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Prigionieri Palestinesi in pericolo di vita per lo sciopero della fame

Almeno due dei prigionieri palestinesi in sciopero della fame versano in gravi condizioni. L’allarme viene lanciato anche dal Comitato Internazionale della Croce rossa (CICR) che chiede con forza una soluzione dignitosa, in grado di porre termine a questa protesta che potrebbe sfociare in una tragedia irreparabile.

Quello che i prigionieri esigono, mettendo a repentaglio la loro stessa vita oltre alla salute, è nient’altro che una pronta scarcerazione in quanto si trovano posti in detenzione amministrativa, senza processo e senza precise accuse (e quindi anche senza prove ufficiali a loro carico).

Una politica repressiva quella adottata da Israele che viene criticata da numerose organizzazioni internazionali, comprese quelle onusiane.

Il 23 ottobre, oltre al portavoce dell’Associazione palestinese dei prigionieri Amani Sarahneh, anche Els Debuf, capo missione del CICR a Gerusalemme, ha comunicato – su twitter – che Miqdad al Qawasmi e Kayed Nammoura ormai non si nutrono da ben 100 giorni e che le loro condizioni fisiche si andavano rapidamente deteriorando.

Chiedendo nel contempo alle autorità israeliane, oltre che ai detenuti e ai dirigenti delle organizzazioni di cui fanno parte, di impedire la perdita di vite umane.

Ovviamente nel rispetto dei diritti e della dignità dei prigionieri. Escludendo a priori la ventilata possibilità di intervenire con l’alimentazione forzata (per Amnesty International una forma di tortura).

La strategia carceraria della detenzione amministrativa fornisce a Israele la possibilità di arrestare militanti palestinesi, veri o presunti, a intervalli regolari con detenzioni – rinnovabili – dai tre ai sei mesi. Le eventuali prove a loro carico, non vengono rese note nemmeno agli avvocati difensori. Al momento in questa situazione si troverebbero oltre 450 palestinesi della Cisgiordania.

Gianni Sartori

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