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“Noi sulle navi delle ong, testimoni scomodi di un’Europa che lascia affogare donne e bambini”

La capitana Pia Klemp è sotto inchiesta per aver salvato i naufraghi nel Mediterraneo. E rivendica la sua scelta: sono un’antifascista e ho deciso da che parte stare

Il suo volto è ormai simbolo del soccorso ai migranti. Scrittrice, attivista per i diritti umani, biologa, ha lavorato con il gruppo ambientalista Sea Shepherd per la difesa della natura marina. Quindi è passata al Mediterraneo, ma questa volta come capitana prima della Iuventa, poi della SeaWatch3, navi della flotta civile di salvataggio. E infine è la capitana della Louise Michel, l’imbarcazione finanziata del collettivo anarco-femminista di cui fa parte e dall’aiuto di Banksy.

Nell’agosto del 2017 la Iuventa, che lei guidava, è stata requisita nel porto di Lampedusa. Su di lei, sugli altri membri dell’equipaggio di quella e di altre imbarcazioni, accusati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, si sono abbattuti i procedimenti penali della giustizia italiana. L’inchiesta ha portato al processo attuale dove chi dovrebbe essere ringraziato per aver salvato, con enormi sforzi, migliaia di vite umane, siede invece sul banco degli imputati e deve rispondere di collaborazione con la guardia costiera libica. In questo farsesco capovolgimento delle parti, Pia ha dovuto sopportare un lungo periodo di indagini, incertezza e angoscia, rischiando una pena di vent’anni. In questo momento l’Italia che si mobilita per gli altri è al suo fianco.

Nel 2019 ha avuto dalla Linke il prestigioso premio intitolato a Clara Zetkin. Cosa che cosa la lega a Zetkin e Michel?

«Sono donne che ammiro moltissimo. Femministe, combattenti per la libertà e altro ancora. Sotto molto aspetti hanno precorso il loro tempo e mi sembra che ancora adesso siano avanti. Erano ribelli che non hanno mai perso di vista la loro utopia. Soprattutto Michel, la “grande dame” dell’anarchismo, è la mia ispirazione».

Che cosa l’ha spinta a fare scelte anche molto radicali, come quella di guidare un equipaggio che salva migranti?

«Le mie convinzioni antifasciste. Faccio parte di una generazione che in Germania è cresciuta chiedendo ai nonni: che cosa avete fatto allora? Ma anch’io dovrò rispondere ai miei nipoti. Che si tratti della distruzione del pianeta o della eliminazione di coloro che sono considerati superflui – la catastrofe è già qui. Bisogna decidere da che parte stare. Che cosa ho voluto e voglio dal paradiso del primo mondo in cui abito, mentre gli altri passano per un vero e proprio inferno? Tirarli fuori da lì, da quelle acque buie. E non semplicemente mettendo in conto la rabbia di chi è al potere, ma proprio al contrario fiera di affrontarla».

Che cosa si aspetta dalla giustizia italiana? Non solo per lei, ma anche per tutti coloro che in questo momento sono trattati come criminali per aver salvato vite?
«In tribunale ci aspettiamo l’assoluzione. Se così non fosse, allora il giudizio non sarebbe né equo né dignitoso. È quanto ormai accade purtroppo in tanti casi in cui le persone che lungo i confini esterni e interni dell’Europa aiutano i migranti vengono condannate per crimini. Questa ingiustizia è in atto da tempo. Intimidire, demonizzare, svuotare. Dopo quattro anni di blocchi, sequestri, indagini, l’equipaggio sta affrontando un lungo processo e rischia pene fino a vent’anni di carcere. Ma diciamo le cose come sono: questa farsa non riguarda alla fin fine noi, ma coloro che fuggono. A essere criminalizzati sono anzitutto loro – noi siamo il secondo bersaglio di questa politica omicida perpetrata ai confini europei».

Credo – e l’ho detto più volte – che si tratti della guerra degli Stati nazionali contro i migranti. Dunque anche dell’Iperstato Europa. Al suo arrivo il migrante ha di fronte a sé lo Stato che si erge in tutta la sua potenza. È lo scontro fra il diritto fondamentale del migrante, in quanto essere umano, e la sovranità dello Stato che lo ferma alla frontiera, per ammetterlo, dopo i previsti controlli, nello spazio che governa, oppure per respingerlo. A tal fine è disposto a violare palesemente i diritti umani. La frontiera diventa così non solo lo scoglio su cui naufragano tante vite, ma anche l’ostacolo eretto contro ogni diritto di migrare. Le migrazioni portano alla luce questo dilemma costitutivo che incrina al fondo le democrazie liberali che, pur di affermare la sovranità dello Stato, finiscono per violare i diritti umani e criminalizzare le Ong.

«È così. Perciò l’attività di “ricerca e soccorso”, che io ho svolto con altri a lungo, non consiste solo nel salvare persone in difficoltà. Siamo una crepa nella fortezza Europa. E così milizie finanziate dalla Ue ci minacciano puntandoci addosso le mitragliatrici. Semplicemente perché siamo testimoni scomodi di questa guerra – e abbiamo visto con i nostri occhi le navi europee che non salvano, che lasciano affogare donne e bambini. E quante volte ci viene impedito di intervenire. I diritti e i doveri di chi è in mare sono del tutto sospesi – per non parlare dell’etica. Frontex conduce la ricognizione aerea per la Libia. In questo modo gli Stati europei orchestrano la deportazione dei rifugiati in un paese in cui vengono sottoposti a tortura. In migliaia vengono respinti prima di poter chiedere quell’asilo a cui avrebbero diritto. Chi arriva – anche un bambino – è già colpevole e criminalizzato. Mi spiace anche dire che ormai il salvataggio civile è stato screditato de facto e de jure. Essere poi accusati di collaborare con i trafficanti è davvero inaccettabile. Ma tutto ciò non avverrebbe se ci fosse una politica responsabile della migrazione. Al contrario la frontiera è usata come linea di discriminazione di un regime razzista».

Lei è nella flotta di quelli che chiamo i “nuovi disobbedienti”, che si muovono al limite dello spazio pubblico e di tanto in tanto già lo varcano – per terra e per mare – scuotendo l’architettura politica e destabilizzando l’ordine statocentrico. Non per caso soccorrono i migranti, non per caso sono criminalizzati e accusati di illegalità. Chi si impegna a salvare vite umane dal naufragio non è certo colpevole di dannarle. Come se fosse ovvio fare del soccorso un reato, come se fosse scontato capovolgere l’etica. Dove la difesa dei diritti umani è considerata eversione, la democrazia rischia il tracollo. Chi disobbedisce non viola la legge – la sfida. E la sfida in nome di una Legge più alta, di una Costituzione tradita, di una giustizia mancata.

«Questo mi rafforza nella mia lotta. Abbiamo bisogno di solidarietà. Un sistema basato sull’avidità, l’oppressione, l’obbedienza finirà sempre per colpire con sempre maggiore violenza, e sempre i più deboli. I migranti non hanno più nemmeno paura. Hanno solo il coraggio irrefrenabile dei senza-speranza. E sfidano così le loro condanne a morte. Sì lo dichiaro apertamente: sono una che aiuta chi fugge, che disprezza la frontiera. Ammiro rifugiati come gli ElHiblu3 e detesto le uniformi».

Ha vissuto in mare situazioni limite, esperienze che l’hanno molto provata. Ha lottato contro la morte.

«Vedere qualcuno affogare è terribile. La guardia costiera libica, un’accozzaglia di milizie a cui i governi europei hanno fornito nuove uniformi, non ha scrupoli. Una volta hanno investito una piccola imbarcazione. Sul ponte sentivo le grida laceranti. Abbiamo salvato alcuni – altri sono stati costretti a salire a bordo della nave libica e accolti a frustate. In acqua c’era il corpo di un bambino nigeriano di due anni. Abbiamo tentato di rianimarlo, invano. Chissà quanto aveva già dovuto soffrire prima. Non siamo riusciti a dargli neppure dignità, perché non avevamo una camera mortuaria. L’immagine del suo corpicino nella cella frigorifera mi tormenta ancora. Eppure, lì c’erano una nave militare francese e una italiana; se avessero aiutano, quella morte sarebbe stata evitabile. Lanciamo insieme un appello? Non vogliamo un processo politico contro tutti coloro, persone e organizzazioni – dal paramedico Sasha Girke a Jugend Rettet, Medici Senza Frontiere, Save The Children – che hanno aiutato i migranti. Deve finire la campagna diffamatoria contro le Ong. Disobbedire è un obbligo dove la responsabilità è frantumata, l’indifferenza esonera dal reagire, l’impotenza viene scambiata per neutralità sovrana. Chiediamo a tutti solidarietà».

intervista a cura di Donatella Di Cesare per L’Espresso

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