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Terrorismo e tortura di Stato. Perchè è quando non si conosce la storia che questa rischia di ripetersi.

Il 22 maggio inizierà nell’aula bunker di Torino il processo per Chiara, Claudio, Niccolò e Mattia, arrestati il 9 dicembre e detenuti in AS2, accusati di terrorismo, per un’azione (la notte del 13 maggio del 2013) che per i giudici fu “connotata da organizzazione strategica assimilabile a quella militare” e che “ha provocato un danno all’immagine del paese a livello internazionale”.

Terrorismo, dunque. E danno all’immagine. Restiamo su questi temi e proviamo a ripercorrere la storia, al contrario.
E’ importante conoscere il passato, tanto più se è stato negato, distorto, sepolto. Perché è quando non si conosce la storia che questa rischia di ripetersi.
Degli anni di piombo molti di noi hanno pochi frammentati ricordi. Forse perché eravamo bambini, all’epoca dei fatti, forse perché le informazioni di cosa davvero accadde in quegli anni solo oggi, lentamente, emergono ma senza mai ottenere l’attenzione che meriterebbero.
C’è una vicenda, in particolare, che sembra che pochi conoscano, ed è quella della tortura di Stato. Un bel reportage video Enrico Porsia ci racconta la vicenda di Enrico Triaca, ex militante delle BR ) che denunciò le torture praticate da funzionari della polizia italiana, una squadra di “torturatori di Stato”, che “agiva in nome della ragione di stato” in un paese “democratico”.  Triaca fu arrestato nel 1978 nell’ambito delle indagini per il sequestro e l’uccisione dell’on.Moro, sospettato di essere un fiancheggiatore delle Brigate Rosse. Nel corso di un interrogatorio di polizia il 17 maggio Triaca riferì alcune informazioni, indicando nominativi di appartenenti all’organizzazione, ritrattando poi il tutto quando fu nuovamente interrogato alla presenza del suo avvocato, affermando di essere stato torturato. Raccontò di essere stato fatto salire su un furgone, bendato, e portato dopo un lungo percorso in un luogo dove fu denudato e fatto distendere su un tavolo, al quale fu legato. Qualcuno gli tappava il naso, qualcun altro gli versava in bocca acqua con un sapore che non seppe decifrare. Trattamento noto come “waterboarding”.

Enrico_TriacaPer queste dichiarazioni fu rinviato a giudizio per calunnia e rapidamente condannato. Ma Triaca non si arrende, nel dicembre 2012 deposita istanza di revisione della sentenza, che arriva alla Corte d’appello di Perugia. Nel giudizio di revisione vengono assunte le testimonianze di un ex Commissario di Polizia (Salvatore Genova) e due giornalisti (Matteo Indice e Nicola Rao) che avevano svolto inchieste su episodi di violenze su detenuti avvenuti tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta (ad esempio le violenze perpetrate nell’ambito dell’inchiesta sul sequestro del generale Dozier nel gennaio 1982 ad opera di un gruppo di agenti noto come “i cinque dell’Ave Maria”, agli ordini del dirigente dell’Ucigos Nicola CIOCIA, soprannominato “prof. De Tormentis”).
L’ex commissario, Genova, conferma la pratica del waterboarding, la Corte conclude che “la pluralità delle fonti consente di ritenere provato che un soggetto, rispondente al nome di Nicola Ciocia, confermò di avere, quale funzionario dell’Ucigos al tempo del terrorismo, utilizzato più volte la pratica del waterboarding (…) la stessa pluralità delle fonti, sia pur – sotto tale profilo – indirette, consente inoltre di ritenere suffragato l’assunto fondamentale che a tale pratica fu sottoposto anche Enrico Triaca”. La sentenza di condanna per calunnia a carico del Triaca viene quindi revocata, e viene disposta la trasmissione degli atti alla Procura di Roma per quanto di eventuale competenza a carico del Ciocia  [fonte: Penalecontemporaneo.it ]

Altri episodi legati a Ciocia sono riportati ne “Il libro nero delle Brigate rosse”, di Pino Casamassima, dal quale cito un passaggio significativo:

“Il 23 gennaio 1982 viene arrestato un fiancheggiatore, Nazareno Mantovani. La sua odissea nelle parole di Genova: “Gli usiamo violenza, anche io. Poi bisogna portarlo da Ciocia in un villino preso in affitto dalla questura. Lo facciamo di notte. Lo carichiamo, bendato, su una macchina insieme a quattro dei nostri. Su un’altra ci sono Ciocia con i suoi uoini, incappucciati.” (…) Arrivati a destinazione, Mantovani viene denudato, legato mani e piedi. Ciocia inizia il suo “lavoro”. Gli altri guardano. “Prima le minacce, dure, terrorizzanti: Eccoti qua, il solito agnello sacrificale, sei in mano nostra, se non parli per te finisce male. Poi il tugo in gola, l’acqua salatissima, il sale in bocca e l’acqua nl tubo. Dopo un quarto d’ora Mantovani sviene, e si fermano, poi riprendono”. Ma non sono ancora le maniere forti, quelle oltre ogni immaginazione in un paese civile. Pier Vittorio Buffa, l’autore dell’inchiesta de L’Espresso, riporta infatti anche le dichiarazioni scioccanti di Genova su uno di quegli interrogatori più crudeli effettuati dalla squadretta di Ciocia, quello ai danni di Ruggero Volinia e della sua ragazza, Elisabetta Arcangeli: “La ragazza è legata, nuda, la maltrattano, le tirano i capezzoli con una pinza, le infilano un manganello nella vagina, la ragazza urla, il suo compagno la sente e viene picchiato duramente, colpito allo stomaco, alle gambe. ha paura per sé, ma soprattutto per la sua compagna. I due sono molto uniti, costruiranno poi la loro vita insieme, avranno due figlie”. Uomini dello stato, in nome del popolo italiano, cercavano Dozier nella vagina di una ragazza.

Nel 1982, quando l’Espresso denunciò le sevizie il cronista fu smentito e arrestato. Ma nel 2012 Salvatore Genova fece i nomi, indicando precise responsabilità. Un pentito del quale nessuno parla. Forse perché provocherebbe  un danno all’immagine del paese a livello internazionale?

Dunque la tortura fu praticata, da una squadra di agenti esperta che di certo non agiva all’insaputa dei superiori, con metodi ben noti a quanti, all’epoca, si occupavano di terrorismo.
La sentenza porta all’emersione di una zona grigia, non soltanto per questi gruppi autorizzati alla pratica della tortura, ma anche per l’incapacità della magistratura di reagire adeguatamente a fronte delle denunce, come quella del Triaca, che trasformarono le vittime nuovamente in colpevoli (di calunnie!), punendoli così due volte. Lo Stato assolve sé stesso.
Nell’articolo che spiega la vicenda Luca Masera conclude con una considerazione importante: “Più che alla ricerca di verità giudiziarie, la sentenza qui allegata deve piuttosto condurre ad essere meno perentori nel sostenere la tesi, così diffusa nel dibattito pubblico e storiografico, secondo cui il nostro ordinamento, a differenza di altri, ha sconfitto il terrorismo con le armi della democrazia e del diritto, senza rinunciare al rispetto dei diritti fondamentali degli imputati e dei detenuti. In larga misura ciò è vero, ma è anche vero – e questa sentenza ce lo ricorda quasi brutalmente – che anche nel nostro Paese si è fatto non sporadicamente ricorso a strumenti indegni di un sistema democratico: è bene ricordarlo, per evitare giudizi troppo facilmente compiaciuti su un periodo così drammatico della nostra storia recente, e sentenze come quella di Perugia ci aiutano a non perdere la memoria.

E’ importante conoscere la storia, perché questa non si ripeta. Oggi sappiamo che il successore di Giancarlo Caselli alla guida della Procura di Torino sarà Armando Spataro (dal 1976 al 1989 nella Procura della Repubblica di Milano si occupò di sequestri di persona e di terrorismo di sinistra). Ecco, cosa scrivono entrambi, nel libro “Gli anni di piombo” (Rizzoli, 2010):

«Nel pieno rispetto delle regole, i magistrati italiani fronteggiarono la criminalità terroristica, ricercando elevata specializzazione professionale e ideando il lavoro di gruppo tra gli uffici (il coordinamento dei 36) […] La polizia doveva, anche allora, mettere a disposizione della magistratura gli arrestati nella flagranza del reato o i fermati entro 48 ore e non poteva interrogarli a differenza di quanto avviene in altri ordinamenti….»

Questa fu invece la dichiarazione di Armando Spataro su “Paese sera” del 19 marzo 1982, in polemica con il capitano di PS Ambrosini e l’appuntato Trifirò che avevano denunciato le torture praticate nella caserma di Padova:

«Un conto è la concitazione di un arresto, un conto è la tortura. In una operazione di polizia non si possono usare metodi da salotto. La tortura invece è un’altra» e ancora “Non credo alle torture, ma non devono restare dubbi”.

Di recente si è parlato, non abbastanza, dell’introduzione nel nostro ordinamento del reato di tortura (art. 613-bis e 613-ter c.p.), qui i riferimenti sul sito del Senato.
L’associazione ANTIGONE ha evidenziato il limite normativo, poiché non si tratta di un reato specifico che può essere commesso solo da un pubblico ufficiale, ma viene considerato un delitto generico, che chiunque può commettere.
Critico anche Maurizio Fumo, su Goleminformazione.it:

“La concezione “internazionale” della tortura, dunque, sembra essere legata, anche per ragioni storiche, alla figura di colui che detiene un potere ufficiale o comunque istituzionale, e che ne abusi, infliggendo alle persone sottoposte alla sua autorità, o che comunque si trovino – di fatto o di diritto – nella sua sfera di potestà, sofferenze atroci, che ne provino il fisico e/o la psiche. (…) Più ampia, viceversa è la concezione accolta dal Senato della Repubblica, che ha disegnato il nuovo reato come delitto comune e non proprio (“Chiunque, con violenze o minacce gravi…”). In merito, per quel che emerge dal resoconto stenografico dei lavori parlamentari, i contrasti sono stati piuttosto accesi, in quanto c’era chi intendeva la introduzione del reato come una sacrosanta reazione dell’ordinamento nei confronti di quei pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio (più che altro, appartenenti alle Forze dell’ordine) che avevano maltrattato in maniera intollerabile persone arrestate, fermate, e comunque, anche temporaneamente, private della libertà. Insomma: la introduzione del reato di tortura come reazione agli episodi Diaz o Bolzaneto, o ai “casi” Aldovrandi, Uva ecc.
“Il testo approvato, viceversa, esige, come premesso, il solo dolo generico, in quanto è necessario e sufficiente che l’agente agisca con coscienza e volontà, infliggendo trattamenti inumani e/o degradanti, perpetrando violenze gravi, formulando minacce altrettanto gravi nei confronti di persone in evidente stato di inferiorità.
Il predetto testo, poi, com’era giusto e prevedibile, al comma secondo, introduce un’aggravante se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, ovvero da un incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle loro funzioni.”

Il 22 maggio a Torino, in aula bunker, si apre un nuovo processo per terrorismo. Imputati quattro NO TAV, ed alla guida della Procura Armando Spataro. Chissà se oggi crede alle torture, o ha ancora dubbi.
Di certo al momento pare che siano i NO TAV ad aver provocato “un danno all’immagine del paese a livello internazionale”, stando ai media locali (e nazionali) dopo l’aggressione all’autista del PM Padalino, frettolosamente attribuita ai no tav, si alzano ulteriormente le misure di sicurezza per i magistrati e i “giurati popolari” che faranno parte del collegio della Corte d’Assise per il processo ai 4 arrestati il 9 dicembre.
Sembrerebbe, pur non essendoci gli elementi che gli permetterebbero di farlo, che vogliano ricostruire il clima di quegli anni di piombo, per i quali solo adesso iniziano ad emergere episodi che dovrebbero, in realtà, attribuire a quello Stato un certo danno all’immagine del paese, un paese democratico, che praticò la TORTURA, un reato che non c’era e che viene introdotto in modo fin troppo generico.
Ecco un video che introduce al processo che avrà inizio il 22 maggio, vale la pena guardarlo fino in fondo per comprendere il livello delle accuse.

Simonetta Zandiri da TgMaddalena

Comments ( 1 )

  • Daniela

    Grazie, sempre grande Simo!! di questo video è possibile avere un dvd per poterlo proiettare anche senza internet??? Ciao, baci

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