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Testimonianze: Non si processano le idee!

Negli ultimi anni spesso abbiamo sentito parlare dei casi di mala-polizia, di un eccessivo abuso di potere da parte delle forze dell’ordine che hanno dato vita a casi struggenti e irrisolti, che hanno spezzato vite, strappate alle loro famiglie, ai loro cari, ai loro affetti. Stefano Cucchi, Aldo Bianzino, Federico Aldrovandi, la macelleria messicana della Diaz, sono tutti casi che emergono fuori come la punta dell’iceberg e di cui siamo a conoscenza oggi grazie al coraggio di coloro i quali hanno voluto denunciare i soprusi subiti.

Ma quanti casi di mala-polizia, di accanimento repressivo e giudiziario esistono in Italia e di cui non sappiamo nulla? Quanti piccoli casi di ingiustizia quotidiana si risolvono con condanne inique ai danni di cittadini che non hanno commesso nulla ma che vengono condannate solo perchè la parola o la voce di un pubblico ufficiale risulta essere più attendibile di un privato cittadino?

Il mio caso di certo non può essere paragonabile a quelli succitati, non si parla di certo di violenza atroce, di annullamento dello stato di diritto, ma comunque si tratta di una piccola ingiustizia, di un minuscolo caso di una cittadina di provincia che però si lega a tanti piccoli casi di cui altri cittadini sono protagonisti. Credo che adesso sia giunto il momento di rompere il silenzio e provare a gettare un sasso in questo stagno della nostra realtà che chiude gli occhi e fa finta di non vedere a volte le ingiustizie quotidiane, che ti etichetta facilmente, è necessario aprire una discussione ed un dibattito sereno sull’accanimento repressivo di cui diventa oggetto un attivista, un militante nella nostra piccola cittadina.
In una realtà provinciale come la nostra, essere un militante di un centro sociale, un militante politico di uno spazio, di un circolo, essere comunista o anarchico vuol dire essere etichettato a vita, avere la consapevolezza di portarsi addosso una croce a causa delle proprie idee e delle proprie scelte. Nella piccola Benevento, del pregiudizio, della testa sotto la sabbia, dell’omologazione a tutti i costi, essere un militante vuol dire essere un pluripregiudicato a prescindere, un terrorista, un talebano, un sovversivo, un violento, un poco di buono. Sin da subito compiere una scelta politica vuol dire imbracciare una battaglia perenne nel proprio nucleo familiare, una battaglia contro i pregiudizi diffusi, una battaglia contro coloro che hanno il compito, utilizzando qualsiasi mezzo a disposizione, di farti desistere dalle tue scelte politiche e dal tuo modo d’agire.

In quasi 15 anni di attivismo politico sono stato oggetto di diversi procedimenti penali da parte delle forze di polizia, risolti in assoluzioni perchè il fatto non sussisteva.

Il prossimo 13 Novembre comincerà l’ennesima odissea, un processo per resistenza relativo all’occupazione del tetto del provveditorato agli studi dello scorso anno ad opera dei precari della scuola. Era il 2011 quando in un pomeriggio di Settembre i precari della scuola occuparono il tetto del Provveditorato agli Studi. In seguito all’occupazione del tetto, la Provincia di Benevento, proprietaria dello stabile, acconsentì ai precari di poter restare sul tetto, in forma di solidarietà. Sullo stabile quel giorno c’erano precari, insegnanti, sindacalisti, politici, giornalisti. Io dopo essere salito per solidarizzare con loro, decisi di scendere e stazionare nell’atrio del provveditorato agli studi. Arrivò la polizia, la quale contro la mia volontà mi individuò come il promotore della protesta cercando di trattare con me per far scendere i precari dal tetto. Spiegai che io ero li per portare la mia solidarietà e che per avere maggiori informazioni era necessario rapportarsi con i precari che in quel momento erano sul tetto. Dopo circa mezz’ora per accertarmi di un malore avuto da mia sorella decisi di recarmi sul tetto per accertarmi sul suo stato di salute. Arrivato sul tetto c’era un’agente in servizio della Digos di cui non faccio il nome per motivi processuali che mi diceva che non si poteva passare, ma vedendo circa 50 persone tra cui giornalisti, politici e cittadini normali e in vista dell’autorizzazione a sostare da parte della Provincia di Benevento e soprattutto preso dalla preoccupazione per lo stato di salute di mia sorella passai senza muovere alcuna violenza o minaccia. Arrivato da mia sorella sentii urlare la stessa agente la quale cominciò ad accusarmi di averle messo le mani addosso e che doveva denunciarmi. Grande fu lo sdegno delle persone presenti le quali avevano capito le intenzioni dell’agente. Sembrava tutto surreale e soprattutto improbabile che mi potessero denunciare per una cosa inesistente e futile come quella. A distanza di pochi mesi mi è stato notificato un avviso per aver commesso il reato di resistenza per aver mosso violenza e minaccia nei confronti dell’agente. Il 13 Novembre comincerà il processo a mio carico per un fatto che non ho commesso e pochi giorni or sono mi è stata notificata la costituzione di parte civile da parte dell’agente la quale mi chiede 10000 euro per i danni materiali dovuti ad una presunta contusione al braccio non refertata che ha causato addirittura dolore per alcuni giorni e i danni morali per i patemi d’animo sofferti dalla suddetta in questi anni dovuti alla paura ,che un noto bruto e violento come me per il fatto di essere stato appartenente in passato al Centro Sociale Depistaggio, poteva muoverle violenza. Il presidio sul tetto del provveditorato durò altri 15 giorni indisturbato, senza alcun problema e il presunto divieto di salire sul tetto si nebulizzò subito dopo la mia vicenda dato che la polizia andò via e tutti i cittadini compresi noti politici poterono salire liberamente su quel tetto.

Per un fatto che non ho commesso dovrò sostenere l’ennesimo processo, solo perchè sono noto alle forze di polizia , come appartenente ai centri sociali. Ma il mio non è un caso isolato, ci sono molte persone come me che in ogni manifestazione o momento di protesta vengono prese di mira e prese in considerazione nelle relazioni di servizio degli agenti di polizia. Non ultimo qualche giorno fa due ragazzi anarchici e conosciuti alle forze di polizia furono fermati per strada e gli furono sequestrate due buste di zucchine e peperoni solo per essersi rifiutate di far vedere il contenuto della busta. Anche se non sembra è questo il clima che si vive in questa città da anni, è questa la considerazione di cui si gode se si hanno determinate idee politiche. In questi anni la digos si è resa protagonista di decine di procedimenti penali al 90% dei casi persi perchè il fatto non sussisteva, facendo perdere inutile tempo e soldi alla macchina giudiziaria, solo per il gusto di veder condannato un giovane militante o attivista. Mi chiedo perchè bisogna subire in silenzio questo accanimento repressivo a causa delle proprie idee e delle proprie scelte, quale gusto si prova a segnare la vita di qualcuno che non ha commesso alcun reato solo per punirlo del proprio stile di vita. Il 13 novembre andrò a fare l’ennesimo processo solo perchè sono conosciuto ai loro uffici e solo perchè in questa piccola e provinciale città avere idee di sinistra vuol dire essere pericoloso e da allontanare. Con questa mia lettera vorrei scuotere le coscienze di chi ritiene ingiusto questo modo di fare, di chi con me vuol rompere questo silenzio perbenista, di chi anche se non ha le mie stesse idee politiche ritiene questo modo di agire ingiusto e persecutorio. Datemi una mano a rompere il silenzio, difendiamo il diritto al dissenso, rompiamo i pregiudizi!

Pasquale Basile

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