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Svuota carceri: i veri numeri del finto scoop di “La Repubblica”

I “boss” scarcerati non sono 376, ma 3. Tutti gli altri erano detenuti nel circuito di alta sicurezza. In queste scarcerazioni sono coinvolti 200 magistrati: tutti pericolosi eversori dell’ordine costituito? Lo scoop postumo di Repubblica (“Boss scarcerati, la lista segreta”, 5 maggio) ci informa che i boss scarcerati dal 41bis per motivi di salute sono 3, non 376.

Gli altri erano detenuti al circuito detentivo di alta sicurezza, cui si accede – non sulla base di una valutazione individualizzata della pericolosità sociale, come nel caso del 41bis – ma per titolo di reato: basta averne uno tra gli ormai innumerevoli ricompresi nell’articolo 4bis dell’ordinamento penitenziario che limita l’accesso ai benefici e alle alternative al carcere.

A vario titolo ostativi sono ormai non solo i reati legati alle organizzazioni criminali, ma anche quelli per fatti di corruzione, le rapine aggravate e alcuni reati sessuali. Comunque, certo è che – nonostante i profili criminali tratteggiati nell’articolo citato, nessuno di questi 373 detenuti scarcerati dal circuito di alta sicurezza è stato considerato da Ministro e Procura nazionale antimafia così pericoloso per l’ordine e la sicurezza pubblica da stare in 41bis.

D’altro canto, di questi 373 detenuti scarcerati dall’alta sicurezza per motivi di salute, ben 196 erano anche in attesa di giudizio, e dunque, secondo quel vecchio arnese della Costituzione, ancora legalmente innocenti.

Questo significa anche che questi 196 detenuti sono stati scarcerati per ordine degli stessi magistrati che ne avevano convalidato l’arresto e la misura cautelare, evidentemente – a loro giudizio – non più necessaria in quella forma e in quella gravità. Solo 155 sono stati invece i provvedimenti di scarcerazione per motivi di salute adottati dai magistrati di sorveglianza, motivati come sappiamo, alla luce della legge e delle Convenzioni internazionali in materia di diritti umani, che ritengono preminente la tutela della salute individuale a quello della esecuzione della pena in forma detentiva, che può essere commutata in detenzione domiciliare o sospesa, a seconda delle necessità.

Infine, a conti fatti, è possibile ipotizzare che per 376 scarcerazioni siano stati coinvolti almeno 200 magistrati della Repubblica, servitori dello Stato al pari dei più famosi vocianti da ogni pulpito giornalistico e televisivo: tutti pericolosi eversori dell’ordine costituito?

Stefano Anastasia

da il riformista

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Mafiosi ai domiciliari, uno su tre aspetta ancora il primo grado

Su 376 “boss” usciti durante la pandemia, 196 non hanno ancora una condanna definitiva, di questi, in 125 aspettano una sentenza di primo grado

La “lista Basentini”, l’elenco dei 376 “boss” finiti ai domiciliari nella fase della pandemia, non ha ancora finito di dividere il Paese che già sbuca un nuovo elenco.Eppure, a scorrere quelprimo documento, che ha spinto il ministro Bonafede ad annunciare un nuovo decreto per far tornare in cella i “mafiosi” scarcerati dai giudici, si scoprono dettagli importanti. Tanto per cominciare: le condanne. Su 376 persone ammesse alle misure alternative, a scontare una pena definitiva sono in 180. Di questi, solo tre in regime di carcere duro (41 bis): i boss Francesco Bonura, Vincenzo Iannazzo e Pasquale Zagaria. Ma il grosso dell’elenco, 196 nomi, è composto da detenuti in attesa di sentenza definitiva e in regime di sorveglianza speciale. Non solo, la stragrande maggioranza di questo gruppo, 125 persone, aspetta ancora il giudizio di primo grado. Molti di loro sono accusati di aver rivestito ruoli all’interno o all’esterno dei clan, ma ancora nessuna aula di Tribunale si è pronunciata in merito. Eppure, la pubblicazione della lista ha creato un vero e proprio terremoto politico, col ministro della Giustizia Alfonso Bonafede accusato di aver liberato centinaia di boss e constretto a un ditrofront per non prestare il fianco a strumentalizzazioni, soprattutto dopo il colpo contemporaneo arrivato dall’ex pm della “trattativa Stato-mafia” Nino Di Matteo. Ora sul ministro pende addirittura una mozione di sfiducia individuale presentata dal centrodestra.

L’argomento “mafia”, del resto, è sempre molto scivoloso e basta solo nominare la parola “garanzie” per essere accusati di connivenza. L’unico a provare a sparigliare un po’ nei giorni scorsi è stato Roberto Saviano, che su Repubblica ha scritto: «Garantire la salute del detenuto, di qualunque detenuto, dall’ex boss al 41bis al detenuto ignoto, è fondamentale, è un atto che ha una efficacia antimafia immediatamente misurabile perché un carcere che non è democratico, diventa immediatamente un carcere dove comandano le mafie».

Ma non è bastato. Il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria Francesco Basentini. E proprio nel giorno in cui il Csm dà il via libera alla nuova nomina di Dino Petralia, sul Dap piovono nuove istanze di scarcerazione per l’emergenza Covid. Sono 456 i presunti mafiosi, detenuti in regime di alta sicurezza a chiederla. Ma anche in questo caso, non tutti potranno essere definiti “boss”. In 225 hanno una condanna definitiva,ma ben 231 sono ancora in attesa del primo grado, appellanti e ricorrenti, recita il documento riservato inviato dal vicecapo del Dap Roberto Tartaglia al ministro Bonafede. Il Dipartimento ha subito dato inizio «all’acquisizione dagli istituti penitenziari delle istanze presentate e alla conseguente attività di analisi finalizzata alla predisposizioone di idonee misure organizzative», si legge nel testo. «Deve precisarsi. che il dato relativo al numero delle istanze prendenti presentate dai detenuti sottoposti al regime 41 bis e appartenenti al circuito dell’alta sicurezza non comprende quelle che i detenuti potrebbero avere avanzato per il tramite dei propri difensori di fiducia o per il tramite dei familiari, oppure potrebbero avere trasmesso in busta chiusa all’Autorità giudiziaria, per acquisire le quali saranno necessari sicuramente tempi più lunghi». Le richieste potrebbero dunque essere molte di più.

Attualmente sono 745 i detenuti sottoposti al regime del carcere duro e 9.069 in alta sicurezza.

Rocco Vazzana

da il dubbio

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Pochi i mafiosi “eccellenti” ai domiciliari. E il Covid non c’entra

I detenuti al 41 bis che fecero tanto scalpore, ovvero Francesco Bonura (fine pena tra pochi mesi) e Pasquale Zagaria (finito in detenzione domiciliare per 5 mesi e poi ritorna dentro), avevano ottenuto il differimento pena per gravissimi motivi di salute e il Covid non c’entra nulla. Ma non finisce qui.

Mentre è arrivata una nuova lista sul tavolo del Dap composta da nominativi di persone reclusi al 41 bis o in alta sicurezza che hanno fatto istanza per i domiciliari, c’è il capo della procura nazionale Federico Cafiero De Raho che si dice sorpreso per la concessione della detenzione domiciliare visto che – soprattutto per i reclusi al 41 bis – non c’è rischio di contagio da Covid 19. Il problema è che per quanto riguarda i nomi “eccellenti”, il coronavirus c’entra ben poco. O meglio, in alcuni casi è solo un problema aggiuntivo. Come detto e ridetto, i detenuti al 41 bis che fecero tanto scalpore, ovvero Francesco Bonura (fine pena tra pochi mesi) e Pasquale Zagaria (finito in detenzione domiciliare per 5 mesi e poi ritorna dentro), avevano ottenuto il differimento pena per gravissimi motivi di salute e il Covid non c’entra nulla. Ma non finisce qui.

C’è ad esempio il nome dell’ergastolano Franco Cataldo, uno dei carcerieri del piccolo Giuseppe Di Matteo che fu poi ucciso e sciolto nell’acido, il quale ha ottenuto il differimento della pena per 6 mesi. Qui il Covid 19 è un problema aggiuntivo. Anziano e malato terminale perché affetto da due tumori, nei mesi scorsi era stato trasferito nel carcere di Opera proprio per essere curato, ma poi la zona di Milano è diventata l’epicentro del contagio e i giudici non hanno avuto molte alternative, viste le sue condizioni di salute. Nella famosa lunga lista, ma scarna di detenuti “eccellenti”, compare il nome di Rosalia Di Trapani, la moglie del boss Salvatore Lo Piccolo e condannata a 8 anni per estorsione aggravata. Ha ottenuto la detenzione domiciliare per gravi motivi di salute, non a casa – perché per la sua pericolosità le è assolutamente vietato mettere piede a Palermo – ma in una casa di riposo di Messina. Tuttavia, come ormai sta emergendo in molti casi simili, a dispetto degli allarmi, il Coronavirus ancora una volta non c’entra proprio nulla. Il permesso per un mese le è stato concesso per motivi di salute perché la struttura carceraria non poteva garantire le cure indispensabili. Il Tribunale, oltre a vietare ogni tipo di contatto con i parenti, anche telefonici, le ha imposto di restare appunto a Messina. L’altro eri il gup di Palermo aveva respinto l’istanza di scarcerazione del vecchio boss di Pagliarelli, Settimo Mineo, recluso al 41 bis a Sassari e in attesa di giudizio con l’accusa di aver presieduto la nuova Cupola di Cosa nostra, smantellata a dicembre 2018 dai carabinieri. Il giorno prima – per l’ennesima volta – è stata negata la detenzione domiciliare a Gaetano Riina, fratello dell’ex capo dei capi. Non è un ergastolano e nemmeno un recluso al 41 bis. Ha 87 anni e presenta diverse patologie.

Ha scontato nel carcere torinese una condanna a otto anni per estorsione e associazione mafiosa comminata dalla corte d’appello di Palermo per aver sostituito il fratello dopo la carcerazione nel 1993 – questa era l’accusa – alla guida del mandamento di Corleone. La pena era stata espiata interamente a luglio dell’anno scorso, ma Gaetano Riina resta in cella per un’altra condanna – ma non per mafia – dei giudici di Napoli e il fine pena è fissato al 2024. Ma se venisse concessa la liberazione anticipata, lui finirebbe di scontare la pena il prossimo anno. Ora il vice capo del Dap Roberto Tartaglia sta esaminando i fascicoli riguardanti le 456 richieste per i domiciliari (riguarda chi è in attesa di giudizio) o detenzione domiciliare (i definitivi), ma bisogna capire quanti siano per motivi legati al Covid 19. Attualmente ci sono casi di persone con gravi patologie dove i centri clinici penitenziari sono insufficienti e la detenzione risulta incompatibile. Un problema, quello sanitario, che deve essere risolto con un investimento nell’approntare all’interno degli istituti dei presidi specialistici idonei. Inasprire le norme, senza curare questi aspetti, rischierebbe di violare i diritti dell’uomo.

Damiano Aliprandi

da il dubbio

 

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