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Profughi: Condizioni di vita degradanti e tempi di attesa lunghissimi. La denuncia dei richiedenti asilo di Palermo

Arriva una richiesta d’aiuto dai CAS della Provincia di Palermo, ovvero i centri d’accoglienza straordinaria che ospitano i richiedenti asilo. Con una lettera indirizzata alla Prefettura, Questura e popolazione italiana i profughi ospitati nelle strutture palermitane denunciano le proprie condizioni di vita e lo stato di incertezza permanente in cui si trovano. Si parla, infatti, di tempi di attesa lunghissimi anche della durata di 7 mesi per avere semplicemente il modulo di richiesta di asilo dalla Questura.

Nei CAS le condizioni di vita sono “degradanti”: l’acqua viene aperta solo due volte al giorno ed è fredda, mentre mancano anche i vestiti. Tutte questo mentre i richiedenti asilo rimangono in condizioni di isolamento assoluto, separati dalla comunità. La scuola d’italiano non viene organizzata, non favorendo alcuna integrazione.

Queste sono solo alcune delle denunce che arrivano dai CAS palermitani. Ne abbiamo parlato con Giulia Gianguzza attivista dell’Arci Porco Rosso che segue la vicenda. Ascolta o scarica l’intervista

Di seguito la lettera dei richiedenti asilo dei CAS di Palermo.

29/10/2016

Al Prefetto, alla Questura e ai cittadini italiani,

Siamo i migranti che risiedono in alcuni dei CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) della Provincia di Palermo. Veniamo da diversi paesi, Gambia, Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal, Guinea Conakry, Sierra Leone, Bangladesh, ma oggi la nostra voce è una sola. Siamo grati di essere stati accolti dall’Italia dopo il lungo viaggio che abbiamo dovuto affrontare, ma oggi scriviamo fianco a fianco questa lettera per parlarvi della nostra difficile condizione.

Siamo andati via dai nostri paesi per fuggire dalla sofferenza e veniamo in questo paese per trovarne di nuova, anche se è un altro tipo di sofferenza: c’è un qualche ragionamento distorto alla base di questo. Viviamo in questi CAS, spesso in posti completamente isolati, con tanti, troppi problemi. Molti di noi si trovano in questi centri da più di sette mesi, mentre sappiamo che non dovremmo restare così tanto in centri di accoglienza “straordinaria”. Chiediamo di essere ascoltati.

I tempi per avere i nostri documenti sono infiniti. In questi tempi lunghi non sappiamo cosa aspettarci e siamo molto confusi sulla nostra condizione. Spesso non si riesce neanche a fissare la data del primo appuntamento in questura per la richiesta d’asilo. Anzi, a molti non viene neanche spiegato cosa sia, l’asilo: tu puoi essere stato perseguitato per ragioni politiche o religiose, puoi essere omosessuale, ogni caso andrebbe trattato con la giusta attenzione. La lentezza nel rilascio dei documenti ci rende molto preoccupati e incerti sul nostro futuro, mentre noi vogliamo solo sapere la verità e che qualcuno ci spieghi cosa stia accadendo, invece di evitarci e rimandare sempre a domani.

Cosa fare se stai in un centro da un anno e tre mesi, noi hai i documenti né informazioni, non hai lavoro e se stai male non hai la cure specifiche? Se quando hai bisogno di qualcosa di fondamentale ti viene risposto di andartene se non ti piace il posto dove stai? Siamo richiedenti asilo, dove dovremmo andare? Un centro di accoglienza dovrebbe accogliere e aiutare: che senso ha tutto ciò? In alcuni casi veniamo anche minacciati: ci dicono che non avremo i nostri documenti se continuiamo a lamentarci. Se chiediamo più informazioni, capita che veniamo cacciati via, anche fisicamente. Vieni qui per chiedere la libertà, ed ecco che la tua mente si riempie di stress per condizioni di vita impossibili. Nei nostri paesi avevamo tanti problemi, ma almeno sapevamo cosa dovevamo affrontare. Il non sapere è terribile.

Durante questa attesa, le condizioni di vita sono degradanti per la persona umana. In uno dei CAS l’acqua viene aperta solo due volte al giorno, per un’ora, ed è sempre fredda. Se ci serve l’acqua in altri momenti della giornata dobbiamo prenderla noi stessi dalla cisterna, dove l’acqua è putrida e maleodorante, non va bene neanche per gli animali…e noi siamo essere umani. Altro problema è il cibo: vorremmo almeno avere la possibilità di cucinarci da noi. In un altro centro non ci danno neanche i vestiti necessari e molti di noi sono arrivati qui direttamente dal porto di Palermo, senza niente. I vestiti che abbiamo ci sono stati dati da altri fratelli che erano nel centro da prima di noi. Ma è quasi novembre, in montagna fa freddo e molti di noi hanno ancora le infradito. In un altro centro ancora, quando è venuta la polizia per i controlli della struttura, gli abbiamo detto che c’è freddo, che dormiamo vestiti e non c’è il riscaldamento: c’è stato risposto che in Africa non abbiamo il riscaldamento. A chi rivolgersi per segnalare delle ingiustizie?

Da maggio la scuola d’italiano non c’è stata mai, solo adesso da qualche giorno abbiamo le lezioni. I pochissimi di noi che parlano italiano l’hanno imparato in un centro per minori, dove però non gli è stata fissata neanche la data del primo appuntamento in questura. Chi arriva in questi CAS dai centri per minori non capisce perché l’assistenza che gli viene riservata fino a quando è considerato minore, si trasforma in abbandono compiuti i 18 anni. Chi è stato portato direttamente dal porto, pensa che la Sicilia sia tutta boschi, tanto sono isolati alcuni di questi centri, e gli unici italiani che ha mai visto sono gli operatori. Vogliamo studiare, vogliamo lavorare, vogliamo parlare con la gente, vederla quantomeno. Qui siamo invisibili. Abbiamo tante cose da fare, siamo giovani e dobbiamo continuare a vivere, non possiamo sprecare le nostre vite qui ad aspettare.

Oggi, tutti uniti, chiediamo dunque:

    di avere i nostri documenti e che la procedura della richiesta di asilo sia velocizzata: non possiamo aspettare 11 mesi per un appuntamento in questura;

    che i nostri diritti vengano rispettati: non chiediamo tanto, solo di essere trattati come esseri umani all’interno dei centri, di essere ascoltati, e che vengano assicurati i servizi che ci spettano di diritto;

    di essere trasferiti in altri centri che ci possano garantire tutto questo e migliori condizioni di vita.

da Radio Onda d’Urto

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