Caro Gesù Bambino,
anche quest’anno, dopo due anni di pandemia, ci stiamo preparando alla tua venuta: l’albero è pronto, così i regali e le luci per le strade. Avrei dovuto tirare fuori l’antica e polverosa statuetta di cartapesta che ti rappresenta roseo, biondo, con gli occhi azzurri, ben nutrito e con la camicina di trine. Non ti dispiacere, se non mi dice niente di te: questa statuina poco ti rassomiglia e Tu lo sai. Anzi, sarà per farmi sapere che non piace nemmeno a Te che hai deciso Tu come venire in mezzo a noi. Vieni con tuo padre che non si chiama Giuseppe ma Munzer El Mezhel, non è palestinese ma siriano, e a tuo padre manca una gamba perché amputata da una bomba della guerra siriana. Tua madre non c’è nella foto – scattata dal turco Mehmet Aslan – si chiama Zeinab e ha altri tre figli. Tu, a differenza della mia statuina, hai scura la pelle, gli occhi e i capelli, ma questo non ti dispiacerà. E porti su di Te i segni della guerra, dei gas velenosi delle bombe sganciate sulla Tua Betlemme siriana; porti i segni del dolore di tanti bambini, di tanti esseri umani: non hai le braccia, né le gambe. Ti chiami Mustafà e sul Tuo viso come su quello di Tuo padre, esplode un sorriso che contrasta con la vostra sofferenza, ma che infonde a noi tantissima speranza, tanta a un’umanità disperata. Una speranza che ci dice che, come le ostie sull’altare, anche le membra spezzate degli uomini sono pezzi di Dio, per questo vanno adorate, per questo davanti ad esse dovremmo piegare le nostre ginocchia. Una speranza che è anche una promessa, la grande promessa di Dio racchiusa nel Natale: la promessa che Dio personalmente raccoglierà i miseri moncherini, brandelli sofferenti d’umanità, e ci farà salvi.
Sembri proprio incarnare quell’antica preghiera che parla di Te e di noi, che dice: “Cristo non ha mani, per fare oggi il suo lavoro ha soltanto le nostre mani; e non ha piedi, per guidare gli uomini sui suoi sentieri ha soltanto i nostri piedi; e Cristo non ha labbra, per raccontare di sé agli uomini di oggi ha soltanto le nostre labbra …”.
Ti ringrazio per avermi tolto dall’imbarazzo di immaginarti presente in una statua di cartapesta e Ti ringrazio perché sei un Bambino di carne, perché sei i bambini dell’Afghanistan, dell’Africa, del Tuo Medioriente, e sei tutti gli ultimi e diseredati della terra: sei migrante, barbone, disabile, ammalato. Non sei mai l’Erode di turno, il potente, il ricco, il disumano. E ripenso al racconto dei Vangeli sulla Tua nascita: così sobrio e scarno rispetto alle oleografie edulcorate della tradizione, ai presepi di sughero e cartapesta diventati opere d’arte che ci parlano della sensibilità e del gusto di epoche passate, ma non sanno dirci più nulla di Te; e penso al Natale della pubblicità, e al tentativo dei burocrati dell’UE, che vogliono addirittura farci dimenticare di Te. E’ cosi scarno il racconto dei Vangeli perché vuole essere riempito da noi, perché Tu o ti incarni ogni volta nella storia reale e concreta, tra le pieghe e negli scarti della Storia, quella decisa dai potenti, oppure non vieni.
Ti incarni in quei profughi che come Te e la Tua famiglia fuggono dalle moderne stragi degli innocenti e, come Te, non trovano posto nell’albergo e si arrangiano in una coperta o in un cartone, moderne mangiatoie. Poche volte trovano qualcuno pronto ad accoglierli, disobbedendo alle leggi: la luce verde che brilla su questo strano presepe, stella cometa del nostro tempo, ricorda quella che alcuni coraggiosi accendono al confine bielorusso-europeo per indicare una casa pronta a ospitarli.
Sembrano fuori posto le scarpe rosse nel presepe: sono il segno della sofferenza di troppe donne che vengono uccise, picchiate, stuprate, calpestate nei loro diritti da maschi stupidi e violenti.
E allora, quale opportunità più straordinaria potrebbe concederci questo Gesù Bambino sofferente e sorridente, se non quella di essere operai speranza, se non quella di poterci chinare, umilmente e con tenerezza, a fasciare le membra sofferenti di Cristo, le membra sofferenti delle nostre sorelle e dei nostri fratelli?
Questo Gesù Bambino ci invita a credere in una solidarietà che resiste, che opera in mille rivoli, raggiunge i luoghi abbandonati, si china sulle più intoccabili ferite. Una solidarietà che non si arrende, caparbia come caparbi erano i profeti, ostinati in un annuncio contro tutte le evidenze, come caparbi furono Maria e Giuseppe nel proteggerti da Erode, da ogni Erode.
Una solidarietà caparbia, della caparbietà di Dio.
Don Vitaliano
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