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USA: Due ore di tortura in sala della morte: esecuzione rinviata

Ohio il boia non ha trovato la vena. Alva Campbell, 69 anni, è gravemente malato. insorgono le associazioni: «pura barbarie, basta con la pena capitale!»

La tortura è durata due ore, 180 minuti di pura crudeltà in cui la macchina della morte alla fine si è inceppata: il boia non è riuscito a trovare una vena “utile” nelle braccia ( e nelle gambe) di Alva Campbell, 69 anni, condannato all’iniezione letale per un omicidio di un 18enne commesso nel 1997.

I testimoni raccontano di una scena grottesca che sembra uscita da una pellicola di David Lynch con quattro agenti di polizia che hanno cercato invano di applicare un catetere venoso negli arti del prigioniero immobilizzato sul lettino, con un ultimo infruttuoso tentativo di far entrare il veleno attraverso la parte posteriore del ginocchio destro. Mentre le guardie si accanivano pertrovare il “varco”, Campbell cercava disperatamente di stringere le mani dei suoi aguzzini. Quando lo spettacolo è diventato insostenibile gli agenti hanno mandato via senza spiegazioni i giornalisti che, per la legge americana, possono assistere al supplizio assieme ai familiari delle vittime. «L’esecuzione si è conclusa con un fallimento, una nuova data verrà presto fissata», si legge in un laconico comunicato della portavoce dei servizi penitenziari di stato JoEllen Smith. Lo hanno riportato in cella su una sedia a rotelle, in attesa che la giostra mortale riprenda a girare.

Lo stato di salute di Campbell è però pessimo: può camminare solo tramite un deambulatore, ha gravi insufficienze respiratorie ( dorme con un cuscino medico speciale e riceve ossigeno quattro volte al giorno), ha recentemente subito una colostomia ed è probabilmente consumato da un tumore ai polmoni. I suoi avvocati hanno chiesto più volte la sospensione della pena ma le autorità dell’Ohio non hanno mai ritenuto le sue condizioni incompatibili con l’iniezione letale: «L’evoluzione dello stato di salute di mister Campbell è seguito in modo professionale per prendere le misure necessarie alla sua esecuzione», aveva detto appena tre giorni fa la stessa JoEllen Smith. Parole raggelanti, pronunciate dopo un’esame medico sulle «vene palpabili» del condannato che avrebbe avuto esiti positivi.

Durissimo il commento dell’Unione americane per le libertà civili ( Aclu): «Oggi la vita di un uomo è stata oggetto di uno spettacolo macabro: è la seconda volta in pochi anni che questo acacde in Ohio, questo è disumano», tuona Micke Brickner, dirigente dell’organizzazione che ha chiesto l’ennesima moratoria sulla «pratica selvaggia» delle iniezioni letali rivolgendosi direttamente al governatore dello Stato John Kasich. Sul caso Campbell è intervenuta via Twitter anche Helen Prejan, religiosa cattolica e icona della battaglia contro la pena di morte negli Stati Uniti: «Kasich e i tribunali dell’Ohio avrebbero fatto meglio ad ascoltare gli avvocati di Alva».

In ogni caso ci vorrà del tempo per riprogammare l’esecuzione, tra ricorsi legali e i normali tempi della burocrazia federale, Campbell dovrebbe tornare davanti al boia non prima della primavera del 2019, sempre che per quella data non sia già stato ucciso dalla malattia. Per il momento è rientrato nel braccio della morte come uno che torna dall’aldilà senza sapere bene il perche: «È un giorno che non dimenticherò mai nella vita», sono state le uniche parole riferite al suo avvocato.

Il primo caso moderno di un tentativo di esecuzione fallito è accaduto in Louisiana nel 1946, quando una sedia elettrica malfunzionante non è riuscita a togliere la vita a Willie Francis un afroamericano condannato per un omicidio commesso quando aveva 15 anni. In quel caso la Corte Suprema degli Stati Uniti permise allo Stato di replicare l’esecuzione che avvenne nel giugno 1947.

Daniele Zaccaria

da il dubbio

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