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Spese militari al massimo, cooperazione al minimo: la scelta di campo del governo Draghi

Il Governo italiano ha approvato l’aumento della spesa militare dall’1,4 al 2% del PIL, in linea con quanto stabilito dagli altri Paesi dell’Unione europea nel contesto dell’invasione russa dell’Ucraina. Tuttavia mentre la spesa militare continua a salire vertiginosamente, non si può dire che valga lo stesso per gli stanziamenti pubblici per lo sviluppo internazionale, i quali hanno toccato il minimo storico dello 0,22%. Nei prossimi anni lo stato italiano spenderà più per la difesa che non per le misure di contrasto alla povertà dei cittadini italiani e per gli aiuti ai paesi poveri messi insieme.

di Valeria Casolaro

Con l’approvazione del Decreto Ucraina l’Italia porterà la propria spesa militare dall’1,4% del proprio PIL al 2%, passando dai 26 miliardi di euro attuali a 38 miliardi di euro circa all’anno. Il decreto è stato votato con 391 voti favorevoli su 421 deputati presenti. La tendenza ad aumentare le spese per la difesa era già evidente ben prima che scoppiasse il conflitto russo-ucraino: un aumento del 5,4% rispetto al 2021, pari a 1,3 miliardi di euro, era infatti già stato decretato alla fine dello scorso anno, portando le spese militari ai livelli più alti di sempre.

Tuttavia, parallelamente, i fondi per l’aiuto pubblico allo sviluppo sfiorano i valori più bassi mai registrati. Questi non superano infatti lo 0,22% del reddito nazionale lordo (Rnl), circa un decimo della spesa prevista per la difesa, corrispondente alla cifra esigua di 3,67 miliardi di euro.

Rapporto tra aiuto pubblico allo sviluppo e reddito nazionale lordo in Italia, tra il 2015 e il 2020 – Fonte: Openpolis

Gli aiuti pubblici allo sviluppo (Aps) fanno parte della cooperazione allo sviluppo perseguita con risorse pubbliche: in pratica si tratta di fondi che vengono stanziati per contribuire a progetti con Paesi a basso tasso di sviluppo. Se si esamina il rapporto tra Aps e Rnl, l’Italia risulta collocarsi al ventesimo posto su 30 Paesi che compongono il comitato dell’Ocse che coordina le politiche pubbliche. Il tutto nonostante in sede internazionale l’Italia, insieme ad altri Paesi, si sia impegnata a raggiungere l’obiettivo dello 0,7% di rapporto Aps/Rnl entro il 2030, ovvero più del triplo delle cifre attuali.

Inoltre, anche il contributo per l’accoglienza viene contabilizzato come aiuto pubblico allo sviluppo, rendendo di fatto alcuni Paesi occidentali tra i percettori principali del proprio stesso investimento in cooperazione. Questa impasse ha portato numerosi Paesi membri a rivalutare le proprie priorità nell’ambito della crisi ucraina, rivalutando in quali contesti di crisi inviare gli aiuti e quali sospendere.

Inoltre, se si effettua poi un paragone con l’erogazione del Reddito di cittadinanza, inteso come misura di contrasto alla povertà, si può notare che nel complesso, da marzo 2019 (al quale risalgono le prime elargizioni della misura) a dicembre 2021 siano stati spesi a questo fine 19,8 miliardi, circa la metà dei 38 miliardi di euro previsti per la spesa militare dopo l’aumento al 2% del valore del PIL. Se al Reddito di Cittadinanza volessimo aggiungere anche l’intera somma erogata dal governo per misure di varia natura di sostengo a famiglie, imprese e cittadini in difficoltà per la crisi scaturita dalla pandemia da Covid-19 arriveremmo a 27 miliardi. Insomma, l’Italia nei prossimi anni destinerà più soldi al comparto militare che non al contrasto della povertà dei propri cittadini, alla crisi delle imprese e al sostegno allo sviluppo dei paesi poveri messi insieme.

Quanto peserebbe sui conti pubblici? Per Milex, l’Osservatorio sulle spese militari italiane, si passa dagli attuali 25,8 miliardi di euro l’anno ad almeno 38, cioè 12 in più. Per avere un paragone, si può citare la Sanità: nel 2019, nell’era ante-Covid, la spesa sanitaria era di 115 miliardi, quest’anno è passata a 123, circa il 7% in più. Quello auspicato per la Difesa sarebbe del 47%.

Il Sipri, l’autorevole istituto di studi sulla pace di Stoccolma, che per il 2020 (ultimi dati disponibili) ha quantificato la spesa militare mondiale in 1.981 miliardi di dollari. Aprono la classifica gli Stati Uniti (778), seguono la Cina (252), India (72,9), Russia (61,7). Regno Unito, Germania e Francia oscillano tra i 59,2 e i 52,7. Undicesima l’Italia (28,9 miliardi di dollari), comunque tra i primi cinque d’Europa. Quello che ci interessa è il confronto tra Nato, e in particolare Unione Europea, e Russia.

L’Alleanza atlantica nel 2020 ha speso 1.103 miliardi di dollari in Difesa. Anche sottraendo l’enorme spesa di Washington (778 mld), i 27 paesi dell’Ue in un anno hanno investito la ragguardevole cifra di 232,8 miliardi di dollari. Quasi quattro volte la Federazione Russa. Ma c’è un altro elemento da sottolineare. La corsa al riarmo in realtà è già partita da tempo. Le spese militari dei paesi europei sono aumentate del 24,5% a partire dal 2016. Milex ci informa che anche l’Italia è passata da 21,5 miliardi nel 2019 a 25,8 quest’anno. «Un aumento dovuto soprattutto ai fondi per nuovi armamenti, balzati da 4,7 a 8,2 miliardi di euro», spiega Francesco Vignarca dell’Osservatorio.

Dall’occupazione russa nel 2014 di Crimea e Donbass, la Nato in realtà aveva già aumentato considerevolmente il budget: «Dal 2015 a oggi la Nato – dice Vignarca – ha investito nelle forze armate nazionali 14 volte di più della Russia. E cioè, dal 2015 al 2020, ben 5.892 miliardi di dollari, contro i 414 russi». Anche limitandoci alla sola spesa dell’Unione europea (fino al 2019 Regno unito ante-Brexit compreso), al netto degli Usa siamo a un aumento di 1.510 miliardi contro 414. La Nato è dunque superiore per potenza militare a Russia e Cina messi assieme. Se per testate nucleari, missili, soldati e carrarmati i due blocchi sono alla pari, la Nato ha una forza navale superiore, ha tre volte aerei da combattimento e droni e quattro volte gli elicotteri di russi e cinesi. Non va dimenticato che, comunque vada a finire in Ucraina, l’esercito russo ne esce con pesanti danni. Senza contare i mezzi distrutti, su un tabloid online di Mosca è uscito un dato impressionante del ministero della Difesa russa (subito cancellato): sarebbero già 9.861 i soldati morti finora.

La corsa al riarmo dunque è partita da tempo anche in Italia. A dicembre il ministro della Difesa Lorenzo Guerini aveva inviato alle Camere gli ultimi 5 di 23 decreti nel 2021 per autorizzazioni di spesa pluriennali pari a 12 miliardi: droni kamikaze, caccia, proiettili di precisione per cannoni, batterie antiaeree, sommergibili. Un ordine del giorno non è un atto vincolante, ma politicamente pesa. Il premier Mario Draghi a settembre 2021, dopo la ritirata americana dall’Afghanistan lo aveva già detto: «Ci dobbiamo dotare di una difesa più significativa: è chiarissimo che bisognerà spendere molto di più».

da L’Indipendente (con nostre aggiunte)

 

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