Da mesi il Senegal è nuovamente attraversato da manifestazioni e rivolte e l’azione repressiva si aggrava di giorno in giorno.
di Zoe dal Senegal
La capitale e la sua banlieue sono militarizzate: stazionamenti di gendarmi e del corpo speciale di polizia (la BIP) in tenuta antisommossa, camionette e mezzi blindati posti sistematicamente in luoghi strategici della città, in primis l’università, nonché nelle principali arterie di circolazione. A fine gennaio sono stati richiamati riservisti e c’è un’ordinanza che vieta la vendita di benzina al dettaglio con l’obiettivo di scongiurare le molotov.
Più traiettorie storiche-politico-sociali si stanno intersecando e contribuiscono a rendere il clima incandescente, ma anche molto pericoloso per chi ha la generosità di scendere in strada.
Da un lato vi sono lotte specifiche contro l’espropriazione delle terre, come quella più recente che si sta dando a Ngor, un municipio di Dakar nonché una delle principali destinazioni turistiche della capitale perché a qualche centinaia di metri dalla sua costa si trova un’isoletta luogo di villeggiatura. Ngor costituisce uno degli ultimi avamposti rimasti ad un gruppo linguistico-culturale, quello lebu, che prima che arrivassero i coloni francesi abitava l’intera penisola di Dakar. Per questa che si percepisce come una vera e propria comunità, si è strutturato un rapporto conflittuale con l’apparato statale che si è rafforzato con l’indipendenza del Senegal, a seguito di un’ulteriore spoliazione di terre, in particolare per costruire basi militari, caserme e campi di addestramento.
Da un mese a Ngor gli abitanti storici, principalmente impegnati nella pesca e nel trasporto turistico via mare, hanno scoperto che verrà edificata la sede di un brigata della gendarmerie, corpo militare di polizia paragonabile ai nostri carabinieri, su un terreno della comunità di cui lo stato senegalese si è appropriato nei registri del catasto. E’ su questo terreno che la popolazione, sostenuta dalle autorità tradizionali e da quelle amministrative locali elette, vuole invece da tempo costruire un liceo, dato che Ngor è l’unico municipio di Dakar a esserne sprovvisto.
L’inizio della recinzione e l’avvio del cantiere ha portato delle prime rivolte a fine aprile, l’indomani della fine del Ramadan. Queste sono state duramente represse non solo con lacrimogeni lanciati ad altezza uomo, ma anche con arresti indiscriminati (27 fermi in totale) e molto violenti che hanno comportato numerosi feriti gravi. Da allora, quando la notte cala i giovani di Ngor e di altre zone di Dakar dove la comunità Lebou vive, bloccano la circolazione con barricate con pneumatici e altro materiale.
L’ultima manifestazione diurna si è data il 9 maggio sulla spiaggia, in reazione alla militarizzazione del villaggio e con l’obiettivo di sanzionare il proprietario dell’albergo più noto di Ngor che ha concesso un suo terreno per ospitare in maniera stabile i mezzi dei gendarmi. Questa è stata repressa in maniera ancora più violenta. Ritrovatasi sotto scacco la gendarmerie ha sparato con i fucili sulle/i manifestanti e, oltre alle/ai feriti e alla caccia alle persone dentro le case asfissiate da lacrimogeni, due persone sono state uccise dai proiettili. La versione rilasciata dal Ministero degli interni ammette solo la morte di Adji Diallo, dichiarando che la quindicenne sarebbe stata colpita inavvertitamente dall’elica del motore di una piroga. I suoi famigliari sono stati costretti a non rilasciare dichiarazioni, mentre scriviamo il corpo è ancora all’obitorio tra le mani delle istituzioni. Più in generale, anche il semplice parlare di quanto sta succedendo risulta complicato, perché il villaggio è costantemente sotto osservazione di poliziotti in borghese. Così come da mesi è sotto attacco la stampa, con molti giornalisti arrestati con accuse di diffamazione e altri minacciati dalle forze dell’ordine durante le manifestazioni.
Dall’altro lato vi è la lotta legata a quanto sta succedendo su scala nazionale sul piano della vita politica più strettamente partitica. Nel 2024 sono previste le nuove elezioni presidenziali e l’attuale presidente, Macky Sall, dopo aver cambiato la costituzione, intende presentarsi per un terzo mandato. Cosciente del dissenso popolare, sta quindi utilizzando il potere giuridico come mezzo di eliminazione dei suoi concorrenti elettorali diretti, in primis l’attuale sindaco di Ziguinchor, Ousmane Sonko. Vi sono attualmente più di 100 militanti e attivisti dell’opposizione e della società civile in prigione e Sonko sta rischiando in questi giorni l’impossibilità di candidarsi perché esposto sul piano penale per due processi, uno per diffamazione e uno per stupro. Di sicuro il primo è strettamente politico, perché l’accusa gioca sul fatto che Sonko avrebbe denunciato pubblicamente l’attuale Ministro del turismo di essersi appropriato di milioni di euro pubblici.
Il 16 maggio, giorno in cui Sonko aveva fissata l’udienza in corte d’appello, è stata dichiarata come ‘Giornata di mobilitazione nazionale per la partenza di Macky Sall’. Ci sono stati scontri in tutto il paese che hanno portato ad altre tre persone ammazzate. Anche in questo caso, per almeno un manifestante ucciso, il certificato medico diffuso contrasta con la versione data dal Ministero degli interni e chiarisce che si è trattato di ferita da arma da fuoco. Nella regione di Dakar sono stati assaltati alcuni supermercati della catena Auchan, obiettivo simbolo del (neo)colonialismo francese, e una sede della compagnia elettrica nazionale, nonché bruciati alcuni autobus della compagnia nazionale di trasporti, che viene percepita come espressione del populismo presidenziale.
Nelle carceri di tutto il paese, molti prigionieri sono da settimane in sciopero della fame per le terribili condizioni di vita e per un sistema penale che può lasciare mesi e anni in carcere in attesa dell’udienza. L’uccisione di 14 persone (di cui tre minori) durante le manifestazioni che si sono date nel marzo del 2021, a seguito della prima incarcerazione di Sonko, rimangono ancora senza alcuna giustizia: 12 sono state raggiunte da proiettili dei fucili usati dalle forze dell’ordine.
Quanto sta succedendo in Senegal potrebbe sembrare lontano dalle nostre vite e dalle nostre responsabilità politiche, ma non lo è.
Sono i nostri carabinieri, così come i corpi di altri stati europei, che hanno animato programmi di formazione dei loro omologhi senegalesi e il Ministero degli esteri italiano ha fornito materiale e mezzi ai corpi che ora stanno reprimendo la popolazione.
E’ l’unione europea che sta contribuendo a militarizzare il paese con la scusa della sicurezza, della lotta al terrorismo e al ‘traffico dei migranti’, che è il rinnovato slogan umanitarizzato con cui si vende la ‘lotta all’immigrazione clandestina’, ovvero le politiche di messa a morte delle persone razzializzate nel regime di frontiera. L’accordo che farebbe insediare in pianta più stabile Frontex in Senegal non è ancora stato firmato, ma incombe e costituirebbe il ritorno chiaro e netto della polizia coloniale, con tutto il portato di impunità che ciò comporta.
Se questo è l’apparato repressivo di cui siamo e saremo di fatto complici, resta aperto anche il problema della solidarietà a chi sta difendo dalla spoliazione governativa e capitalistica le proprie vite, con pietre e qualche molotov in strada e nelle carceri, nonché alle famiglie e alle reti sociali che stanno sostenendo dalle retrovie la loro lotta e che dovranno sobbarcarsi le spese mediche in un paese dove la salute è a pagamento e, assai più difficilmente visto l’impoverimento diffuso, le spese per una difesa legale, anch’essa non garantita. Queste sono le stesse persone che incontriamo e incontreremo nelle nostre città, a cui, dopo essere sopravvissute/i al viaggio via deserto e mare, viene negato l’asilo o qualsiasi altra forma di permesso di soggiorno. Il Senegal non è un paese sicuro. Tantomeno lo è la Tunisia, la Nigeria, e di fatto tutti quegli altri stati che rientrano nella lista dei “Paesi di origine sicura” per le nostre norme sulla protezione internazionale. Quella lista è l’ennesimo dispositivo con cui si produce la violenza razzista dell’Europa e, assieme a Frontex, va abolita.
Per del materiale sulle rivolte in corso: https://berthoalain.com/emeutes-en-afrique-2023/
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