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Come si vive nella “tortura democratica” del 41bis

Il regime di detenzione a cui è sottoposto Alfredo Cospito comporta un isolamento estremo, e chi lo ha vissuto parla di “tortura democratica”

Lo sciopero della fame che Alfredo Cospito sta facendo dal 20 ottobre nel carcere di Sassari ha rianimato la discussione sul regime carcerario del 41-bis, cui oltre allo stesso Cospito sono sottoposti in Italia circa 750 detenuti. Il 41-bis è un articolo dell’ordinamento penitenziario che consiste nell’elenco di una serie di limitazioni imposte ai detenuti, che definiscono quello che viene comunemente detto “carcere duro”.

Molti di coloro che hanno vissuto il 41-bis utilizzano, per descriverlo, la parola “vuoto”. I detenuti al 41-bis, infatti, non fanno essenzialmente nulla: la loro giornata è scandita dalla totale assenza di attività. Carmelo Musumeci, che ha trascorso in carcere 25 anni di cui cinque in regime di 41-bis, dice al Post: «Definisco quel tipo di detenzione una “tortura democratica”. Il 41-bis annienta le persone. Io lo vissi nel carcere dell’Asinara, in Sardegna, negli anni Novanta, poco dopo la sua introduzione. Le condizioni igieniche-sanitarie erano terribili: dalla turca uscivano i topi. Per impedire ai ratti di entrare nella cella usavo una bottiglia che chiudeva il buco».

Ci sono casi in cui le persone sottoposte al 41-bis, secondo i loro avvocati, hanno perso sostanzialmente la capacità di partecipare a conversazioni più lunghe di alcuni minuti, per l’estremo isolamento sofferto in carcere, come sembra essere successo all’ex brigatista Nadia Desdemona Lioce. Per quasi tutte le ore della giornata, tranne una o due, chi è sottoposto a questo regime carcerario rimane confinato nella propria cella, in cui a volte lo spazio è poco più ampio di quello occupato dal letto. Questa situazione può durare molti anni, durante i quali si hanno contatti con gli stessi pochissimi detenuti, al di fuori dei brevi colloqui mensili concessi.

Ha scritto Musumeci: «Il 41-bis è un regime dove perdi totalmente la gestione della tua vita, spesso anche dei tuoi pensieri. Ti spogliano della tua identità. Diventi a tutti gli effetti un fantasma».

Nella sua attuale forma il 41-bis fu varato nel 1992, dopo le stragi di mafia di Capaci e via D’Amelio, a Palermo, per limitare il più possibile la frequenza dei contatti con l’esterno degli esponenti di vertice delle organizzazioni criminali. In sostanza per evitare che, dal carcere, i capi mafiosi continuassero a comandare. Si tratta di una sospensione a norma di legge del “trattamento penitenziario ordinario”: uno strumento preventivo (viene applicato sia a persone già condannate sia a chi è ancora attesa di giudizio), che ha l’obiettivo di isolare il detenuto dal resto della sua organizzazione criminale.

Per chi ne chiede l’abolizione o un uso molto più limitato, fin dall’introduzione il 41-bis ha assunto però anche la funzione non dichiarata di strumento punitivo. È scritto nel XVIII rapporto di Antigone, l’associazione che si occupa di tutela dei diritti nel sistema penale: «Un regime detentivo che si definisce duro non può non evocare l’idea di un sistema intransigente che mira a far crollare (anche sul piano psicofisico) chi vi viene sottoposto, puntando, sempre in forma latente, alla “redenzione”, cioè alla collaborazione con la giustizia, principale “criterio di accertamento della rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata”. Proprio l’effettiva “collaborazione” fa venir meno l’applicazione di questo regime».

Negli anni, l’elenco di reati per cui si può essere sottoposti al 41-bis si è ampliato. Attualmente comprende terrorismo, mafia, prostituzione minorile, pedopornografia, tratta di persone, acquisto o vendita di schiavi, violenza sessuale di gruppo, sequestro di persona a scopo di rapina o estorsione, associazione a delinquere per contrabbando di tabacchi, associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga.

Alfredo Cospito è il primo anarchico a essere sottoposto a questo tipo di regime carcerario: secondo il ministero della Giustizia, che ha deciso per lui il 41-bis, c’è il rischio che dia ordini agli altri membri della sua organizzazione. Sul fatto che questo possa realmente avvenire e che Cospito possa essere considerato pericoloso, soprattutto pericoloso come un boss mafioso, circolano molti dubbi sollevati da più parti, e non solo dai suoi compagni anarchici.

La ministra della Giustizia Marta Cartabia giustificò l’applicazione del 41-bis a Cospito con i «numerosi messaggi che, durante lo stato di detenzione, ha inviato a destinatari all’esterno del sistema carcerario». Si trattava di interventi che Cospito scriveva dal carcere, con il permesso, per pubblicazioni di area anarchica, in cui secondo Cartabia invitava «esplicitamente a continuare la lotta contro il dominio, particolarmente con mezzi violenti ritenuti più efficaci».

Secondo la versione del ministero della Giustizia, insomma, Cospito non mandò quindi questi messaggi in forma segreta o nascosta, ma attraverso testi pubblicati su riviste anarchiche. Per questo, dice il suo avvocato Flavio Rossi Albertini, per impedire queste comunicazioni era sufficiente attuare un controllo più stretto sulla corrispondenza, o emettere uno specifico provvedimento per quello specifico reato. Esistono poi estese perplessità sulla presunta funzione che avrebbero avuto questi interventi: Cospito si riconosce nella Federazione anarchica informale, che predica la lotta armata violenta contro lo stato ma che, ha spiegato più volte in queste settimane Flavio Rossi Albertini, non ha vere strutture gerarchiche organizzate: «È un ossimoro, una contraddizione, pensare che una struttura orizzontale, come è stata ritenuta dagli stessi giudici di Torino, possa avere un capo».

Musumeci, che venne condannato all’ergastolo per omicidio e per appartenenza a un’organizzazione criminale, ha scritto alcuni libri sulla sua storia: l’ultimo è Diventato innocente. «Al di là delle condizioni igieniche e sanitarie, quello che però annienta l’individuo è la solitudine: al 41-bis è insopportabile. Si vive chiusi in una cella, privati di tutto, si  incontrano solo pochissimi altri carcerati. Quando venni sottoposto a quel tipo di regime, nell’ora d’aria era possibile incontrare più detenuti, ora al massimo si è in quattro, sempre gli stessi. Senza contare che molti carcerati al 41-bis sono in prigione da anni: sono vecchi e stanchi, non escono nemmeno più di cella».

Musumeci entrò in carcere che aveva un diploma di quinta elementare: «La mia salvezza è stata studiare, ha assorbito tutte le mie forze. Ma al 41-bis è difficile anche quello, che è invece uno strumento unico e fondamentale per il recupero alla vita civile, che poi dovrebbe essere uno degli obiettivi del carcere. I libri dall’esterno non possono arrivare, così un professore in pensione strappava le pagine dei suoi volumi e me le inviava per posta. A volte, però, quelle pagine venivano bloccate dalla censura. Pensavano che fossero pizzini e che contenessero chissà quali messaggi». I detenuti al 41-bis possono studiare, ma non partecipare alle lezioni, cioè andare a scuola. Studiano quindi per conto loro, con un educatore che fa da intermediario con i professori.

Musumeci dice di essere una grande eccezione: «Ero condannato all’ergastolo ostativo che poi è stato tramutato in ergastolo”semplice”». La sua pena insomma è cambiata e ha previsto a un certo punto la possibilità di accedere benefici penitenziari, come i permessi premio, il lavoro all’esterno e la semilibertà. Alfredo Cospito rischia l’opposto: e cioè che la sua pena si trasformi in ergastolo ostativo, senza la possibilità di essere abbreviata o convertita in pene alternative.

«Dopo 25 anni ho iniziato a uscire con i permessi premio e poi con la semilibertà» dice Musumeci. «Lo studio mi ha permesso di evolvermi. Oggi sono una persona diversa rispetto a ciò che sono stato tanti anni fa, mi fa piacere pensare di essere una persona migliore».

I detenuti in regime di 41-bis vengono collocati in sezioni apposite dove sono adottate quelle che nell’ordinamento penitenziario sono definite “misure di elevata sicurezza interna ed esterna”. All’interno delle stesse sezioni ci sono poi aree “a sicurezza ulteriormente rafforzata” dove sono detenute le persone considerate più pericolose, cioè essenzialmente i capi più importanti delle organizzazioni mafiose. Si tratta di 14 aree in sette istituti non previste dalla normativa ma, come spiega l’associazione Antigone, «frutto di prassi organizzative consolidate».

Le aree a sicurezza ulteriormente rafforzata sono costituite da due sole celle singole con un piccolo passeggio per l’ora d’aria. In una cella c’è il boss mafioso, nell’altra un detenuto che di fatto è l’unica persona con cui il boss può entrare in contatto. Ha raccontato al giornale Il Dubbio un detenuto che ha vissuto l’esperienza dell’area a sicurezza ulteriormente rafforzata: «Per dieci anni sono stato isolato in una cella di un metro e 52 centimetri di larghezza per due metri e 52 centimetri di lunghezza, e cioè uno spazio occupato quasi tutto dal letto. Non mi arrivava un raggio di luce».

Francesco Schiavone, camorrista, cugino omonimo del capo dei casalesi, raccontò dopo essersi dissociato: «Non sentivo alcun rumore quando ero in cella, nemmeno una porta sbattere o una persona chiacchierare. Stavo impazzendo».

Tutti i detenuti al 41-bis vivono in una cella singola e non possono avere contatti con gli altri detenuti. La loro giornata è caratterizzata dall’assoluta mancanza di eventi che non siano i controlli all’interno delle celle. Davide Steccanella, avvocato del foro di Milano, legale dell’ex militante dei Pac Cesare Battisti e in passato anche di Renato Vallanzasca, spiega: «Alla domanda “Che cosa fa durante la sua giornata un detenuto al 41-bis?” posso solo rispondere “Niente”. Si tratta di detenuti murati vivi, anche a livello mentale, psicologico, che non hanno nessun contatto con niente che non avvenga all’interno delle quattro mura della loro cella».

I detenuti al 41-bis «non hanno nessun rapporto nemmeno con il resto del carcere», continua Steccanella. «È una forma di punizione medievale che non solo è in contrasto con la Costituzione ma anche con il 2023, con l’epoca che stiamo vivendo». D’alla altra parte, chi è favorevole al mantenimento del 41 bis sostiene che sia un’importante leva  per spingere i criminali a pentirsi e a collaborare con la giustizia per fare luce su importanti fatti di mafia e terrorismo.

Carmelo Gallico, ex detenuto al 41-bis per reati connessi ad attività della ’ndrangheta, descrisse così la sua vita in cella: «Trascorrevo le restanti 23 ore nel chiuso della cella sotto il freddo pallore di un neon. Un passo dalla branda al lavandino; due per la bilancetta (l’armadietto, ndr); a tre c’era la turca; a quattro sbattevo già il naso contro la parete. La finestra era una piccola fessura attaccata al soffitto con una rete dalle maglie così strette da trattenere anche l’aria».

Gallico parla di 23 ore trascorse in cella perché poteva disporre di una sola ora d’aria. Più spesso le ore d’aria per i detenuti al 41-bis sono due, ma mai di più, per regolamento. Anche le ore d’aria sono trascorse in isolamento oppure solo e sempre con gli stessi detenuti.

L’avvocato di Alfredo Cospito, Flavio Rossi Albertini, ha spiegato a Radio Radicale che il suo assistito, prima di essere costretto in cella anche durante l’ora d’aria perché troppo debilitato, poteva accedervi per due ore al giorno insieme ad altri tre detenuti. Solo in teoria, però. Dei quattro detenuti, uno era sottoposto a isolamento diurno quindi non poteva uscire di cella, un altro dopo 30 anni di regime 41-bis aveva perso anche l’energia e la voglia di uscire per l’ora d’aria. Quindi, la socialità, per Cospito, si riduceva al rapporto con una sola persona all’interno di quello che l’avvocato ha raccontato essere, secondo la descrizione di Cospito, un cubicolo di cemento dai muri alti che rendono impossibile la vista dell’esterno. E chiuso, anche sopra, con una rete di metallo a fare da tetto.

L’ora d’aria è quindi l’unico evento, nel corso di una giornata, che conduce fuori dalla cella i detenuti al 41-bis. Così l’ha raccontata Carmelo Gallico : «Mi era concessa un’ora di luce, una soltanto, nell’arco di un’intera giornata. La trascorrevo in quella scatola di cemento coperta da due fitte reti di metallo chiamato passeggio. Quindici passi per percorrerla in lungo, appena 5 in larghezza. All’inizio li contavo: camminavo in lungo con gli occhi chiusi sui miei pensieri e giravo a memoria».

Per capire come siano le strutture che ospitano detenuti sottoposti al regime di 41-bis, può aiutare la descrizione riportata dal Corriere della Sera del carcere dell’Aquila, nella località di Costarelle di Preturo, dove è ospitato il maggior numero di detenuti che in Italia sono sottoposti a questo tipo di regime carcerario. È lì che è stato portato dopo l’arresto Matteo Messina Denaro. Nello stesso carcere ci sono boss della camorra, di cosa nostra e della ‘ndrangheta. È anche l’unico carcere dove esiste una sezione femminile per le detenute al 41-bis.

Tutti i locali sono visionati da telecamere, a eccezione del bagno. Anche i colloqui con i familiari sono videoregistrati. I letti, nelle celle, sono saldati a terra, le finestre sono fatte in modo che non ci possano essere contatti tra i detenuti. Il controllo delle celle, nelle sezioni che ospitano i detenuti sottoposti a 41-bis, sono affidati al Gom, Gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria, che lo fa anche più volte al giorno. Nella casa circondariale dell’Aquila sono detenute ora 159 persone in regime di 41-bis.

In tutto, secondo il rapporto di Antigone, in Italia i detenuti al 41-bis sono 749, d tra loro le donne sono 13. Una di queste, in carcere proprio a L’Aquila, è la brigatista rossa Nadia Desdemona Lioce, condannata all’ergastolo per gli omicidi di Marco Biagi e di Massimo D’Antona e dell’agente della polizia ferroviaria Emanuele Petri. Gli avvocati di Lioce hanno chiesto in passato la revoca del regime carcerario a cui la detenuta è sottoposta da quasi 20 anni. I legali hanno spiegato che, potendo contare solo su un’ora al mese di colloquio con i familiari e, in caso di bisogno, di massimo di due ore al mese con gli avvocati, la detenuta in un anno solare aveva parlato solo per 15 ore. Questo le avrebbe provocato uno stato di isolamento psicologico che le impedisce ora di poter discorrere per più di qualche minuto quando riceve la visita della madre e della sorella.

Per i detenuti sottoposti al 41 bis ci sono regole generali e regole che variano invece da istituto a istituto. La posta, sia in entrata sia in uscita, viene aperte a controllata a tutti. Come detto, non è ammesso l’invio di libri dall’esterno anche se, in alcuni istituti è consentito avere in cella libri, non più di tre, sempre però forniti dall’amministrazione carceraria oppure preventivamente autorizzati. Non sono ammesse riviste né tantomeno il detenuto può scrivere per giornali e riviste. A L’Aquila non sono ammessi abiti o tessuti trapuntati che possano nascondere oggetti.

I colloqui sono limitati a un’ora al mese e avvengono solo attraverso un vetro divisorio. Non sono ammessi contatti fisici. Solo con figli minori di 12 anni non vale la regola dei vetri divisori. Al colloquio sono ammessi solo i familiari e conviventi, mentre per altre persone serve un’autorizzazione speciale che viene concessa solo in casi eccezionali. Il detenuto al 41 bis può fare una sola telefonata al mese, di dieci minuti ed esclusivamente in sostituzione del colloquio personale. La telefonata viene sempre registrata.

Gli oggetti che si possono tenere in cella sono limitati e controllati. Anche per i cibi che è possibile acquistare all’esterno esistono, in alcuni istituti, liste di ciò che è ammesso e ciò che non è ammesso. Fino al 2018 era anche impossibile, per i detenuti sottoposti a questo tipo di disciplina carceraria, cucinare all’interno della cella. Ora si può, grazie a una sentenza della Corte Costituzionale secondo cui il divieto di cuocere cibi non si può fondare sulla necessità di impedire che il condannato continui a mantenere contatti con il gruppo criminale di appartenenza e ad impartire direttive ed ordini all’esterno del carcere, né sarebbe funzionale alla limitazione dell’esibizione di potere e carisma all’interno del carcere.

Ogni istituto impone limiti alle somme che il detenuto può o meno tenere sul proprio conto. Infatti, il regime 41-bis impone la «limitazione delle somme, dei beni e degli oggetti che possono essere ricevuti dall’esterno». A ogni “nuovo giunto”, cioè nuovo detenuto e non solo quelli sottoposti a regime detentivo speciale, una volta arrivato in carcere viene sequestrato il denaro. Viene poi aperto un conto, all’interno del carcere, su cui i familiari possono versare i soldi (nel linguaggio carcerario si chiama “pecunio”) tramite vaglia postale o lasciandoli alla portineria dell’istituto. Normalmente il detenuto può spendere poco più di 100 euro alla settimana. Per quelli sottoposti a 412-bis non esiste una cifra stabilita (varia a seconda degli istituti) ma è comunque inferiore a quella degli altri carcerati.

Una descrizione di come scorrano le giornate per i detenuti sottoposti al 41-bis la fornisce ancora Carmelo Gallico: «Chiamavo gli agenti solo in rarissime occasioni: Appuntato! – chi è che chiama? – cella numero 21! Col tempo, il detenuto al 41bis dimentica quasi il proprio nome e diventa il numero della sua cella anche agli occhi di sé stesso. In sezione vigeva il divieto della parola tra compagni e la loro presenza si riduceva ad un ridondante rumore di sottofondo». Antonio Iovine, ex capo del clan camorristico dei casalesi oggi collaboratore di giustizia, un tempo detenuto in regime di 41-bis, disse ai membri della commissione del Senato in visita al carcere di Badu e’ Carros: «Provate voi a vivere per 21 ore al giorno in un bagno».

La decisione di assegnare un detenuto al regime di 41-bis avviene con decreto motivato del ministro della Giustizia, di norma su proposta del pubblico ministero incaricato delle indagini. Devono sussistere due presupposti: l’uno “oggettivo”, cioè la commissione di uno dei delitti “di mafia” previsto dall’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario, l’altro “soggettivo”. Occorre infatti dimostrare la presenza di «elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica ed eversiva».

L’applicazione del regime dura quattro anni e può essere prorogata se ne sussistono ancora i presupposti (in particolare quello “soggettivo” della la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva di appartenenza). Secondo un dato che risale al 2019 pubblicato da Antigone, la maggior parte dei detenuti al 41-bis sono appartenenti, o presunti appartenenti, alla Camorra, seguiti dai membri di Cosa Nostra e poi della ’ndrangheta. Nel 2019 i condannati o in carcerazione preventiva per reati di terrorsimo erano tre. A questi si è aggiunto, nella primavera del 2022, anche Alfredo Cospito. Come detto, la maggior parte dei detenuti in regime di 41-bis sono nella casa circondariale dell’Aquila seguita da quella di Opera (Milano), Sassari, Spoleto, Novara, Cuneo, Parma, Tolmezzo (Udine), Roma-Rebibbia, Viterbo, Terni, Nuoro.

Ha detto in un’intervista a Vesuviolive Pier Ferdinando Zito, 63 anni di cui 25 trascorsi in carcere e otto al 41-bis, che nell’ottobre del 2022 è stato il primo laureato del Polo penitenziario universitario di Secondigliano a Napoli: «In quegli anni ho visto sicari sanguinari, criminali notissimi e personaggi di spicco della criminalità organizzata suicidarsi o impazzire. Era limitata anche la lettura, mi spettavano tre libri: uno religioso, il codice penale e uno a scelta da riconsegnare appena finito. Chi sta in carcere usa sempre le metafore e io penso alla mia detenzione come al deserto dove la mia oasi era la lettura e mi veniva negata».

Dice l’avvocato Steccanella: «Il 41-bis è una misura decisa nel 1992 in una situazione emergenziale, dopo le terribili stragi di mafia. Ma ora non siamo in emergenza. Il 41-bis non va solo contro la costituzione ma anche contro il senso di umanità, è contraria a tutto ciò che chi si occupa di legge ha studiato e a cui si è ispirato». Chi invece lo ritiene ancora uno strumento utile a contrastare la criminalità organizzata dice che la pericolosità delle associazione mafiose non è scemata nel tempo. Chi lo considera tuttora indispensabile, ritiene che il 41-bis sia un regime particolarmente duro perché dura deve essere la risposta dello Stato nei confronti di particolari categorie di criminali.

 

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Comments ( 1 )

  • Remus

    Mi dispiace tanto,ma voi non avete pensato cosa hanno fatto i regimi totalitari comunisti con loro opponenti politici. Provate a leggere cosa ha successo a un tre volte presidente del consiglio di ministri rumeno Iuliu Maniu ,e poi iniziate a parlare cosa vuol dire regime severo.

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