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Sfidare la macchina della morte nel Mediterraneo

Centinaia di persone sono sotto processo per aver salvato esseri umani in mare. Hanno contrastato un sistema che tiene insieme istituzioni sovranazionali e gang di trafficanti, liberali e conservatori, uomini in divisa e criminali

Nella primavera del 2019 i pubblici ministeri italiani hanno aperto un’indagine su Miguel Roldán, un vigile del fuoco spagnolo. Rischia una condanna a venti anni per il suo crimine: aiutare le persone che annegano. Si tratta solo di una delle numerose indagini sugli equipaggi umanitari, parte di una lunga guerra portata avanti dai reazionari europei contro le operazioni di salvataggio dei rifugiati.

L’Italia ha avuto un ruolo di primo piano, non da ultimo quando governava Matteo Salvini, ministro degli interni del paese fino alla fine dell’estate 2019. Anche le capitane di navi soccorso Carola Rackete e Pia Klemp sono state arrestate nel corso di quella primavera, e 250 persone sono finite sotto processo per reati simili, tra cui il sindaco di un piccolo comune italiano [Mimmo Lucano, sindaco di Riace, Ndt].

Quell’autunno, Ursula von der Leyen è entrata alla presidenza della Commissione europea. Il suo discorso di apertura sembrava essere lontano dalla retorica di Salvini. Apparteneva a un governo tedesco che aveva fatto la sua parte nei soccorsi umanitari. La crisi dei rifugiati è stata una vergogna per il continente, ha detto. E lei era direttamente coinvolta, avendo adottato e cresciuto personalmente un giovane rifugiato siriano. È stata citata come un esempio di come la marea populista di destra potesse essere fermata in tutto il mondo.

Ma il discorso cambiò bruscamente pochi paragrafi dopo. Von der Leyen annunciava che Frontex, l’agenzia che controlla le frontiere dell’Ue, avrebbe assunto migliaia di nuove guardie. Chi difendeva le ragioni di questa mossa sosteneva che avrebbero avuto anche il compito di salvare le vite, e tuttavia, questo incremento ha già reso il Mediterraneo più letale. Peggio ancora, le motovedette stanno cedendo il passo ai droni che non possono effettuare salvataggi ma possono solo osservare impassibili i disastri. Questa colossale crisi umanitaria non si sta verificando dall’altra parte del pianeta, accade appena fuori dalle località balneari europee.

Il debutto di Von der Leyen ha avuto un’ultima coda velenosa; l’accorpamento della politica migratoria sotto un commissario che ha il compito di «Proteggere il nostro stile di vita europeo», un’etichetta trumpiana che ha suscitato indignazione anche a Bruxelles. Questa «protezione» è la premessa, per quanto pubblicamente se ne neghino le conseguenze, del perpetuare l’esistenza di un cimitero di acqua salata in cui sei persone al giorno muoiono in circostanze prevedibili, comprese le migliaia che sono morte mentre il focus principale della politica europea era sulla Brexit, e le decine di migliaia dagli anni Novanta.

È un organismo con diramazione nei centri di detenzione diroccati fuori Londra e Glasgow, nei cieli soleggiati dei mari Ionio e Tirreno, nei posti di frontiera montani dei Balcani e nelle sale climatizzate delle commissioni Ue nel quartiere generale di Berlaymont a Bruxelles.

Non è una falla, è il sistema

Tre anni e una pandemia dopo, torna il caso contro la Iuventa, la nave di ricerca e soccorso su cui un tempo lavorava Roldán. Il 3 marzo 2021, il procuratore di Trapani, in Sicilia, ha ufficialmente accusato ventuno persone e tre organizzazioni di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, tra cui Roldán e l’equipaggio di Iuventa.

Le accuse si riferiscono a salvataggi effettuati tra il 2016 e il 2017, con prove acquisite da agenti sotto copertura a diretto contatto con Salvini, che apparentemente forniscono «sicurezza» su imbarcazioni di soccorso al servizio di una società di sicurezza il cui capo è legato al gruppo di estrema destra Generation Identity. Una di queste spie in seguito ha espresso rammarico e ha ammesso di non avere prove di una relazione tra Ong e trafficanti di persone. Se condannati, gli equipaggi potrebbero dover affrontare decenni di carcere.

Questa è la decisione di un procuratore locale. Ma il discorso di Von der Leyen mette a nudo il sistema brutale in cui uno spettro vertiginoso di persone e organizzazioni sono complici. Si può essere tentati di considerare questo caso come un semplice fallimento morale. Ma è molto più di uno spiacevole bug nel sistema. Al di là delle divisioni ideologiche tra Von der Leyen a Salvini, e in maniera trasversale a schemi morali e riferimenti culturali, l’Europa è complice.

La macchina assassina mediterranea è il sistema che si riproduce via via attraverso tutte le sue parti costitutive lungo ogni punto del viaggio dei profughi. L’estrema destra, la destra dominante e i liberali nella politica locale e globale; forze di polizia, eserciti e appaltatori della sicurezza militare; think tank e accademici; criminali e trafficanti; tutti partecipano alla produzione e alla riproduzione della sofferenza umana.

La componente più brutale e cinicamente sincera di quel sistema è la rinnovata destra estrema rappresentata da Viktor Orbán e Matteo Salvini, o ispirata da Jair Bolsonaro e Donald Trump. Nel loro racconto, coloro che cercano una vita migliore attraverso il mare essenzialmente meritano la morte. Questo nemico esterno ha fornito unità narrativa all’estrema destra in tutta Europa, permettendole di trasformare un malessere generale in razzismo, sia per strada che alle urne.

C’è, ovviamente, un vero malcontento nelle comunità costiere che sono state influenzate negativamente dall’improvviso afflusso di persone, ma in questi posti ci sono state anche notevoli espressioni di solidarietà che sono state trascurate o addirittura bandite. L’estrema destra è presente in molte polizie di frontiera e spesso nelle loro leadership istituzionali. Ai margini, ispira anche vigilanti «cacciatori di migranti» a bordo di elicotteri da combattimento.

Ci sono anche quelli che in questa economia della sofferenza hanno fatto un investimento più finanziario che ideologico. Ci sono trafficanti di esseri umani che traggono profitto dalla miseria e talvolta considerano la vita così a buon mercato da lanciare le persone in mare per evitare di essere scoperti a fare da mercanti.

Ci sono i gangster che, secondo quanto si apprende, gestiscono sia operazioni di contrabbando che centri di accoglienza. Ci sono imprenditori che gestiscono alloggi squallidi in Gran Bretagna, campi profughi dello stato con materassi e tende in Grecia, dividendi di azionisti che crescono a ogni nuovo miglio di filo spinato e a ogni fornitura di armi.

Altrove, una parte del corpo politico agisce per offuscare e complicare quella che dovrebbe essere una risposta molto istintiva e non politica alla sofferenza. I conservatori tradizionali (generalmente) riconoscono che le intenzioni di Miguel Roldán e della sua gente erano buone ma si sono rivelate fuorvianti. La possibilità di incontrare una barca di salvataggio «incoraggia» le persone a fare un viaggio letale, dicono, senza averne alcuna prova.

Trattare queste (non)persone con decenza non farà che incoraggiarle. Le colpe indiscutibili dei trafficanti vengono usate come argomenti non per aprire rotte sicure, ma per bombardare le loro barche e infrastrutture, rischiando inevitabilmente che più rifugiati perdano la vita.

Questa idea di tollerare la morte di massa per semplice praticità si estende al liberalismo, a molte persone che si collocherebbero a sinistra e rimarrebbero sconvolte dai muri di confine di Trump. Persino il candidato dell’opposizione a Von der Leyen dei socialisti europei di centrosinistra ha trascorso diversi anni agendo come intermediario della Commissione in una serie di pacchiani accordi che coinvolgevano il pagamento della Turchia di Recep Tayyip Erdoğan per contenere i rifugiati, sostenendo che la maggior parte di essi erano semplicemente opportunisti economici. Il doppio pensiero del discorso inaugurale di Von der Leyen si riverbera in tutta la politica tradizionale.

Prigioni della storia

Le nazioni sedicenti illuminate spesso rivendicano che il loro impegno nei confronti dei valori e dei diritti umani le allontanano dal mondo meno civilizzato. In un certo senso è vero: l’Europa non abusa, tortura o schiavizza i rifugiati, ma si limita a fare accordi per riportarli in luoghi che lo fanno. Frontex non annega le persone: cambia i modelli delle sue pattuglie in un modo che rende meno probabile dover soccorrere le persone. L’Europa fiuta gli oltraggi di stati membri come l’Ungheria, mentre sposta il problema alla sua periferia, ad esempio minacciando di chiudere il confine con la Grecia se non riesce a impedire alle persone di viaggiare verso nord.

Chi tenta la traversata è condannato a soggiorni prolungati in campi desolati. La pandemia di Coronavirus, oltre a legittimare misure di controllo degli ingressi ancora più severe, ha creato una bomba a orologeria nei campi profughi. In Grecia, casi sospetti sono stati isolati con la forza in container con letti a castello infestati da insetti.

La mancanza di una risposta efficace da parte del governo ha dimostrato (non sorprendentemente) scarsa considerazione per gli abitanti dei campi, ma anche una scioccante mancanza di riconoscimento del fatto che approcci poco finanziati e privi di fondi a potenziali cluster di virus che mettono a rischio tutto il resto della popolazione.

Nel frattempo, coloro che non affogano o affrontano deportazioni casuali e che arrivano in un luogo che fa uno sforzo per favorire la loro integrazione non sono ancora sfuggiti al sistema. I loro interessi di lavoratori saranno contrapposti a quelli dei lavoratori locali, in una cupa corsa al ribasso. Tra le fila dei rifugiati ci saranno liberali, socialisti, conservatori e tutto il resto, tuttavia le loro opinioni sono raramente articolate nel discorso pubblico; sono soggetti su cui «noi» decideremo la politica corretta.

Questo sistema si perpetua. Il sistema politico europeo (inclusa la Brexit della Gran Bretagna) preferisce pensare al 1945 come l’anno zero, ma non era chiaro il punto di arrivo tra la colonizzazione europea del globo, la divisione dei confini postcoloniali e la nascita di relazioni neocoloniali di estrazione del valore. Il sistema politico europeo persegue la disciplina interna della propria periferia dalla crisi finanziaria greca agli aggiustamenti strutturali dei Balcani e con il mantenimento di un muro di ferro attorno alla presunta utopia del libero scambio e della libera circolazione. Promuove le sue culture e le relazioni storiche in tutto il mondo, ma non onora quelle relazioni rispondendo alle richieste di aiuto.

Questa storia attuale informa la strategia presente e futura, e non solo perché molti di coloro che cercano accoglienza sono rifugiati da disavventure militari occidentali o dai postumi della sbornia coloniale. Il confine mediterraneo dell’Europa non è abbastanza per i suoi strateghi; è in atto un approccio militare-diplomatico concertato per spingere quel confine più a sud in Africa e collaborare con ogni regime discutibile ritenuto necessario. Non è difficile immaginare quale sia il punto di caduta di questa grande strategia. Il Nord globale (erroneamente) crede di poter utilizzare vaste periferie per isolarsi con la forza dalle migrazioni, dagli sconvolgimenti e dalle sfide allo stato-nazione poste dal caos climatico.

La strategia del delitto

Siamo abituati a sistemi che normalizzano l’insensato e il mostruoso. Conviviamo con la fame tra la ricchezza, i senzatetto tra i grattacieli di lusso e più recentemente gli operatori sanitari che rispondono a una pandemia nei sacchi della spazzatura. Eppure la normalizzazione di questo vasto sistema di istituzioni sovranazionali e gang di trafficanti, liberali e conservatori, forze dell’ordine e criminali, tutti complici di una vasta economia di sofferenza ai piedi delle nostre località balneari, è e resta un caso estremo.

Così è anche l’idea che in una coalizione di democrazie liberali avanzate, un vigile del fuoco che prende parte a un’operazione per salvare migliaia di vite rischi di passare il resto della sua vita in carcere mentre chi perpetua il meccanismo che mette a rischio quelle vite ha davanti una carriera e una carica pubblica.

Il caso dei soccorritori arrestati è interessante anche per un altro motivo. A volte sembra impossibile combattere. L’ambiente politico sembra immutabile come il mare, tentare di cambiarlo pare un compito arrogante e sciocco quanto arginare le maree. Eppure gli arrestati e tutti i loro compagni hanno combattuto, salvando vite in gran numero e dimostrando che questo sistema non è imbattibile.

Oltre alle alleanze politiche nella crisi, ci sono anche voci nella politica – di liberali e persino alcuni conservatori – la cui umanità è salita al di sopra della soglia della cosiddetta realpolitik. La costruzione di una coalizione in grado di smascherare e superare questa mostruosità è ancora alla nostra portata.

La disumanità della macchina mediterranea non si verifica solo a causa di alcune persone immorali, è generata anche dallo squilibrio storico e attuale di ricchezza e potere. Perpetuare questo squilibrio è il motivo per cui figure di tutto lo spettro morale e ideologico perpetuano tutta questa sofferenza. L’esperienza di persone come Miguel Roldán e il vigile del fuoco britannico Brendan Woodhouse, che è stato arrestato in una situazione simile, indica come sindacalisti e socialisti possano fare la differenza.

Dalla manifestazione del sindacato dei vigili del fuoco del Regno Unito a favore di Roldán agli sforzi dei sindacati per organizzare i rifugiati che arrivano in zone di accoglienza e si uniscono alle file dei migranti che affrontano lo sfruttamento e la divisione sul lavoro, il movimento operaio è stato al centro del movimento per i rifugiati. Lo ha fatto sostenendo la dignità del lavoro e estendendola a una causa potente come quella per la dignità universale e l’umanità.

Nelle acque del Mediterraneo la natura delle economie avanzate si scatena contro di loro. Dalle macchine di sorveglianza alla brutalità amministrativa al militarismo, dal fallimento nel fronteggiare la pandemia alla risposta nazionalista alla crisi climatica, siamo di fronte a tecnologie del potere che potrebbero caratterizzare questo secolo per tutti e tutte, non solo per quelli che si trovano in prima linea. Ma niente di tutto ciò è inevitabile. Attualmente, ventuno persone rischiano il carcere per aver bloccato il sistema. La loro lotta è la nostra lotta per un mondo più giusto e dignitoso.

Nathan Akehurst – scrittore e attivista che lavora nel campo della comunicazione politica e della tutela legale. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione di Jacobin Italia

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