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Se ogni protesta diventa terrorismo

La criminalizzazione delle lotte sociali. È una tendenza in corso anche in Italia, sta accadendo anche negli Stati uniti. Dove rompere una vetrina diventa attentato alla sicurezza nazionale. Il caso delle lotte contro una mega base di polizia ad Atlanta

di Ryan Zickgraf

Si può essere accusati di terrorismo per aver lanciato bottiglie o rotto la vetrina di una banca? Può succedere ad Atlanta, dove lo stato della Georgia ha mosso gravi accuse di terrorismo interno a undici persone che manifestano da dicembre contro la costruzione di un imponente complesso di militarizzazione della polizia noto come Cop City.

Il governatore Brian Kemp ha giustificato la severa punizione su Twitter, dicendo: «La violenza e la distruzione illegale di proprietà non sono atti di protesta. Sono crimini che non saranno tollerati in Georgia e saranno perseguiti a fondo». Giovedì scorso, Kemp ha firmato un decreto che proclama lo stato di emergenza e autorizza il dispiegamento di un migliaio di truppe della Guardia nazionale per arrestare i manifestanti contro Cop City. Lo stato di emergenza dura due settimane, fino al 9 febbraio.

Il concetto di «perseguire del tutto» sostenuto da Kemp è cambiato dal 2020. Durante le proteste dopo l’assassinio di George Floyd che hanno riempito le strade del centro di Atlanta, la maggior parte dei manifestanti arrestati è stata portata nella prigione della città per reati che includevano condotta disordinata, furto con scasso e danni alla proprietà.

Ora, due anni dopo, le autorità georgiane stanno trasformando i reati contro il patrimonio e il vandalismo relativamente minore da parte di manifestanti contro Cop City come atti di terrorismo. Se condannati, gli attivisti rischiano fino a trentacinque anni di carcere, che nello stato della Georgia è una pena simile all’omicidio di secondo grado. Come siamo arrivati fin a questo punto?

Tensioni ad Atlanta

Mentre camminavo ad Atlanta sabato sera, mi sono fermato alla vista di un Humvee in stile militare, marchiato Stato della Georgia, che mi sfrecciava davanti. Un uomo vestito con un’uniforme scura era appollaiato sul portellone del veicolo, con le mani che stringevano un fucile d’assalto mentre fissava il traffico.

Era diretto in centro – e velocemente – per rispondere a un corteo contro la costruzione di Cop City, che precede il centro di addestramento della polizia di ottantacinque acri da 90 milioni di dollari nella foresta appena a sud di Atlanta, e contro la recente uccisione da parte della polizia dell’attivista ventiseienne Manuel Esteban Paez Terán.

Nel giro di un’ora, sei manifestanti sono stati fermati e arrestati con l’accusa di aver dato fuoco a un’auto della polizia e aver rotto le finestre dell’edificio della Atlanta Police Foundation e di una banca Wells Fargo. Ognuno di loro ora deve affrontare quattro capi di imputazione: terrorismo interno, incendio doloso di primo grado, danneggiamento e interferenza con la proprietà del governo. A quattro di loro il giudice ha negato la libertà su cauzione. Quelle accuse non erano un’anomalia: a dicembre, le autorità della Georgia hanno arrestato altri cinque attivisti per aver lanciato sassi e bottiglie contro veicoli di emergenza vicino al sito di Cop City e sono stati inquisiti in forme analoghe.

Il Dipartimento di giustizia degli Stati uniti è l’agenzia che tradizionalmente formula accuse relative al terrorismo, ma trentaquattro stati dopo l’11 settembre hanno promulgato leggi che trasformano gli atti di terrorismo e/o il fornire supporto ai terroristi anche in reati statali.

L’attuale legge sul terrorismo della Georgia è stata adottata nel 2017 con il sostegno bipartisan in seguito alla sparatoria di massa di Dylann Roof in una chiesa nera nella Carolina del Sud che ha provocato la morte di nove parrocchiani. Ha creato un nuovo dipartimento statale per la sicurezza interna e ha definito il reato di terrorismo interno come la commissione di qualsiasi crimine inteso a «intimidire la popolazione civile» o «alterare, cambiare o influenzare con la forza la politica del governo».

Quella definizione generica implica che il lancio di sassi contro le auto della polizia potrebbe qualificarsi come terrorismo. Così potrebbe essere anche «occupare una casa su un albero indossando una maschera antigas e indumenti mimetici» durante una protesta contro Cop City, ha osservato l’Atlanta Journal-Constitution. «Lo statuto stabilisce limitazioni eccessivamente ampie e di vasta portata che limitano il dissenso pubblico contro il governo e criminalizzano i trasgressori con sanzioni severe ed eccessive», spiega Chris Bruce, direttore delle politiche dell’American civil liberties union of Georgia.

Potrebbe anche avere un effetto dissuasivo sul diritto al dissenso protetto dal Primo Emendamento. «Il termine ‘terrorismo interno’ incredibilmente spaventoso, dovrebbe incutere paura», sostiene Timothy Murphy, uno degli attivisti arrestati e accusati di terrorismo interno il mese scorso.

Un problema bipartisan

Il problema con leggi sul terrorismo interno come queste è che Repubblicani e Democratici, a turno, cercano di criminalizzare la disobbedienza civile a seconda di chi è in strada. Durante le proteste per l’omicidio di George Floyd, molti Democratici hanno combattuto le autorità che hanno spinto per un giro di vite contro il dissenso, in particolare l’allora presidente Donald Trump che ha minacciato un’azione militare contro coloro che protestavano contro gli abusi della polizia. Ma dopo gli eventi del 6 gennaio e le manifestazioni anti-vaccino, sono stati i Democratici a spingere per espandere la portata del «terrorismo interno» e a infliggere punizioni più severe.

Nel 2021, quando il presidente Joe Biden ha svelato la sua strategia per combattere il terrorismo interno, ha osservato che la definizione includeva coloro che «sembrano avere lo scopo di intimidire o costringere una popolazione civile», linguaggio molto vago.

I Democratici hanno anche spinto per il Domestic terrorism prevention Act del 2022, che avrebbe ampliato le indagini sul terrorismo interno e creato nuovi dipartimenti all’interno dell’Fbi, nel Dipartimento di giustizia e nella sicurezza nazionale, ma quel disegno di legge è stato respinto dal Senato repubblicano. Data la storia recente, non c’è da meravigliarsi che tutti i Democratici che non siano Rashida Tlaib e Cori Bush siano rimasti in silenzio sulle proteste contro Cop City, inclusi i senatori della Georgia Jon Ossoff e Raphael Warnock.

È ironico anche che gli arresti di Cop City siano stati effettuati solo una settimana dopo che Joe Biden è venuto ad Atlanta per onorare Martin Luther King Jr e ha affermato (falsamente) di aver contribuito a organizzare una marcia per desegregare una città del Delaware. Nel 1960, Martin Luther King fu arrestato per aver partecipato a un sit-in al banco del pranzo ad Atlanta e condannato a quattro mesi a un campo di lavoro.

In termini di organizzazione complessiva e strategia di movimento, le proteste contro Cop City sono per molti versi ben lontane dal movimento per i diritti civili degli anni Sessanta. Ma vale ancora la pena chiedersi: se Martin Luther King fosse arrestato oggi ad Atlanta durante una manifestazione politica, verrebbe accusato di terrorismo interno? E quelli che lo esaltano oggi sarebbero rimasti in silenzio?

da JacobinMag

traduzione a cura di Jacobin Italia

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