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Standing Rock: Violenze sui manifestanti, 141 arresti, oltre 300 feriti

Violenti scontri nella riserva indiana di Standing Rock, in North Dakota, a seguito dell’intervento delle forze dell’ordine in un campo allestito dai manifestanti che da mesi portano avanti la protesta al Dakota Access Pipeline, l’acquedotto lungo quasi duemila chilometri per il valore complessivo di 3,8 miliardi di dollari.

Dopo l’assalto di alcuni giorni fa da parte della polizia e di alcune agenzie di sorveglianza privata si contano: 141 arresti, oltre 300 feriti, mentre una ventina di persone sono state portate in ospedale. Le forze dell’ordine hanno utilizzato idranti, lacrimogeni, taser e altri dispositivi stordenti o contundenti.
Le gravissime violenze inflitte sui manifestanti arrestati hanno sollevato anche le proteste degli osservatori delle Nazioni Unite che hanno denunciato la violazione dei diritti umani.

E’ evidente che ci sia la volontà di alzare il livello di conflitto da parte di Jack Dalrymple, governatore Repubblicano del North Dakota, il quale ha ordinato lo sgombero dell’intera area occupata dai manifestanti per il 4 dicembre. Diversa invece la posizione di alcuni funzionari statali che hanno già affermato che l’ordine non verrà eseguito poiché causerebbe ulteriori feriti, visti gli scontri avvenuti solo pochi giorni fa.

I presidi e le manifestazioni di protesta proseguono dall’aprile scorso, quando fu allestito il primo accampamento nominato “Sacred Stone”. Ma è da agosto che la lotta è diventata particolarmente partecipata. Quest’estate si contavano più di mille persone al campo, molte anche appartenenti a tribù indiane che storicamente sono state in conflitto tra loro come ad esempio i Lakota e i Crow. A sostenere la protesta si sono aggiunte anche diverse associazioni ambientaliste tra cui Greenpeace.

E’ da ottobre che la situazione si è fatta più tesa, quando la polizia è intervenuta con arresti di massa e pratiche repressive invadenti. Tantissimi attivisti hanno denunciato comportamenti violenti e umilianti da parte delle forze dell’ordine. I manifestanti vengono accusati di aver incendiato le attrezzature nel cantiere dell’oleodotto e di aver costruito delle barricate lungo le strade volte al rallentamento dell’ingresso da parte della polizia.

161120212056.dakota.access.pipeline.protest.exlarge.169E’ anche emerso che in passato Donald Trump abbia investito un valore stimabile tra i cinquecento mila dollari e un milione di dollari in Energy Tranfesr Crude Oil, e che il CEO della società abbia donato oltre cento mila dollari alla sua campagna elettorale oltre ad altri sessantasette mila dollari al Partito Repubblicano.

Parallelamente alle manifestazioni, la protesta era stata portata avanti anche in tribunale, ma a settembre un giudice aveva dato ragione allo United States Army Corps of Engineers (sezione dell’esercito americano specializzata in ingegneria e progettazione) che si è occupato della progettazione dell’oleodotto.
A metà novembre però il Governo statunitense ha bloccato temporaneamente i lavori, negando direttamente i permessi di scavo sotto il Missouri.
Dopo l’ordine di sgombero, Cecily Fong, portavoce del dipartimento del North Dakota che si occupa delle situazioni di emergenza, ha affermato che la polizia non avrebbe ricevuto i permessi validi ad effettuare lo sgombero. A seguito di tale dichiarazione lo US Army Corps of Engineers tramite un comunicato ha fatto sapere che al momento non è in programma uno sgombero del campo.

E’ evidente che questa lotta non si fermerà neanche davanti all’utilizzo della forza dal parte della polizia. Ogni giorno tante persone nuove si avvicinano ai campi organizzati e tante altre inviano messaggi di solidarietà. Questa per gli Stati Uniti sta diventando una lotta complessa da mettere a tacere.
Per diversi motivi la protesta contro l’oleodotto Dakota Access Pipeline ricorda quella contro il Keystone XL, un tratto dell’oleodotto Keystone il cui progetto fu ritirato dopo le proteste, e che avrebbe dovuto attraversare Montana, South Dakota e Nebraska.

Il comunicato di solidarietà da parte del movimento NoTav

La Val Susa con il popolo Sioux
Il Movimento No Tav della Val Susa (ovest di Torino, Italia), riunito in Coordinamento Mercoledi 23 Novembre 2016, saluta e manda la sua solidarietà al coraggioso popolo Sioux di Standing Rock e alll’Indigenous Environmental Network in lotta contro la costruzione del Dakota Access Pipe Line (Dapl) sulle sacre terre Lakota.
La vostra causa, la protezione della Madre Terra e dell’acqua che ne è il sangue, è anche la nostra.
Da più di venti anni il Movimento No Tav si oppone con ogni mezzo alla costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità (Tav) da Torino a Lione, Francia, che porterebbe devastazione alla nostra Valle e prosciugherebbe il debito pubblico del nostro Paese. La forte pressione popolare ha costretto le lobbies industriali e i partiti politici a tagliare gradatamente il progetto iniziale e ridurlo a un unico tunnel di 57 km sotto le Alpi. Molti sono i governi che abbiamo visto cadere e molti sono i politici o esponenti del mondo industriale arrestati o perseguiti per corruzione o malversazioni, mentre noi siamo ancora vivi e vegeti. Il nostro obiettivo è la cancellazione definitiva del progetto
Stiamo soffrendo per la violenza poliziesca, la militarizzazione della Valle e la rappresaglia giudiziaria. Solo in questi giorni 38 attivisti sono stati condannati a un totale di 84 anni complessivi di prigione e più di mille sono i procedimenti giudiziari ad oggi contro di noi. Ma abbiamo costretto gli speculatori a proteggere il cantiere come un fortino: filo spinato, reti metalliche, blocchi di cemento, polizia e truppe speciali alpine richiamate dall’Afghanistan. Dal 2011 quando la polizia sgomberò il nostro presidio, assediamo il cantiere giorno e notte con la forza dei nostri numeri, con la nostra determinazione e con il sostegno di tutti i cittadini consapevoli, dei movimenti ambientalisti e per i diritti civili.
In tutti questi anni abbiamo imparato che tutte le Grandi Opere sono un furto di denaro pubblico, un modo subdolo di finanziare il sistema dei partiti e le mafie, di alimentare la corruzione; abbiamo imparato che le Grandi Opere sono spesso inutili e sempre devastanti per l’ambiente; che gli interessi che le sostengono riguardano la struttura portante del potere politico; che i media sono usati come arma contro ogni forma di dissenso perchè appartengono agli stessi poteri.
Cari amici, il nostro nemico comune è il capitalismo globale che sta distruggendo la Terra per il profitto
materiale. Su questo terreno siamo con voi e da oggi ci impegnamo a trovare le forme di pressione più efficaci per sostenervi.
I nostri cuori, i nostri pensieri e le nostre preghiere d’ora in poi saranno anche con voi.

No Tav. No Dapl!

da InfoAut

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