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Zone Rosse

L'”ordine” secondo Salvini. Tutte le piazze pubbliche possono essere profanate, come fu per il G8 di Genova 2001. La città fu sequestrata e ferita a morte. Salvini ora ci ripropone, in tempi di pace, lo stesso scenario

Speravamo di non imbatterci piu’ nelle zone rosse ma quel modello di controllo sulle città ha fatto scuola e torna a manifestarsi, con il Governo Giallo verde, nella sua  sinistra essenza repressiva . Bene hanno fatto le Camere Penali di Firenze a denunciare l’utilizzo amministrativo di procedure atte ad allontare da certi luoghi categorie di cittadini in base alla loro fedina penale. Prendiamo ad esempio i reati legati a cause sociali e politiche e immaginiamoci quali conseguenze potrebbe avere un procedimento amministratvo costruito ad arte per allontanare attivisti e militanti. In un colpo solo il Ministro Salvini ottiene due risultati: mettere il bavaglio alla Magistratura depotenziandone l’operato e  inibisce la libera circolazione di cittadini senza che abbiano commesso dei reati, solo in virtu’ del pregiudizio legato alla loro fedina penale o alla loro stessa militanza. Dovrebbe essere piuttosto l’autorità Giudiziaria a stabilire la eventuale incompatibilità a stare in certe aree cittadine, non certo un Provvedimento amministrativo.Prove tecniche di stato di polizia e sospensione delle libertà democratiche dopo anni di politiche securitarie? Parrebbe proprio di sì

La direttiva del Ministro Salvini va ben oltre la normativa Minniti e il Pacchetto sicurezza, a nostro avviso viola la stessa Carta Costituzionale, i prossimi anni diranno se abbiamo ragione o torto.

La direttiva spinge  i Prefetti a pianificare delle zone interdette come soluzione straordinaria atta a prevenire crimini e illegalità.

Il provvedimento viene anticipato dalle ordinanze di due sindaci del Pd, i sindaci di Bologna e Firenze, ancora una volta le politiche securitarie arrivano proprio dal centro sinistra. Non vogliamo mettere in discussione le richieste di sicurezza dei cittadini ma è innegabile che scendere sul terreno dei daspo e delle zone rosse non aiuta a combattere la miseria, la emarginazione, i malesseri sociali e perfino a contrastare la criminalità. I Daspo hanno fatto storia e la interdizione di alcune categorie di cittadini riporta indietro l’orologio al periodo nazi fascista o alle teorie di Lombroso

Esiste una criminalità diffusa  dimenticata nelle politiche di prevenzione, parliamo del lavoro nero, della grande criminalità, della corruzione in materia di appalti, si guarda invece alla piccola crinminalità predatoria promuovendo misure a tutela della legalità che valgono per gli ultimi ma non per i colletti bianchi del crimine.

Dati alla mano numerosi reati sono in calo, eppure ogni giorno si parla di nuove e maggiori misure di contrasto dell’ abusivismo, di lotta al consmo di alcool o di stupefacenti, uso che andrebbe combattuto con ben altri strumenti (socialità, educazione, campagne pubbliche nelle scuole e nei quartieri no? E che dire della ludopatia che sta gettando sul lastrico migliaia di famiglie, ludopatia che va di pari passo con la emarginazione sociale ed economica?)

Ancora una volta viene evocata la natura speciale di una legge o di una ordinanza, siamo in emergenza da oltre 40 anni, da prima della approvazione della Legge Reale e da questa situazione non si intravede via di uscita.

La direttiva si prefigge obiettivi ambiziosi, per esempio rafforzare «i risultati raggiunti grazie alle nuove linee di intervento e strategie operative promosse negli ultimi mesi e realizzate anche attraverso una sempre più incisiva azione da parte delle Forze di polizia»,  si riesuma perfino il Regio decreto 18 giugno 1931 n. 773 con i super poteri ai Prefetti che a loro volta nel comitato provinciale per l’ Ordine e  la sicurezza scaricheranno sui Sindaci, e sulla Pm, innumerevoli incombenze. Le piazze dello spaccio? Se vogliamo smantellarle basta portare iniziative sociali e culturali nelle piazze, invitiamo chi pensava che la presenza dei militari fosse la soluzione migliore a farsi un giro nei centri storici.

Siamo in presenza di una situazione paradossale: la militarizzazione dei centri storici non ha risolto alcun problema, serve a vendere l’immagine delle istituzioni attenti alla sicurezza dei cittadini, quindi l’obiettivo potrebbe essere ben altro ossia quello di “normalizzare” le aree urbane cacciando via migranti, studenti, centri sociali, sottoponendo istituti scolastici e universitari a un regime di stretta sorveglianza.

Si dimenticano le politiche sociali e urbanistiche, si affidano superpoteri ai comitati provinciali, si spinge ad utilizzare la Pm per compiti di pattugliamento dei centri storici  coinvolgendo istituzioni locali, associazioni di commercianti e altro ancora, scenari che ricordano quanto già accaduto in epoca fascista.

Il potere di ordinanza dei prefetti si affianca alle autorità provinciali di pubblica sicurezza e ai poteri dei  Sindaci ma allo stesso tempo preclude a persone e innumerevoli attività sociali sempre piu’ larghe aree pubbliche, una sorta di interdizione che poi riguarda anche tutte le aree verdi dei centri storici.

Il decreto Sicurezza  prevede che ogni Comune approvi ordinanze specifiche finalizzate alla ” prevenzione dei reati e di possibili turbative dell’ordine pubblico”. Da qui alla vera e propria repressione  la distanza è veramente esigua

Federico Giusti

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Le zone rosse di Genova tornano nelle nostre città

Attraverso tutto lo sviluppo storico delle diverse forme di città, dalla agorà greca (la piazza della polis) fino alla metropoli moderna, la piazza è sempre stato il luogo deputato agli incontri, allo stare insieme, il nucleo e il cuore della città, uno dei suoi simboli più rappresentativi. Il luogo della democrazia, quello dove si eseguivano le condanne pubbliche, ma anche il luogo dove venivano celebrate le feste o le manifestazioni di protesta o di consenso al potere politico.

Credo di non sbagliare se affermo che buona parte della attuale produzione di urbanistica e di architettura sia dedicata alla perdita dei luoghi pubblici, in primis, della piazza, ovvero a quel fenomeno di sequestro dello spazio pubblico da parte dell’ideologia neoliberista. Molte delle città di tutto il mondo vantano splendide piazze: piazza Navona a Roma, piazza del Plebiscito a Napoli, piazza dei Miracoli a Pisa, piazza del Campo a Siena. Perfino Bruxelles vanta una splendida piazza e Marrakech è famosa per la sua piazza Djemaa el-Fna, chiamata la piazza dei folli che sorge accanto alla grande Medina. «Trovavo nella piazza l’ostentazione della densità, del calore della vita che sento in me stesso. Mentre mi trovavo lì, io ero quella piazza. Credo di essere sempre quella piazza», così Canetti racconta lo stupore e l’incanto che lo colgono durante il suo soggiorno a Marrakech nel 1954.

La piazza dunque come rappresentazione della scena pubblica, il luogo privilegiato degli incontri, luogo delle diversità, delle ibridazioni, de ri-conoscimento.
Racconta Vezio De Lucia (quando era Assessore all’urbanistica a Napoli) che la notte prima di dichiarare pedonale piazza del Plebiscito non riuscì a dormire temendo una sommossa dei napoletani, che, invece, con sua grande sorpresa, accolsero entusiasticamente il progetto, dimostrando di saper apprezzare il bene pubblico e la bellezza della città.

Tutte le piazze sono per definizione pubbliche ed è questo loro carattere che le rende accoglienti, belle, piacevoli, soste obbligate di un percorso turistico o di esplorazione di una città. Ma alle volte le piazze possono essere profanate, come dimostrarono i fatti del G8 di Genova del 2001. La città fu allora sequestrata, divisa in zone rosse, zone gialle: reticolati di ferro, container, blindatura dei tombini, dei cassonetti di rifiuti, bulldozer. Primo esempio, dal dopoguerra, in Italia di un sequestro di una intera città da parte della forza militare. Allora quella città fu sconvolta, dissacrata, mutilata, ferita a morte come un corpo squartato nelle viscere, fatto a pezzi e oscenamente esibito all’intero mondo, mostrando a tutti cosa può essere la città della separazione, della solitudine, del terrore, della violenza istituzionale, dell’inospitalità, della barbarie. Tutti abbiamo ancora ricordo di quel tragico evento che segnò una svolta nei metodi di repressione organizzata.

Salvini ora ci ripropone, in tempi di pace, uno stesso scenario. Riesumando le zone rosse dell’infamia. Propone, non contento dei Daspo, il commissariamento dei Sindaci «distratti», benché eletti dal popolo, attraverso i Prefetti, impedendo la sosta nei luoghi pubblici a persone dedite, o anche solo sospettate di attività «illegali» e costituendo fantomatici Comitati per l’ordine e la sicurezza pubblica che avranno il compito di riferire solo a lui.

Quel che è accaduto a Genova diventa dunque ordinaria amministrazione limitando la libertà di movimento e uccidendo il carattere sacro della piazza, come mai nella storia era accaduto. D’ora in avanti, contemplando e attraversando una piazza, bisognerà essere pronti a dimostrare che siamo cittadini che non hanno mai avuto problemi con la legge; per tutti gli altri c’è l’allontanamento, l’ulteriore emarginazione, il confino obbligato.

Sorge spontanea la domanda: ma di chi è la città? Da sempre la città, tutte le città, è un’opera collettiva degli uomini, l’opera più grandiosa che sia mai stata realizzata per vivere insieme. Da domani il suo carattere pubblico, o quello che ancora rimane di esso, sarà ulteriormente privatizzato e militarizzato. Tutto questo ad opera del ministro della paura e in nome di una “sicurezza” da lui stesso fomentata e strumentalizzata ai fini elettorali. Foucault avrebbe, oggi, molti nuovi capitoli da aggiungere alla sua opera: sorvegliati e puniti.

Enzo Scandurra

da il manifesto

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ASCOLTA L’INTERVISTA A RADIO CITTA’ FUJIKO DI ITALO DI SABATO DELL’OSSERVATORIO REPRESSIONE


 

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