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Trattamenti inumani e degradanti per i detenuti nelle carceri italiane

 

 

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato per l’ennesima volta l’Italia per aver sottoposto a trattamenti inumani e degradanti alcuni detenuti. Il ricorso era stato presentato da Valentino Saba, una delle 46 vittime dei pestaggi avvenuti nel pomeriggio del 3 aprile del 2000 ad opera degli agenti di Polizia penitenziaria del carcere sassarese di San Sebastiano. La Corte ha criticato tutta la gestione italiana della vicenda.

Tra prescrizioni e pene sospese o troppo leggere, ai giudici di Strasburgo le sanzioni irrogate dall’Italia ai colpevoli non sono sembrate proporzionali al pestaggio e all’umiliazione dei detenuti. A uno degli agenti che era a conoscenza delle violenze dei colleghi ma non le ha denunciate, ad esempio, era stata data una multa di 100 euro. La direttrice del carcere è stata addirittura promossa a responsabile a livello centrale del trattamento dei detenuti. Poi dicono che in Italia non c’è meritocrazia.

Quella sui fatti di San Sebastiano non è la prima condanna della Corte di Strasburgo ricevuta dal nostro Paese sul problema delle situazione delle carceri italiane (e di ciò che succede dentro). Risale solo al gennaio dello scorso anno la sentenza Torreggiani, con cui l’Italia è stata condannata per trattamento inumano e degradante per aver violato i diritti di sette detenuti del carcere di Busto Arsizio e di Piacenza. I carcerati erano tenuti in celle dove avevano a disposizione meno di tre metri quadrati ciascuno.

Mino Torreggiani, uno dei ricorrenti, lamentava di dover dividere con altri due compagni uno spazio di nove metri quadrati “compreso il mobilio,” in un istituto in cui “mancava sempre l’acqua calda.” La sentenza, che condannava il nostro Paese al pagamento di circa 100mila euro di danni morali, era una sentenza pilota: la Corte, cioè, si è resa conto che il problema del sovraffollamento delle carceri in Italia è di natura strutturale e ha dato un anno di tempo per rimediare alla situazione. Nel frattempo, ha congelato i circa 7mila ricorsi simili a quello proposto da Mino Torreggiani per condizioni inumane di detenzione. Ricorsi che ammonterebbero a circa 100 milioni di euro di risarcimenti.

La sentenza è stata definita dal presidente Napolitano “una conferma mortificante dell’incapacità del nostro Stato a garantire i diritti elementari dei reclusi in attesa di giudizio e in esecuzione di pena.” Il presidente del Veneto Luca Zaia, invece, ha subito proposto la sua soluzione al problema del sovraffollamento: aprire nuove carceri.

L’anno di tempo concesso dalla Corte di Strasburgo è scaduto un mese fa. Nonostante numerosi media nazionali abbiano parlato di “promozione a pieni voti” da parte del Consiglio d’Europa, quello che l’Italia ha rimediato è stata, sostanzialmente, una proroga d’incoraggiamento. Strasburgo ha “apprezzato l’impegno delle autorità a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario” e i “risultati significativi ottenuti” e ha rimandato un ulteriore esame a giugno 2015.

Da più parti la decisione è stata salutata come il riconoscimento del lavoro fatto per migliorare la condizione dei detenuti. Chi, invece, non ha particolarmente apprezzato il giudizio della Corte è stata il segretario dei Radicali Rita Bernardini, che ha parlato di una decisione che “fa inorridire,” accusando Strasburgo di parlare di “significativi risultati” come se si potesse “stabilire una gradazione della tortura, dei trattamenti inumani e degradanti.”

“Certamente è un non senso parlare di promozione a pieni voti, così come è sbagliato non leggere i risultati ottenuti,” mi spiega Mauro Palma, presidente della commissione del Ministero della Giustizia per l’elaborazione degli interventi in materia penitenziaria. “Dalla sentenza Torreggiani si è messo in moto un processo di ridefinizione del modello di detenzione che non si aveva da tempo: alcune leggi che erano state intoccabili sono state abolite o modificate. Si è intervenuti sia nel limitare il ricorso al carcere, sia nel facilitare quello a misure alternative. Oggi abbiamo quasi diecimila detenuti in meno rispetto a quattro anni fa, abbiamo un minore affollamento nelle celle, un numero minore di coloro che sono in attesa del primo processo. Ma è certamente solo un primo passo.”

Nonostante il numero dei detenuti sia diminuito, l’Italia ha un tasso di affollamento carcerario del 134,6 percento—più di 134 persone ogni 100 posti letto. Un anno fa, secondo un rapporto del Consiglio d’Europa, peggio di noi c’era solo la Serbia. Oggi i “significativi progressi” hanno fatto sì che siamo dietro a Cipro e Ungheria, ma sta di fatto che la media europea è ben al di sotto: ci sono più posti letto che detenuti, com’è normale che sia.

Secondo il dossier elaborato dai Radicali, la situazione più critica in termini di sovraffollamento si trova nel carcere di Modena,  dove ci sono 556 reclusi su 221 posti. Seguono Busto Arsizio, Pozzuoli, Vicenza, Padova e Latina. Regione peggiore è la Puglia, dove su una capienza di 2.458 posti in 11 istituti c’è una popolazione carceraria di 3.669 persone. Servono davvero nuove carceri?

Secondo Palma “la proposta di costruire altri istituti di detenzione non risolve certo il problema. La questione è chiedersi perché la composizione sociale della popolazione detenuta vada degradandosi fino ad avere un carcere popolato da tutto ciò che la società esterna non sa affrontare diversamente, da tutto ciò che mette al proprio margine. Questa è la domanda da porsi leggendo numeri e statistiche, abbandonando l’apparente soluzione di chi ragiona come si trattasse di risolvere un problema meramente logistico.”

Per Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, tra l’altro, il parametro dello spazio a disposizione per detenuto non può essere sufficiente: “I tre metri quadri a Civitavecchia significano una vita dignitosa, perché è un carcere gestito bene. I tre metri quadri a Poggio Reale significano, invece, ancora violazioni sistematiche dei diritti umani.” La Corte di Strasburgo, infatti, considera automaticamente le condizioni di chi dispone di meno di tre metri quadrati come violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea per i diritti umani; tuttavia, come mi spiega Palma, “questo non significa che oltre i tre metri quadrati le condizioni siano accettabili: ci sono anche altri fattori, quali il numero di ore che il detenuto passa fuori della cella, il suo essere o meno coinvolto in attività, le condizioni complessive del carcere. Nel nostro sistema si è raggiunto il risultato di non avere più nessuno sotto i tre metri quadrati di spazio vitale, ma ne abbiamo ancora quasi 15 mila che dispongono di uno spazio compreso tra i tre e i quattro metri quadrati.”

Che le condizioni di vita nelle carceri italiane non siano proprio il massimo l’ha confermato anche Società italiana di medicina penitenziaria (SIMPSE), secondo cui in cella il 60-80 percento dei detenuti contrae malattie. Per il dottor Francesco Ceraudo, che è stato presidente dell’Associazione dei medici penitenziari, “il sovraffollamento favorisce il contagio, la diffusione delle malattie infettive, rendendo assolutamente insufficienti i già precari servizi igienici.” In carcere, inoltre, “vengono rese impraticabili le più elementari condizioni di vita e di igiene” e “risultano sempre molto frequenti gli atti di autolesionismo in un contesto dove l’abuso degli psicofarmaci diventa una costante insopprimibile.”

Una delle bestie nere delle carceri italiane è il crescente numero di suicidi: nel 2013 sono stati 49. Per i Radicali, nel nostro paese i detenuti si tolgono la vita con una frequenza 19 volte maggiore rispetto alle persone libere. Solo nelle ultime settimane, un detenuto del carcere di Ancona Montacuto si è suicidato, mente un altro, sempre nella stessa struttura, è finito in ospedale in gravissime condizioni per aver ingerito della varichina.

Un mese fa un uomo di 40 anni si è ucciso inalando del gas nell’istituto di Sollicciano, mentre pochi giorni fa casi di suicidio si sono verificati a Cagliari e a Teramo. A Lucca, invece, un detenuto ha tentato di togliersi la vita due volte in poche ore. Secondo il dossier ‘Morire di carcere’ di Ristretti Orizzonti, al 3 luglio 2014 si contano 21 suicidi su un totale di 72 morti dietro le sbarre.

Per l’associazione, l’elemento che accomuna chi si toglie la vita in carcere è la mancanza totale di prospettive. In tante carceri—si legge nel dossier—il tempo della pena è tempo vuoto, dissipato lentamente aspettando il fine pena.

“La questione dei suicidi va sempre presa con grande rispetto,” afferma Palma. “Il carcere è un mondo teso, fatto spesso di sensazioni di inutilità, di tempo che scorre senza significato. Spesso questi episodi avvengono durante la prima fase della detenzione, subito dopo l’arresto, oppure quando si avvicina il momento della fine della pena e dell’uscita. Sono situazioni indicative della sensazione di non poter contare su reti protettive. In due paesi di forte tradizione europea, l’Italia e ancor più la Francia, il tasso di suicidi in carcere è molto alto. In altri paesi, specialmente nell’Europa del nord, ci sono tassi di suicidi alti, ma corrispondono a tassi medio-alti anche fuori dagli istituti di pena.”

L’aria malata del carcere non miete vittime solo tra chi sta dietro le sbarre. Dal 2000 ad oggi si sono tolti la vita 100 poliziotti penitenziari e un direttore d’istituto. L’ultimo caso si è verificato a Roma un mese fa. “La sensazione di debolezza sociale spesso coinvolge anche lavoratori che operano in un mondo abitato da persone che ti vedono come il vettore della privazione della libertà,” spiega Palma. “Questa funzione di esercizio di micro potere cozza con l’irrilevanza sociale e con lo scarso credito che la propria figura professionale ha all’esterno. Sembra strano, ma queste due debolezze, del recluso e di chi reclude, si assomigliano a volte.”

Le nostre carceri sono state spesso anche teatro di violenze e maltrattamenti. Gli episodi sono tanti, non ultimo quello di San Sebastiano. Un’inchiesta di Fanpage ha denunciato la presenza nel carcere campano di Poggio Reale della cosiddetta “cella zero”: una stanza senza video sorveglianza dove avverrebbero i pestaggi della Polizia penitenziaria, raccontati da diversi ex detenuti.

Secondo Palma, però, non si tratta di pratiche generalizzate: “Ciò che è generalizzato è l’atteggiamento di chiusura difensiva, quasi omertosa, del mondo detentivo, degli operatori, quando avvengono questi episodi. Troppo spesso si giustificano pratiche inaccettabili, non si aiuta il magistrato, non si fanno compiute indagini interne per stroncare questo fenomeno sul nascere. Questo coinvolge tutti in una sfiducia da parte della società esterna che considera il carcere come un mondo a sé all’interno del quale è meglio non guardare troppo. Al contrario, il carcere ha bisogno di trasparenza. Fermo restando che se non si danno chiari messaggi che tali comportamenti non saranno tollerati e i responsabili severamente punti, questo problema non potrà mai essere risolto.”

Tra suicidi, maltrattamenti e condizioni igienico-sanitarie precarie, il raggiungimento dei tre metri quadri a testa per detenuto è sicuramente un miglioramento, ma non sembra un grande risultato. A meno che l’obiettivo non sia solo superare l’esame del Consiglio d’Europa. Anche perché, proprio dopo il caso della sentenza Torreggiani, i ricorsi a Strasburgo stanno aumentando, e i detenuti stanno imparando a conoscere un sistema di tutela diverso e più efficace della giustizia italiana.

“Credo che qualcosa possa cambiare”, mi dice Palma, “purché si proceda speditamente sulla strada del mutamento. Se invece, superato appena e con rinvio il primo esame di Strasburgo, ci si accontenta, sottraendosi alla continuità di quanto avviato, il rischio di ritrovarsi a breve a doverci difendere è dietro l’angolo”. Tradotto in parole povere: se si continueranno solo a mettere pezze, prima o poi l’Italia sarà costretta a pagare un prezzo altissimo, fatto di soldi e vergogna.

di Claudia Torrisi da http://www.vice.com


Isola dell’Asinara, esterno del bunker “Totò Riina”. Foto via Flickr.

 

 


Raggi del supercarcere di Fornelli (Asinara), dismesso nel 1998. Foto via Flickr.

 

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