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Riparte il processo ai medici che uccisero Mastrogiovanni

Oggi si riapre il processo di appello sul caso di Franco Mastrogiovanni. Cinquantotto anni, maestro di matematica di una piccola scuola, in un tranquillo paesino del salernitano. Chi lo ha conosciuto, racconta che Mastrogiovanni era un buon uomo, che non ha mai fatto male a nessuno. Un tipo fuori dal comune, un po’ bizzarro, che quando passeggiava da solo, alto quasi due metri, non passava inosservato.

Un “noto anarchico”, secondo il verbale dei carabinieri, che la mattina del 31 luglio, 2009, lo vanno a prendere. Quella mattina Mastrogiovanni se ne sta in un bungalow sulla spiaggia a San Mauro Cilento, a trascorrere i giorni di vacanza. Il maestro non lo sa, ma sulla sua testa stravagante pende un’ordinanza di Tso: trattamento sanitario obbligatorio. Alla vista degli agenti scappa, per paura. Non prova a fuggire, si ferma dopo pochi metri, sulla riva. Accende una sigaretta e guarda il mare, per l’ultima volta. E’ circondato – a terra i carabinieri, in mare la guardia costiera. Franco non oppone resistenza all’arresto. Cantando canzoni e filastrocche antigovernative, segue i militari fino all’ ospedale San Luca, a Vallo della Lucania.

 All’ arrivo in nosocomio protesta, ma in maniera pacifica. Inspiegabilmente, per 98 ore rimane legato mani e piedi al letto. Mangia una sola volta. Attaccato ad una flebo assorbe poco più di un litro di liquidi. Assume solo medicinali (En, Valium, Farganesse, Triniton, Entumin). Un trattamento adeguato a sedare un uomo violento, pericoloso. Ma Mastrogiovanni non è così, è solo un maestro di matematica. Per 3 giorni urla e piange. Chiede di bere di più. Si dispera perché è stato ammanettato con dei lacciuoli di cuoio, che fanno abbondantemente sanguinare polsi e caviglie.

La mattina del 4 agosto, alla fine, smette di lottare. Rantola nel letto, si muove di qua e di là come alla ricerca di qualcosa, dell’aria forse o della libertà, chissà. Ha un ultimo sussulto e si abbandona alla morte. A stroncarlo è stato un edema polmonare, dirà l’autopsia. Sulle circostanze della sua morte, non ci sono dubbi. Le telecamere dell’ospedale filmano impietosamente i 4 giorni di martirio. Le riprese sono una prova schiacciante, che inchioda al muro i responsabili in camice bianco: vittime anch’essi, in fondo, del sistema. La vita di Mastrogiovanni è precipitata vertiginosamente in uno dei troppi buchi neri nello Stato di Diritto, che in questo paese privano i più deboli di protezione.

 Il caso del maestro non è passato inosservato. Il Tso è un atto medico e giuridico regolamentato da una legge: uno strumento su cui esistono vari livelli di controllo, soprattutto, è finalizzato alla tutela della salute. La Procura di Vallo della Lucania apre un’inchiesta, affidata al pm Francesco Rotondo. Nel registro degli indagati  vengono iscritti i sette medici del reparto di psichiatria primario, che hanno avuto in cura Mastrogiovanni.

 Il 10 ottobre 2012,  in primo grado, sono stati condannati sei medici del reparto di psichiatria dell’ospedale di Vallo della Lucania. Cinque ono stati condannati per sequestro di persona, morte come conseguenza di altro delitto (il sequestro stesso) e falso in atto pubblico. Il sesto è stato riconosciuto colpevole solo del reato di sequestro di persona. Le pene inflitte vanno dai 2 ai 4 anni con interdizione dall’esercizio della professione per 5 anni. I medici sono stati condannati anche al pagamento del risarcimento alle parti civili e delle spese processuali. Assolti invece i 12 infermieri dall’accusa di sequestro di persona, illecita contenzione e omicidio colposo. Il 7 novembre è cominciato il processo d’appello. L’atto di impugnazione è firmato dal sostituto Procuratore Martuscelli e dal Procuratore capo Grippo.

I due magistrati sostengono che la sentenza vada riformata per il motivo assorbente che essa ha operato una riduzione dell’attività e del profilo professionale dell’infermiere riducendolo a mero “esecutore di ordini”, mentre oggi ha un ruolo ed un suo statuto ben delineato come si rileva dall’attività legislativa sviluppata dall’anno 1994 ad oggi, e per questo chiedono che siano aumentate le pene inflitte ai medici in primo grado e che vengano condannati anche gli infermieri.

Alessio Polveroni da il Garantista

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