Menu

Reddito di cittadinanza o controllo sociale?

“Tutti gli altri hanno l’obbligo di lavorare: e se non lavorano e patiscono la fame, tanto peggio per loro” da Pinocchio – Collodi.

Come si fa a essere disoccupati ed essere riconosciuti persone in una società che per secoli ha considerato il non avere un lavoro un crimine di lesa maestà? Come si fa a essere “meritevoli” di dignità in una società dove il lavoro vivo sopravvive nella marginalità dei territori frontiera, dove l’informale regge il formale e il legale ha bisogno dell’illegale per competere su scala globale?

Nel lavoro digitalizzato, automatizzato, il plusvalore si estrae dal lavoro che i dispositivi di produzione e controllo impongono, conducono con il loro ritmo, si estrae dalle “macchine stesse”.

Il lavoratore è il “consumatore lavorato”[1], citando Renato Curcio, ma capita che negli infiniti cicli del capitalismo, nascano i famosi esuberi, gli espulsi dal mercato del lavoro, gli inoccupati, coloro che mai entreranno nel mercato ufficiale e vivranno nel sommerso o nelle mille forme dell’arrangiarsi. Nei territori più esposti alla marginalizzazione, per esempio, esiste una tendenza a garantirsi una inclusione nelle politiche di sostegno al reddito attraverso espedienti ormai strutturati, e una persistenza nelle sacche di iperlavoro sottopagato.

Welfare State, ufficiale e non, era la forma di assistenza e al tempo stesso controllo del mercato del lavoro. Oggi? Finita la pacchia! No, evoluzione dei modelli di politiche sociali e di controllo sociale, sincretismo tra welfare e workfare, nell’epoca del warfare[2] mediato da infiniti canali di comunicazione e della governamentalità[3] della popolazione. Il confine tra lavoro e consumo si è dissolto; ad esempio, la produzione di valore da cui il capitale trae profitti ha al tempo stesso  bisogno di controllo contenitivo e predittivo per orientare le scelte future e anticipare le tendenze, senza che alcuna categoria sociale esca dai ranghi previsti.

La neolingua: “Come vivere da povero, lo decidiamo noi!”.

A un giorno dalla favolosa conferenza del Consiglio dei Ministri sulla fasulla riforma pensionistica, che altro non è che una deroga alla legge Fornero (la sbandierata “quota 100”) e l’introduzione a tutti gli effetti dell’istituto del Reddito di cittadinanza, mille interrogativi sorgono, su quali saranno gli effetti, le dinamiche e le reazione all’interno della società. Tralasciando le disquisizioni accademiche e tecniche sulla sua definizione, più volte, anche prima della sua approvazione, molte sono state le sottolineature durante le dichiarazioni sul ruolo moralizzatore che il sistema Reddito di cittadinanza, concepito da questo esecutivo, avrebbe avuto. Lo spartitraffico che divide le strade dei poveri: i fannulloni da una parte e i meritevoli di dignità dall’altra. Il meccanismo fissa dei prerequisiti per accedervi che creano anche qui degli esclusi: i troppo poveri e i poco poveri.

Avranno in comune, assieme ai beneficiari, lo stigma di “povero”.

1.Funzionamento previsto

Come riportato in un articolo de Il Sole 24 ore dello scorso 18 gennaio, la gestione rileva delle criticità legate al numero di possibili fruitori: “Secondo il cronoprogramma indicato dal vicepremier Luigi Di Maio, dal 27 aprile il sussidio verrà erogato agli aventi diritto, attraverso una card che si ritirerà alle Poste. Ma la “fase 1”, quella prima del pagamento, già presenta numerose possibili criticità considerando che è coinvolta una platea di 1,7 milioni di nuclei familiari (4,9 milioni di persone) potenzialmente beneficiaria del reddito di cittadinanza – in base ai requisiti economici richiesti-, e che i richiedenti potrebbero essere anche di più [4].

Dovrà essere l’INPS a predisporre il modulo di domanda, sentito il ministero del Lavoro, e a verificare  il possesso dei requisiti d’accesso, in base alle informazioni disponibili nei propri archivi, ma anche dall’Anagrafe tributaria e dal Pubblico registro automobilistico e da altre amministrazioni. I Comuni, saranno coinvolti per trasmettere i requisiti di residenza e soggiorno all’INPS.

Riprendendo l’articolo  de Il Sole 24 Ore:  “Una volta riconosciuto il diritto a percepire il sussidio, è previsto che entro 30 giorni il richiedente sia convocato al centro per l’impiego per firmare il “patto per il lavoro”. Tutti i componenti maggiorenni del nucleo familiare beneficiario del Rdc dovranno sottoscrivere la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro entro i successivi 30 giorni, aderire ad un percorso personalizzato di accompagnamento al lavoro e all’inclusione sociale, dovranno registrarsi su una piattaforma digitale (Siupl). Resta a carico del beneficiario la consultazione quotidiana della piattaforma, nella ricerca del lavoro che dovrà anche svolgere una ricerca attiva, rispettando un diario di attività settimanali, accettare una di tre offerte di lavoro “congrue” per non perdere il sussidio. L’obbligo riguarda tutti i componenti del nucleo familiare maggiorenni, non già occupati, che non frequentano un regolare corso di studi e di formazione (escluso chi ha almeno 65 anni, i disabili o i componenti che assistono figli di età inferiore a 3 anni, disabili o non autosufficienti)”[5].

Gli obblighi  sono estesi a tutti i componenti del nucleo familiare, pena la perdita del sussidio.

E’ previsto un tutoraggio personalizzato e al contempo una riorganizzazione massiccia dei Centri per l’impiego.

Il reddito di inclusione già riconosciuto in precedenza, continuerà ad essere erogato, ma si potrà far richiesta del reddito di cittadinanza, previa valutazione dei bisogni considerati prevalentemente alla situazione lavorativa. Per questo, si richiede la firma di un “patto di inclusione”che prevede la partecipazione a progetti utili alla collettività fino a 8 ore la settimana, organizzati dai Comuni. Anche in questo caso verrà utilizzata una piattaforma informatica (Siuss).

  1. Patto sociale e controllo.

Da una prima lettura dello schema di richiesta e funzionamento della misura, emerge come la base strutturale sia un patto tra i cittadini riconosciuti beneficiari e lo Stato. La famiglia potrà diventare l’unità funzionale, dove anche i suoi membri dovranno firmare un  tacito patto interno affinché tutti possano beneficiare del reddito. La card delle Poste, dove verrà accreditata la somma spettante, dovrà essere utilizzata entro il mese successivo, sotto il rigido controllo delle “spese morali” presso gli esercizi convenzionati. La famiglia, da “unità di produzione” a “unità di consumo”, potrebbe essere funzionale all’aumento statistico dei consumi, se si considera che si proverà ad applicare in parallelo la Flat Tax, in modo che il governo possa dare un’immagine di ripresa economica e redistribuzione del Paese. All’interno delle famiglie i comportamenti dovranno normalizzarsi secondo le modalità che il dispositivo/sostegno ha tracciato, per non perdere la fonte di reddito. L’immagine è di uno Stato che agirà come un buon padre di famiglia, punendo e responsabilizzando il figlioletto nel suo agire, in questo caso, anche ex lavoratori e lavoratrici, rimasti/e senza lavoro, ma troppo giovani per la pensione e troppo vecchi per il mercato del lavoro ( almeno così ci hanno raccontato prima di adesso!), ma con un bisogno immenso di avere un genitore che sappia punire.

Sono stati evidenziati più volte gli aspetti punitivi della lotta senza quartiere ai furbetti ( ricordatevi che governa la banda degli onesti!) e a figlioli che non adotteranno comportamenti e stili di vita consoni alla visione morale del governo.

Senza avere un progetto a lungo termine, né l’intenzione di attuare politiche redistributive, l’obiettivo potrebbe essere quello di aumentare l’andamento dei consumi su basi mensili, dando l’immagine che tutto vada per il verso giusto e che in fondo stiamo tutti vivendo un nuovo “boom economico”[6]? Verranno confuse la redistribuzione e l’aumento della produzione con l’aumento dei consumi?

I dati sui consumi come saranno gestiti dalle aziende produttrici e dalle società commerciali convenzionate? Nessun complotto, domande lecite nell’epoca della fuga e dei furti di dati e metadati per fini commerciali.

  1. Politiche sociali 4.0

Ex lavoratori ed ex lavoratrici espulsi a seguito di molte chiusure aziendali e ristrutturazioni, privi di ammortizzatori sociali, dovranno interfacciarsi, come è già accaduto per le assegnazioni degli insegnanti della “Buona Scuola”[7] e gli esuberi dell’ex Ilva, ora ArcerolMittal [8], con una piattaforma digitale, sia per il patto lavoro sia per il patto inclusione. Quanti e quante Daniel Blake esclameranno dentro se stessi/e : Il mio nome è Daniel Blake, sono un uomo, non un cane. E in quanto tale esigo i miei diritti. Esigo che mi trattiate con rispetto”[9], quando nessuna mediazione umana per un ritardo, un problema di connessione o un imprevisto, potranno generare una non risposta nel programma di ricerca costante delle offerte di lavoro o un rifiuto non voluto di un’offerta o peggio ancora, un’impossibilità di natura logistica e materiale?

Si pensi ai trasporti per raggiungere i luoghi di lavoro, le spese di viaggio o di vita da fuorisede. Non è simile comunque all’emigrazione o ai trasferimenti nelle fasi di ristrutturazione aziendali?

Si pensi alla situazione infrastrutturale di alcune regioni, dove il consenso dei soggetti politici al governo è alto e legato proprio alla promessa di un reddito.

Pessimismo, voglia di non vedere i buoni propositi? No, realismo e conoscenza delle condizioni in cui vivono le categorie destinatarie del provvedimento e della marginalità. L’impostazione fredda e virtuale del sistema e degli strumenti che saranno impiegati per garantire questo servizio, sia che si tratti del patto lavoro che del patto di inclusione, fanno pensare alle comunità virtuali della rete internet, nessuna mediazione per mezzo di relazioni.

  1. Lavoro. A quali condizioni?

 Altri aspetti che il governo dovrà chiarire, sono quelli che riguardano i 18 mesi di sgravi fiscali per le aziende che assumono, le tipologie contrattuali con cui i datori di lavoro potranno assumere e per il patto di inclusione, in quali tipologie di lavori socialmente utili potranno essere impiegati i destinatari.

Tutti questi interrogativi sono utili per capire quale sia l’atteggiamento del governo verso le aziende, verso il controllo del mercato del lavoro, verso i lavoratori e le condizioni di lavoro. In particolare, come saranno resi praticabili gli  aspetti riguardanti la formazione sulla sicurezza e salute, elemento spesso assente nelle forme di lavoro precario e incisivo nell’aumento degli incidenti gravi e mortali? Come saranno controllate le eventuali e probabili forme di applicazione irregolare del reddito in contesti dov’è forte l’impiego di manodopera irregolare? Interessante sarà analizzare il livello di ricattabilità e la tendenza che avranno i salari. Quest’ultimo aspetto, è stato evidenziato spesso dal ministro del lavoro Di Maio, che ha ribadito l’intenzione di contenere con queste politiche anche il costo del lavoro. È  in ciò che si gioca il potere contrattuale che avranno i lavoratori nei prossimi tempi.

  1. Gli esclusi

Molti rapporti stilati da organizzazioni e istituti statistici hanno stimato che nel nostro Paese esistono circa 5 milioni di indigenti assoluti e 10 milioni di persone in povertà sanitaria, che rinunciano a curarsi o hanno estrema difficoltà nell’accedere alle cure. Altro elemento sostanziale , a volte strettamente sovrapponibile ai precedenti, è l’emergenza abitativa diffusa nei piccoli e grandi centri.

Dentro questa stima rientrano i circa 5 milioni che beneficeranno del Reddito di cittadinanza, sulla base dei requisiti specifici, ma che ne sarà dei “poco poveri”, che ne sarà della povertà sanitaria, che ne sarà di chi ha perso la casa e ha difficoltà a essere rintracciabile dietro una residenza o un soggiorno? Forse, c’è da dire che i servizi pubblici che dovrebbero occuparsi di taluni aspetti sono spesso indifferenti o complici, il diritto ad una vita dignitosa non sarà garantito a colpi di decreti, come la povertà non sparirà in un solo giorno.

Conciliazione e pace sociale, sembrano essere gli strumenti per continuare a governare l’onda lunga della crisi. Forse nasceranno spaccature all’interno della categoria degli aventi diritto, tra ex lavoratori e chi non ha ancora ufficialmente fatto ingresso nel mondo del lavoro, tra italiani e stranieri residenti da più di cinque anni. Spaccature tra chi beneficerà e chi resta escluso, conflitti interni o esterni, tra Stato e chi verrà punito. Oppure, semplice fase di stallo.

Gli effetti e le reazioni apriranno un campo politico non indifferente per sindacati e soggetti politici più combattivi sia sul come collocarsi rispetto al tema lavoro e reddito, sia come supporto e spinta di soggettività che potranno nascere se questa misura funzionerà o svelerà le sue contraddizioni. L’introduzione del Reddito di cittadinanza, crea, pur essendo mixage di modelli di assistenza differenti chiamati con altri nomi (reddito di inclusione, politiche attive del lavoro, sussidio di disoccupazione, lavori socialmente utili ) un cambiamento all’interno della società, sarà il cavallo vincente o la disfatta di questo governo ed in particolare del Movimento Cinque Stelle, che dovrà fare i conti con il suo operato e con chi sta continuando a dargli fiducia.

Per tutti gli elementi considerati, questo modello di sostegno al reddito e al lavoro, si colloca dentro un progetto di contenimento e controllo di gruppi sociali, attraverso la canalizzazione dei consumi e dei comportamenti, è un filtro di ingresso nel mercato del lavoro e ostacolo per una reazione collettiva alla crisi e alla condizione di impoverimento dei vari strati della popolazione. Per ora, resta la risposta individuale allo scenario in corso, ma la strada del conflitto è sempre aperta e bisogna saper analizzare e lavorare dentro le contraddizioni e l’aumento delle diseguaglianze.

Renato Turturro

****

Note:

[1] R. Curcio, Il Consumatore lavorato , Sensibili alle Foglie, Dogliani (CN),  2005.

[2]Wikipedia,  L’information warfare (IW) o guerra dell’informazione è una metodologia di approccio al conflitto armato, imperniato sulla gestione e l’uso dell’informazione in ogni sua forma e a qualunque livello con lo scopo di assicurarsi il decisivo vantaggio militare specialmente in un contesto militare combinato e integrato. La guerra basata sull’informazione è sia difensiva che offensiva, spaziando dalle iniziative atte a impedire all’avversario di acquisire o sfruttare informazioni, fino alle misure mirate a garantire l’integrità, l’affidabilità e l’interoperabilità del proprio assetto informativo. Nonostante la connotazione tipicamente militare, la guerra basata sulle informazioni ha manifestazioni di spicco anche nella politica, nell’economia, nella vita sociale ed è applicabile all’intera sicurezza nazionale dal tempo di pace al tempo di guerra. Infine la guerra basata sulle informazioni tende a colpire l’esigenza di comando e controllo del leader nemico e sfrutta le tecnologie per dominare il campo di battaglia. In realtà in concetto di information warfare è stato ripreso e formulato da numerosi studiosi ed enti di ricerca accademici e militari.

[3]Cfr. Foucault, 2004. – Resistenze di Salvatore Palidda, ed. DeriveApprodi

[4] A. Gagliardi, Reddito di cittadinanza, è corsa contro il tempo per il via ad aprile, Il Sole 24 Ore, 18 gennaio 2019.

[5] Ivi

[6] V. Nuti, Pil, Di Maio: possibile boom economico come negli anni 60, Il Sole 24 Ore, 18 gennaio 2019

[7] Redazione Contropiano, I supplenti nella buona scuola: licenziati e schiavi, www. contropiano.org,  12 settembre 2016

[8] E. Voccoli, Epurazioni ed esuberi,: a Taranto ha inizio l’era Mittal, www.euronomade.info,  04 novembre 2018.

[9] Dal film di Ken Loach, I,  Daniel Blake, 2016.

Leave a Comment

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>