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Siria: Il massacro prosegue

Siria, ancora immagini dell’orrore da Latakiya, Tartous, Baniyas e dai villaggi nell’entroterra. L’allarme lanciato dagli alawiti siriani dopo l’annuncio della fine dell’operazione di sicurezza. Al Sharaa promette indagini. Raid in 40 località sulla costa e nella valle dell’Oronte. Tra le vittime donne e minori. Tra gli assassini anche miliziani ceceni e asiatici, alcuni sono stati integrati nelle forze governative

di Michele Giorgio da il manifesto

«Vi prego fate il possibile per far conoscere cosa sta succedendo, siamo aggrediti, attaccati da bande di armati e dalle forze (del presidente ad interim) Ahmed Shaara. Vogliono massacrarci». La voce rotta dalla disperazione di B.A., siriana alawita che vive in Italia, ci è giunta ieri con messaggi audio su Messanger. La donna è in costante contatto con la famiglia che vive sulla costa mediterranea della Siria dove tra giovedì e domenica si è consumata una terribile vendetta. La Sicurezza nazionale siriana ha fatto oltre mille morti nella comunità alawita – uccisi anche alcuni cristiani – considerata alleata di Bashar Assad dopo gli attacchi armati compiuti il 6 marzo da uomini rimasti fedeli al presidente deposto. Negli scontri sono morti oltre 200 agenti del ministero dell’Interno e «soldati» del ministero della Difesa. «Danno fuoco ai nostri villaggi, uccidono gli uomini, nascondono armi per poi accusarci di volerle usare contro il governo di Damasco. Ma noi non abbiamo fatto nulla, siano civili, persone pacifiche», h aggiunto B.A. smentendo l’annuncio fatto ieri dalle autorità centrali sulla fine dell’operazione nelle regioni occidentali contro «i resti del regime di Assad». Le stragi invece continuano.

«Gruppi di uomini armati affiliati al ministero della Difesa hanno preso d’assalto la città di Harison, nella campagna di Baniyas, dove hanno saccheggiato e incendiato case e proprietà civili», ha scritto l’Osservatorio (Sohr) siriano per i diritti umani sottolineando che ciò è avvenuto dopo l’annuncio del completamento della campagna di sicurezza. Gli abitanti di questo e altri villaggi alawiti chiedono la protezione delle Nazioni unite che domenica, con un loro convoglio, sono giunte a Baniyas una delle aree più colpite dai raid della Sicurezza nazionale, seguiti dalle missioni punitive di jihadisti siriani e di altri paesi come la Cecenia, la Turchia e dall’Asia centrale. Stranieri che negli anni passati si sono uniti ad Al Qaeda e l’Isis in Siria per combattere «l’apostata» Bashar Assad e che hanno avuto un ruolo decisivo, tra fine novembre e inizio dicembre 2024, nella rapida avanzata dalla loro roccaforte, la regione di Idlib, verso Damasco. Alcuni sono stati integrati ufficialmente due mesi fa nelle forze governative siriane. L’attrice Nour Ali ha raccontato in un video postato su Instagram che dopo gli scontri a fuoco tra i lealisti di Assad e le forze di sicurezza, sono arrivati stranieri armati, ceceni probabilmente, che hanno preso d’assalto le case e ucciso civili.

Sono video dell’orrore quelli che giungono ancora da Latakiya, Tartous, Baniyas e dai villaggi nell’entroterra. Uomini presi a bastonate sulla testa, esecuzioni sommarie, pestaggi violenti con i mitra e sbarre di ferro, case in fiamme: neanche le donne e i bambini sono stati risparmiati. L’Unicef ieri ha riferito dell’uccisione di almeno 13 bambini, tra cui un neonato di sei mesi. Una parola chiude quasi sempre i video fatti dai killer in uniforme dopo l’uccisione di alawiti: «Kanazir (porci)». Così i sunniti più estremisti definiscono gli sciiti e gli appartenenti alle sette di origine islamica che non riconoscono e considerano un male che si aggira tra i veri fedeli. I paesi occidentali credono di essere stati l’obiettivo principale di al Qaeda e l’Isis negli anni passati. Non è così. Il primo bersaglio sono stati proprio i musulmani, quelli appartenenti alle minoranze e anche i sunniti ritenuti non rispettosi dell’ortodossia e, pertanto, meritevoli del takfir, la dichiarazione di apostasia e di non essere più musulmani. Lo spiegano gli attentati sanguinosi negli ultimi venti anni  in Iraq, Libano, Siria e altri paesi arabi rivendicati dai qaedisti prima e dall’Isis poi.

L’accaduto ha sconvolto anche tanti siriani che pure sono stati attivi dopo il 2011, in Siria o all’estero, contro Bashar Assad. Centinaia di loro hanno cercato di manifestare domenica a Damasco contro i massacri e per una Siria inclusiva e democratica. Sono stati allontanati dai colpi sparati in aria dalle forze di sicurezza e dalle urla e dalle pietre lanciate da altri manifestanti che invece chiedevano una «Siria sunnita». Aisha al Debs, una attivista dei diritti delle donne, è stata criticata per aver paragonato i massacri chimici attribuiti ad Assad negli anni passati a quanto sta accadendo sulla costa siriana. Il nuovo capo del Syrian Artists Syndicate, Mazen Al-Natour, ha espresso sostegno alle forze di sicurezza impegnate contro «i lealisti di Assad», ma chiesto indagini per punire i responsabili delle stragi di civili. Anche l’artista Jihad Abdo, oppositore del passato regime, ha chiesto «un’indagine imparziale» sui crimini contro persone innocenti. «Quello che sta succedendo è incredibile, basta con il bagno di sangue e l’oppressione», ha invocato sui social la cantante Assala Nasri.

Sullo sfondo c’è il presidente autoproclamato, Ahmed Sharaa, al quale i governanti europei hanno troppo in fretta stretto la mano, che in un’intervista alla Reuters ha affermato che i massacri di alawiti sono «una minaccia alla sua missione di unire il paese». Lo scetticismo è forte. Anche perché Sharaa, più di tutto, ha puntato l’indice contro i «gruppi pro-Assad sostenuti dagli stranieri» che a suo dire con i loro attacchi alle forze di sicurezza avrebbero innescato le violenze. Israele osserva. Il governo Netanyahu, dopo essersi proclamato difensore dei drusi siriani, ieri ha chiesto protezione per gli alawiti. E tra una dichiarazione e l’altra consolida l’occupazione israeliana nella Siria meridionale.

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