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Tende, sgomberi, repressione e lotta di classe

Quando Virginia Raggi e i suoi assessori, con la Baldassarre in testa, affermano che ciò che sta accadendo a Roma intorno alla vicenda degli sgomberi di via Curtatone o nella chiesa dei XII Apostoli porta la firma del movimento per la casa, con l’accusa di ricercare la visibilità piuttosto che le soluzioni, evitano di affrontare seriamente la questione sollevata dalla legittima resistenza di via Quintavalle a Cinecittà e in piazza Indipendenza: l’emergenza abitativa e le diverse soluzioni più o meno organizzate che migliaia di nuclei familiari e di singoli hanno immaginato e praticato, in assenza di politiche alloggiative degne di questo nome.

Solo chi vuole chiudere gli occhi non può aver visto chiaramente la realtà romana e le drammatiche vicende che riguardano migliaia di sfratti e di pignoramenti, per parlare solo di chi una casa ha provato ad affittarla o ad acquistarla. A questi si aggiungono coloro che proprio non se lo possono permettere e le decine di migliaia di giovani che in assenza di un reddito vivono ancora in famiglia, magari in sovraffollamento dopo essersene formata una propria. Una fascia enorme di persone a rischio di esclusione sociale, se non già rimosse ed emarginate. In un simile scenario, la figura migrante è indissolubilmente intrecciata con questo contesto umano e spesso è divenuta avanguardia nelle lotte in difesa di diritti primari come quello alla casa, alla residenza, ad un reddito adeguato, contro lo sfruttamento nel lavoro.

Tutto questo era più che evidente da tempo e più volte abbiamo sollecitato l’amministrazione capitolina ad assumersi la responsabilità di un’inversione di tendenza rispetto al passato, dove proprio le emergenze sociali erano diventate sinonimo di provvedimenti tampone, non risolutivi e utili solo a far girare denaro che andava a riempire le tasche della rendita e di quel terzo settore interessato ad attingere risorse fuori controllo giustificate dalla somma urgenza.

Inoltre in diversi momenti abbiamo chiesto di censire seriamente l’emergenza abitativa in tutti i luoghi dove questa si manifesta, comprese le decine di occupazioni per necessità che si sono stratificate negli anni e sono parte integrante del tessuto sociale di ogni municipio.

Le risposte che abbiamo ricevuto sono state inizialmente dilatorie, poi sempre più repulsive, fino ad arrivare alla manifesta insofferenza dentro un confronto non solo necessario ma decisamente utile per non arrivare a ciò che si è visto da Cinecittà a piazza Indipendenza.

Ora siamo di fronte ad un asse che ha del sorprendente solo per chi ha creduto che il Movimento 5 stelle potesse produrre una rottura storica dentro il sistema di potere romano. L’odio di classe espresso da questa amministrazione e le nuove categorie sociali escogitate per (non) affrontare la situazione (vedi quella dei “fragili”), stanno trovando una formidabile resistenza tra chi lotta per il diritto alla casa, autoctoni, migranti, rifugiati. Sostanzialmente ci troviamo di fronte ad un passaggio più avanzato della guerra ai poveri, aperta dall’ex ministro Lupi con il famigerato “piano casa” ed il suo articolo 5 che nega a chi occupa residenza ed utenze, passata per la legge Minniti sul decoro e la sicurezza urbana, per arrivare alle ultime indicazioni in materia di sgomberi e controllo della città.

L’amministrazione pentastellata tenta di salvarsi l’anima con l’attenzione verso le cosiddette fragilità, ma non riconosce la legittimità delle lotte e il ruolo dei movimenti, anzi li elegge a nemici e ne tenta la diffamazione, sposando così le tesi della Questura sul racket delle occupazioni e sulla natura estorsiva delle richieste che gli stessi movimenti avanzano nelle trattative che di volta in volta si producono.

Una dinamica di natura sindacale viene derubricata quindi a minaccia dalla quale guardarsi, come se invece di aventi diritto a un alloggio di fronte si avessero dei criminali.

Questo profilo davvero discutibile ci ha portato dritti dentro la deflagrazione di piazza Indipendenza e nulla ha fatto la sindaca per evitarlo. Anzi potremmo dire che ha alimentato il processo che ha prodotto una soluzione aggressiva, pasticciata e connotata da venature razziste scarsamente accoglienti. Dotarsi di un nemico è quello di cui, all’indomani di via Curtatone, sia la questura che la sindaca avevano bisogno. Da quel momento in poi il movimento di lotta per la casa invece di essere un soggetto con il quale confrontarsi è divenuto l’opposta fazione con la quale scontrarsi, tra accuse inverosimili di infiltrazione e strumentalizzazione, utili solo a nascondere la fallimentare gestione degli sgomberi da più parti criticata.

In questo comportamento non solo non vediamo il minimo buon senso, ma cogliamo una visione della città dove far prevalere il diritto proprietario ad ogni costo, rilanciare gli interessi della rendita e affermare una legalità sulla base del censo. In buona sostanza privilegiare la parte garantita della città, vigilare sui suoi interessi, mentre si lascia cadere qualche briciola destinata alle fragilità e agli esclusi, affermando che essendo la coperta troppo corta qualcuno dovrà pure restare scoperto.

Tutto ciò va chiamato con il suo nome: lotta di classe. Questo sta emergendo dentro le tendopoli rimosse in nome del decoro, con operatori AMA e ATAC chiamati a svolgere funzioni di ordine pubblico insieme alle forze dell’ordine e ai vigili urbani, così come dentro i palazzi sgomberati con l’ausilio dei Vigili del Fuoco. Una chiamata di correità contro i disperati, gli ultimi e i penultimi, i migranti. La parte della società che deve tutelare le proprie posizioni acquisite, leggermente migliori di altre colpite dalla crisi, viene schierata a difesa di valori e confini che non possono essere messi in discussione dagli esclusi.

Dentro questa partita un ruolo non indifferente lo gioca la magistratura. Giorno dopo giorno, sentenza dopo sentenza, nega la possibilità che i diritti siano esigibili attraverso le lotte e il dissenso. Tremendo in questo senso l’ultimo pronunciamento della Cassazione il 31 agosto scorso in merito a una vicenda riguardante allacci abusivi e morosità per l’erogazione dell’energia elettrica: la corrente non è un bene di prima necessità e quindi non è sostenibile la tesi che in mancanza di reddito ci si debba esimere dal condannare l’atto illegale. Come dire se non hai i soldi non puoi pretendere ciò che non puoi pagare. Questo vale per l’energia elettrica, per l’acqua, per la casa.

Lo stesso presidente dell’Associazione nazionale dei magistrati, titolare di molte inchieste sulle occupazioni romane, ha tenuto a precisare che il diritto alla casa non è esigibile in sede giudiziaria mentre quello proprietario è normato per legge. Il problema è che se un diritto primario come quello alla casa viene leso non c’è verso di rivendicarlo se non con la lotta, ma quando ciò avviene questa stessa lotta viene sanzionata in quanto lede il diritto proprietario.

Così la carta costituzionale cede decisamente il passo di fronte alla rendita, alla cementificazione e al consumo di suolo, a un interesse di parte e a un sistema di potere messo in discussione proprio dalle occupazioni e dalle pratiche di riappropriazione dei movimenti di lotta per il diritto all’abitare.

La sindaca di Roma e il Movimento 5 stelle, con l’attacco frontale contro il movimento per la casa, hanno deciso di schierarsi dalla parte della borghesia fondiaria e della rendita, in una logica classista tutta tesa a fomentare gli animi e ad alimentare una tensione sociale rilevante, utile a mantenere il consenso di quella parte di città che potrebbe decidere di premiare la destra o quel partito che sembra in disgrazia ma che il ministro Minniti sta provando a risollevare con il freno ai flussi migratori e con la tutela del decoro/legalità in periferia come al centro. E’ su una dimensione tutta elettorale, quindi, che si sta sviluppando una disputa tra diverse forze politiche che non amando i poveri si contendono voti alimentando di fatto una rinnovata e mai sopita lotta di classe, dall’alto verso il basso, e accreditandosi come riferimento per un “mondo di mezzo” disponibile a schierarsi.

Questo ci racconta la vicenda romana. E non abbiamo ancora visto tutto …

Paolo Di Vetta

da il salto

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