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Sei senza fissa dimora? allora la custodia cautelare la fai in carcere

È il paradosso di un articolo della norma “svuota carceri” nata per arginare l’abuso della carcerazione preventiva. Non hai una casa? Gli arresti domiciliari vengono tramutati automaticamente in carcerazione. È il paradosso di un articolo della nuova legge cosiddetta “svuota carceri” nata per arginare l’abuso della carcerazione preventiva.

A farne le spese è stato un algerino diciannovenne incensurato, arrestato nel trentino per resistenza a pubblico ufficiale e perché trovato con un discreto quantitativo di droga: per lui si sono aperte le porte del carcere. Reduce da una notte passata nella camera di sicurezza dei carabinieri, dovrà adattarsi a dividere la cella con qualche altro detenuto. Almeno finché il suo difensore non troverà una comunità o un’associazione che lo possa ospitare, in modo che abbia un domicilio e possa scontare in una casa il resto della pena.

Nel processo per direttissima, l’imputato ha patteggiato nove mesi ed una multa di mille euro. L’ipotesi dei domiciliari è saltata per la modifica di un articolo della legge sulla carcerazione preventiva, che in questo caso diventa peggiorativo rispetto al passato: se l’imputato è senza fissa dimora gli arresti domiciliari diventano detenzione in carcere. Per l’imputato algerino, in particolare, nella valutazione dell’attualità del pericolo e della gravità del fatto la bilancia ha pesato più nella direzione della reclusione in cella, dato che la sua posizione pare non essere così lieve: la droga che aveva con sé sarebbe stata destinata non alla vendita al minuto, ma ad altri spacciatori. L’imputato, secondo ipotesi investigative, potrebbe collocarsi ad un livello più alto del traffico della droga in città. Però rimane, appunto, solo un ipotesi tutta da verificare durante l’eventuale processo.

Lo straniero era stato fermato venerdì pomeriggio. Ha tentato di scappare e per guadagnare la fuga ha sferrato prima una gomitata ad un brigadiere, poi un pugno ad un appuntato. Portato in caserma per gli accertamenti, nascondeva nella tasca dei pantaloni un panetto di hashish del peso di 99 grammi: il fumo era diviso in quattro grossi pezzi, destinati ad altri suoi “collaboratori” più che ai clienti di strada che acquistano un paio di grammi alla volta.

È dunque scattato l’arresto sia per resistenza a pubblico ufficiale che per spaccio. Qualche problema c’è stato per l’identificazione, dato che lo straniero ha dichiarato una falsa identità, e soprattutto un’età errata: ha infatti sostenuto di avere 17 anni. Per verificare se la data di nascita fosse corretta, come prassi, i carabinieri hanno accompagnato il ragazzo al Santa Chiara per l’esame radiologico: dalla visita è emerso che era maggiorenne.

È una vicenda che però mette alla luce il problema dei detenuti senza fissa dimora, e colpisce soprattutto gli stranieri. I reati di cui sono in genere responsabili i senza fissa dimora rientrano nella cosiddetta “microcriminalità”: la scarsa gravità dei reati da una parte, e dall’altra i benefici previsti dalla legge per pene di questo genere (affidamento ai servizi sociali, semilibertà etc. etc), farebbero pensare a buone possibilità di reinserimento per questa area di detenuti. Oppure, proprio per i reati non gravi, hanno la possibilità di non essere rinchiusi in carcere mentre sono in attesa di giudizio. La realtà è un’altra e possono accadere anche eventi paradossali come la storia del clochard arrestato perché era “evaso” dalla panchina. Era agli arresti domiciliari.

Ma non avendo una casa, aveva eletto come domicilio una panchina del parco di Borgosatollo, un paese alla porte di Brescia. E il giudice aveva dato parere favorevole. Ma quando i carabinieri effettuarono il solito controllo, non vedendolo sulla panchina, lo considerarono alla stregua di un evaso, E così, per il 43enne Ilario Bonazzoli, questo il nome del clochard, nel 2009 era arrivata la condanna in primo grado a 10 mesi di carcere: la motivazione suona come una beffa recitando che l’imputato era colpevole “per non essersi fatto trovare a casa nonostante fosse agli arresti domiciliari”.

L’anno scorso la sentenza d’appello aveva ribaltato il primo grado e sancì che Bonazzoli doveva lasciare il penitenziario di Ivrea dove era attualmente detenuto. Ma la questione del domicilio si ripropose inevitabilmente. Il problema, a quel punto, ricadde sui servizi sociali di Borgosatollo, dove il senza fissa dimora doveva risiedere: “Oggi come oggi, non saprei nemmeno dove alloggiarlo, non abbiamo strutture da offrirgli – commentò all’epoca il sindaco di Borgosatollo Francesco Zanardini. L’unico aiuto che gli possiamo dare è trovare una residenza fittizia”.

Per i senza fissa dimora, il carcere non sarà mai la soluzione e la punizione non è utile per la stessa sicurezza sociale. I comportamenti – considerati “devianti” dalla società – tendono a ripetersi nel tempo per assenza di alternative sostanziali. L’esperienza di detenzione infatti si inserisce in situazioni personali e familiari spesso deprivate sia dal punto di vista economico che culturale: questa posizione di svantaggio – assieme alla carenza di risorse del sistema di sicurezza sociale – fa sì che chi “sbaglia” una volta, paga una pena doppia: cioè la detenzione e la successiva esclusione ripetuta esclusione del contesto sociale e lavorativo.

Chi ha precedenti penali infatti avrà sempre poche speranze di trovare un lavoro regolarmente retribuito. Ad aggravare questa situazione è l’assenza di una fissa dimora: la ricerca di un lavoro si presenta pressoché impossibile a meno che non si reperisce una sistemazione alloggiativa, ma altrettanto irraggiungibile per una persona sola senza un reddito fisso.

Altrettanto difficile è, per loro, usufruire delle misure alternative alla detenzione. La prima difficoltà è dell’ordine economico: l’impossibilità di pagarsi un avvocato fa sì che debbano ricorrere alla difesa dell’avvocato d’ufficio. Inoltre non sempre dispongono delle informazioni necessarie per richiedere i benefici di cui hanno diritto: è necessario un collegamento con l’esterno, una conoscenza delle risorse del sistema sociale che chi vive per strada spesso non ha. Un ruolo decisivo, come abbiamo già raccontato, è di nuovo determinato dalla possibilità di avere una dimora stabile che è indispensabile per ottenere misure alternative come gli arresti domiciliari o l’affidamento in prova al servizio sociale o delle licenze. Sarà forse il caso di evocare meno “giustizia penale” e invocare , invece, più “giustizia sociale”?

Damiano Aliprandi da Il Garantista

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