale fornito alla procura dai servizi segreti israeliani.
Ne consegue che si negano alla difesa gli strumenti per contrastare le accuse. La Corte affida la ricostruzione dei fatti alla sola Digos de L’Aquila, senza dare alla difesa la possibilità di chiamare a testimoniare figure competenti capaci di ricostruire il contesto, in Palestina, nel quale si sarebbero svolti gli eventi dei quali sono accusati i tre palestinesi.
Giustizia o condanna preordinata?
Le decisioni prese in questa prima udienza minano il diritto alla difesa e rischiano di trasformare il processo in una condanna già scritta.
Si accettano prove ottenute derivanti da crimini di guerra, mentre si rifiuta l’ascolto di testimoni e consulenti della difesa e si affida la ricostruzione dei fatti a una sola fonte.
Se queste sono le premesse, possiamo ancora parlare di diritto a un “equo processo”?
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