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Verona: Il Sindaco Tosi vuol mandare i rom sotto i ponti

Nel campo nomadi di Boscomantico a Verona, che il sindaco leghista anti-zingari vuole sgomberare. Scaduta la convenzione tra Comune e associazioni, ora gli abitanti rischiano di tornare per strada: «Non vogliamo tornare a vivere in mezzo ai topi»

Desdemona si alza alle cinque e mezza del mattino e percorre più di tre chilometri a piedi per raggiungere la fermata dell’autobus con cui arriva in stazione. Di lì prende un altro mezzo che la porta nel quartiere dove lavora. Alle nove, nove e mezza termina le pulizie previste, riprende l’autobus fino alla stazione e poi un altro con cui attraversa la città per recarsi in un secondo luogo di lavoro, dove resta fino alle sei del pomeriggio. Alle sei di nuovo autobus fino in stazione, poi un altro per tornare al luogo di lavoro del mattino. La giornata finisce alle ventuno, quindi di nuovo autobus, di nuovo qualche chilometro a piedi e poi finalmente casa. O meglio baracchina, visto che Desdemona è una delle donne rom rumene che risiedono al campo di Boscomantico a Verona, quello che il sindaco leghista Flavio Tosi vuole chiudere.Desdemona ci abita con i suoi quattro figli, Maria di nove anni e Vasile di otto, che frequentano le elementari, Alexandra di quasi tre, Larissa di quindici mesi, e con il marito Dumitru, che ha subito una brutta operazione all’esofago e non può fare lavori pesanti. Desdemona ha 24 anni ed è arrivata in Italia da sola quando ne aveva 19, nascosta con altri in un camion di aiuti umanitari di ritorno dalla Romania. Era già sposata e aveva due bambini piccoli. Aveva dei conoscenti a Verona, al campo della Spianà, un immondezzaio a cielo aperto in cui vivevano circa duecento rom rumeni. Suo marito Dimitru, che ha 32 anni, l’ha raggiunta in un secondo tempo: «Sono stata per sei mesi alla Spianà – racconta Desdemona – ero incinta e ho perso la bambina, è morta prima di nascere. Poi il sindaco Paolo Zanotto (eletto nel 2002, centrosinistra, ndr) ci ha spostato nello stadio». L’esperienza del campo, allestito in uno dei grandi parcheggi adiacenti al Bentegodi e affidato all’Opera don Calabria, dura un anno. Poi l’Opera, in accordo con il Comune, trasferisce le famiglie con bambini in età scolare nelle ex scuole alla Monsuà, località alle porte di Verona, e lascia in strada un centinaio di persone, con moltissimi bambini piccoli. Il deciso intervento del coordinamento antirazzista Cesar K (sciolto nel 2004), del csoa La Chimica e del Circolo Pink, le tre realtà di movimento attive in città, costringe il Comune a prendersi cura di donne e bambini, che vengono ospitati prima in un asilo da ristrutturare, poi in un pensionato. Infine per loro vengono allestite delle roulottes nell’area adiacente al piccolo aeroporto di Boscomantico. Ma molte famiglie del campo allo stadio, fra cui quella di Desdemona, sono fuggite nella boscaglia che costeggia l’Adige. I primi freddi li costringono a cercare riparo sotto uno dei cavalcavia all’uscita della città. Sono un centinaio di persone con la consueta altissima percentuale di minori. Anche stavolta è risolutivo l’intervento delle associazioni antirazziste, che fanno pressione sul Comune perché si occupi di questa comunità. Le famiglie vengono censite e trasferite accanto alle altre, non in roulottes ma nelle baracche abbandonate del quartierino di Boscomantico dove risiedevano i militari dell’Aeronautica. Nasce così il campo di Boscomantico 1, affidato dal Comune alla Comunità dei giovani, una struttura del privato sociale che si è occupata fino ad allora di tossicodipendenza ed emarginazione. Desdemona con la sua famiglia abita in una delle baracche. Nel 2005 esplode l’operazione «Gagio», un’inchiesta a più filoni – pedofilia e sfruttamento di minori, spaccio di sostanze stupefacenti, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – che coinvolge alcuni rom dei campi di Boscomantico e della Monsuà e parecchi «gagi». Un pasticciaccio che tiene banco sui media locali per tutta l’estate e che costringerà alle dimissioni l’allora assessore ai Servizi Sociali e all’Immigrazione Tito Brunelli. Dopo la bufera giudiziaria, il Comune decide di chiudere l’esperienza di Boscomantico 1, anche perché l’Aeronautica rivuole indietro l’area, e sposta la comunità rom su un terreno di proprietà comunale. Nasce così «Boscomantico 2», che viene dato in gestione all’Opera don Calabria e alla cooperativa Azalea. Scaduta la convenzione con il Comune il 30 giugno scorso, nuove nubi si addensano sulla comunità rom rumena, che pure nel frattempo è diventata «europea» a tutti gli effetti.Uno degli slogan più gettonati della campagna elettorale del neoeletto sindaco Tosi riguardava proprio la chiusura di Boscomantico 2. Ma al campo ci sono una settantina di minori – di cui quaranta vanno a scuola – e parecchi adulti che lavorano, intorno istituzioni – tra cui la Curia – e associazioni che rivendicano la positiva esperienza di integrazione della comunità rom. Il sindaco non ha cambiato idea – il campo chiuderà – ma i tempi si allungano, per dar modo agli operatori e ai cittadini di buona volontà di trovare lavoro e casa per le famiglie rom: «Siamo spaventati – dice Desdemona – perché pensiamo che dovremo stare nei boschi ma non andremo via da Verona. Non abbiamo un posto dove andare e i bambini sono nati qui. I due che vanno a scuola, quando sentono che dobbiamo andarcene, piangono disperati. Non vogliamo tornare in mezzo ai topi, come alla Spianà, dove il bambino di quattro mesi di mia cugina è morto perché un topo gli ha mangiato il naso. Io lavoro e in questi giorni devo firmare il contratto, quando ho sentito che mi davano il posto volevo baciare la terra. Poi penso che ci mandano via…».

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