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I portuali di Genova lottano contro le navi delle armi. Ma sono stati lasciati soli

Carri armati, missili, elicotteri da combattimento: i lavoratori del Calp denunciano il passaggio dei carichi di materiale bellico. Ma sono loro a finire sotto inchiesta, mentre partiti e altri sindacati ignorano la questione. Al loro fianco restano il Papa e i movimenti pacifisti.

di Massimiliano Salvo

Carri armati color sabbia, parcheggiati nella stiva come automobili. Elicotteri da combattimento. Missili, casse di armi, container di esplosivi. E poi ancora carri armati, altri elicotteri, altri esplosivi. “La guerra comincia da qui, dal porto di Genova: eppure c’è chi continua a chiudere gli occhi“. Riccardo Rudino, portuale genovese, ha 56 anni, grinta da vendere e una barba rossiccia striata di grigio. Insieme al Calp, il Collettivo autonomo dei lavoratori del porto di Genova, lotta contro le navi della compagnia nazionale saudita Bahri che fanno scalo in Liguria. Arrivano dagli Usa e da altri porti europei e sono dirette nel Golfo Persico, con stop finale in Arabia Saudita: un regime che causa migliaia di vittime civili nella guerra in Yemen. Per questo motivo, dal 2019, i portuali continuano a manifestare. “Le “navi delle armi” non devono più passare di qui. La nostra è una battaglia di principio“.

Due anni di proteste e fumogeni non sono bastati a cambiare le rotte. Il 12 novembre ha attraccato a Genova la Bahri “Abha”, con carri armati ed elicotteri d’assalto nella stiva, il 30 novembre è arrivata la Bahri “Hofuf”, a inizio gennaio si attende la Bahri “Yanbu”. E così via, con un arrivo in media ogni tre settimane. “Le navi Bahri si fermavano a Genova da anni, ma mancava la forza di approfondire cosa trasportassero“, concordano i portuali del Calp. “Sapevamo che ad andare sino in fondo e a diffondere le immagini di stive piene di armi ci saremmo gettati in un casino più grande di noi“. Così è stato. Oggi il Calp è diventato un riferimento per il mondo antimilitarista italiano e straniero, ma a Genova, si ritrova circondato da ambiguità politiche, screzi sindacali e indagini della Procura.

Per capire come sia stato possibile bisogna tornare al maggio del 2019, quando l’inchiesta giornalistica del sito francese Disclose sostiene che sulla nave Bahri “Yanbu”, partita dal Belgio e diretta in Francia, debbano salire cannoni venduti dalla Francia all’Arabia Saudita: il sospetto è che servano alla guerra in Yemen. Nel porto di Le Havre sale la tensione e la nave non riesce a caricare le armi, la protesta segue il cargo tra Francia e Spagna sino a Genova: dove non è previsto l’imbarco dei cannoni ma di generatori della Teknel di Roma, i cui prodotti sono talvolta utilizzati per operazioni belliche. Il Calp chiede che venga impedito l’attracco, la Cgil proclama lo sciopero: e dopo una grande mobilitazione, la “Yanbu” riparte senza caricare i generatori.

Quando, nel febbraio 2020, la nave ripassa da Genova con armamenti nella stiva, il Calp propone uno “sciopero etico” che però la Cgil non appoggia. Ma la sfida alle “navi delle armi” è lanciata, al grido di “porti chiusi alle armi e aperti agli esseri umani”. Presidio dopo presidio, il Calp obbliga la città a interrogarsi sul rapporto tra etica e lavoro e si guadagna la solidarietà della sinistra radicale, del mondo pacifista e addirittura di Papa Francesco, che nel giugno 2021 riceve in Vaticano una delegazione di portuali del Calp (per l’occasione eleganti, senza la solita felpa bordeaux con la scritta “Working class combat”).

Le reti internazionali del Calp intanto si moltiplicano, con inviti in Svizzera, Germania e Spagna da parte di collettivi, formazioni legate all’autonomia operaia e partiti comunisti. Per il ventennale del G8 il Calp raduna i portuali di mezzo mondo, dalla Grecia alla Nuova Zelanda, dagli Usa al Sudafrica. Oggi l’obiettivo è saldare i rapporti con gli scali di Livorno, Napoli e Trieste, più i porti francesi e spagnoli di Marsiglia, Port-de-Bouc, Sète, Barcellona, Sagunto, Motril. Perché i portuali di Genova sognano qualcosa sino a poco tempo fa impensabile: uno sciopero in diversi Paesi contro il commercio delle armi.

Davanti a una filiera internazionale, la protesta e il boicottaggio devono essere internazionali“, riflette Carlo Tombola, coordinatore di The Weapon watch, l’Osservatorio sulle armi nei porti europei e mediterranei nato a Genova nel 2019. “E questo deve avvenire nei porti, perno della logistica militare, poiché le nostre azioni legali, civili e penali, sono state sinora ignorate. Anche se ad Amburgo si sta studiando un referendum per ammettere o escludere le armi dal porto“. Secondo The Weapon watch a Genova le navi saudite violerebbero il Trattato internazionale sul commercio delle armi (Att) e la legge 185/90, che vieta il transito “verso Paesi in stato di conflitto armato”, “verso Paesi in cui sia dichiarato l’embargo totale o parziale di forniture belliche” e “verso Paesi i cui governi siano responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani”. “L’Arabia Saudita è in guerra con lo Yemen, non rispetta i diritti umani e ci sono restrizioni sulla vendita di armi”, aggiunge Riccardo Degl’Innocenti, attivista dell’Osservatorio. “Tutti lo sanno ma fanno finta di niente: si chiama ipocrisia“.

Nel 2020 The Weapon watch ha presentato un esposto alla procura di Genova, chiedendo di controllare il rispetto delle condizioni di sicurezza dei lavoratori e delle norme del commercio delle armi con l’Arabia Saudita. Nel 2021 il sindacato Usb ha presentato un esposto simile ad Autorità di sistema portuale del mar ligure occidentale, prefettura di Genova e capitaneria di Porto. Ma nulla è cambiato. L’Autorità di sistema portuale si dice competente solo sulla sicurezza dei lavoratori, la capitaneria solo sulla sicurezza nel trasporto di merci pericolose. Entrambe rimandano alla prefettura, che attribuisce la competenza al ministero degli Esteri tramite l’Uama, l’Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento. Ma siccome le armi talvolta presenti sulle navi Bahri non oltrepassano la dogana genovese, in Uama ritengono di non avere competenza.

In procura invece le indagini sono partite, ma non nella direzione immaginata: a marzo 2021 cinque portuali del Calp, tra cui uno dei suoi protagonisti, Riccardo Rudino, sono stati indagati per associazione a delinquere, resistenza e attentato alla sicurezza pubblica dei trasporti. Il pm Marco Zocco e la Digos ritengono che i portuali avrebbero “strumentalizzato” l’attività politico-sindacale antimilitarista e antifascista anche in altre manifestazioni per compiere reati che vanno dal “getto pericoloso di cose” alle “accensioni ed esplosioni pericolose”. Reati che l’avvocata dei portuali Laura Tartarini definisce “bagatellari”. Altre accuse riguardano la campagna di boicottaggio e i presìdi contro le navi della Bahri. Dell’inchiesta non si è più saputo nulla: ma intanto a Genova il Calp si ritrova isolato.

Il sindaco Marco Bucci non si esprime sul transito d’armi, mentre il presidente della Regione Giovanni Toti è a favore anche dell’esportazione di armi prodotte da aziende italiane. “Nessuno ama armi e guerra ma difendersi è un diritto di tutti e rinunciare a queste aziende sarebbe un danno per migliaia di famiglie“, spiega. Ma a rammaricare il Calp non è il mancato sostegno di istituzioni di centrodestra vicine al mondo dell’industria e dei terminal, e neppure il disinteresse di Cisl e Uil che non vogliono “uno scontro tra i lavoratori del porto e del settore militare”. Il problema è che dopo il presidio del 2019, Cgil e Pd sono scomparsi dalle piazze, se non con partecipazioni a titolo personale insieme a singoli politici di sinistra e del M5S.

D’altronde Genova è la città dell’ex ministra della difesa Roberta Pinotti, del Pd“, taglia corto Riccardo Rudino del Calp. “E la Liguria produce armi. C’è Oto Melara a Spezia, Fincantieri a Riva Trigoso, Leonardo a Genova. Questo crea problemi a livello politico e sindacale“. Una versione confermata in Cgil, dove brucia ancora l’uscita dei portuali del Calp dalla Filt per passare in Usb. Il Pd locale si dice contrario al passaggio di armi nel porto di Genova, “ma partecipare a manifestazioni radicali può essere per noi fonte di imbarazzo, per le polemiche ancora legate all’acquisto degli aerei F35”, riconosce il capogruppo del Pd nel consiglio comunale di Genova, Alessandro Terrile. Il risultato è che a sostenere senza ambiguità il Calp c’è un pubblico ristretto: Usb, Emergency, Amnesty International, Sea watch, Potere al Popolo, sigle con falce e martello, Zerocalcare, il coordinamento Genova Antifascista, il mondo anarchico genovese e le Rete italiana pace e disarmo con associazioni di cattolici, scout, pacifisti e ambientalisti.

Eppure le “navi delle armi” dovrebbero essere un problema di tutti, visto che a Genova attraccano a poche centinaia di metri da depositi di liquidi infiammabili, strade trafficate e schiere di palazzi“, attacca José Nivoi, 36 anni, dirigente sindacale del Coordinamento nazionale porti di Usb. “Ma la questione non è solo di sicurezza. Vogliamo il rispetto della Costituzione, secondo cui l’Italia ripudia la guerra. E se anche le norme fossero rispettate per noi la questione resta etica e politica. I portuali combattono da sempre per la pace e la liberazione dei popoli: noi non vogliamo sporcarci le mani di sangue, e nemmeno essere complici delle guerre con le nostre ore di lavoro“.

da L’Espresso

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