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Violenze nel cpt, 5 anni a don Cesare Lodeserto

La condanna del tribunale di Lecce per le violenze inferte alle immigrate ospiti del centro «Regina Pacis» di San Foca
Minaccia, calunnia, estorsione, sequestro di persona, violenza privata, lesioni, abuso dei mezzi di correzione. Stavolta per don Cesare Lodeserto le accuse sono davvero pesanti. Ma il «sacerdote di frontiera» è uno di scorza dura. Ben voluto e ben protetto dalla sua gente (ha perfino una scorta privata che lo scorazza in lungo e in largo per l’Italia) e poi, nonostante tutto, qualche santo in paradiso continua ad averlo, lui che è arrivato alla terza condanna in due anni ed è ancora a piede libero. L’ultima, giovedì sera, emessa dal giudice per l’udienza preliminare di Lecce, Nicola Laricchia che, dopo quattro ore di camera di consiglio, gli ha inflitto una pena di cinque anni e quattro mesi.I fatti. Don Cesare, che per questo processo ha chiesto il rito abbreviato, venne arrestato nel marzo del 2005 dopo varie denunce mosse da alcune donne straniere del suo centro, il famigerato «Regina Pacis» il cpt da lui diretto a San Foca, nel leccese, e in seguito chiuso a causa delle violenze perpetrate al suo interno e riconosciute durante i vari processi. In particolare dodici ragazze extracomunitarie lo avevano additato, cinque quelle che secondo il giudice avrebbero effettivamente subito la privazione della libertà. Secondo le accuse, don Cesare le obbligò a lavorare presso la fabbrica di mobili «Soft Style» di Carmiano.Assunte in modo irregolare erano costrette a rimanere in servizio al mobilificio per otto ore al giorno, dal lunedì al venerdì, e ulteriori cinque ore il sabato, per soli 25 euro giornalieri. Se rifiutavano scattava l’intimidazione: nessuna possibilità di uscire dal centro, anche per diverse settimane. E, nel peggiore dei casi, scattavano pure le botte. Insieme al sacerdote è stato condannato anche un suo nipote, Giuseppe Lodeserto (tre anni e due mesi), più due collaboratori, Natalieu Vieru (due anni e otto mesi) e Armando Marra (pena pecuniaria di 30mila euro).La nuova accusa non lo ha sconvolto più di tanto perché don Cesare a tutto questo è abituato. Negli ultimi anni infatti sembra aver frequentato di più le aule giudiziarie che le sedi ecclesiali. Tre le condanne in due anni. La prima il 23 maggio 2005 quando il Tribunale di Lecce lo riconobbe colpevole di simulazione di reato condannandolo ad otto mesi di reclusione, pena che sarà poi sospesa. La seconda due mesi dopo e l’accusa è violenza privata e lesioni (pena di 16 mesi anche questa sospesa) ai danni di otto maghrebini che tentarono la fuga dal suo cpt. Allora i carabinieri lo andarono ad arrestare a Quistello, un paesino vicino Mantova, mentre era in visita all’altro cpt da lui diretto, gemello a quello di San Foca.Passò qualche giorno in carcere e, una volta uscito, tornò ai suoi affari. Chiuso il centro in Puglia ha esportato il suo «modello» all’estero, nei paesi dell’Est. Tre nuovi centri sono sorti nel giro di pochi mesi in Romania, Moldavia e in Ucraina, tutti e tre tuttora funzionanti. Grazie alla ragnatela di conoscenze, ben radicate nel suo territorio, continua ad essere un personaggio di spicco, ben voluto e rispettato dai suoi concittadini. Uno in particolare, l’arcivescovo di Lecce monsignor Cosmo Francesco Ruppi che gli è sempre stato vicino dopo ogni condanna. E così è capitato anche questa volta. «Perché non si può dimenticare – ha detto il monsignore – l’immenso lavoro fatto da don Cesare e dai suoi preziosi collaboratori nell’accoglienza di migliaia e migliaia di profughi e immigrati, come anche per i tanti bambini di strada e per la moltitudine di poveri». Tre condanne in due anni dicono però l’esatto contrario.

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