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Pisa: Una nuova base militare con i fondi europei del Pnrr

Nuove strutture militari finanziate con i fondi del Pnrr. Nel parco naturale di San Rossore a Pisa sorgerà una cittadella militare: 440mila metri cubi di nuovi edifici in un’area protetta. Anche la vicina base di Camp Darby sarà ampliata. Per farlo saranno abbattuti 937 alberi, tra i quali 380 lecci, 164 querce e 96 pini. Intanto dall’aeroporto civile della città decollano aerei che trasportano verso l’Ucraina non solo aiuti umanitari ma anche armi.

di Angelo Mastrandrea

Nelle campagne di Coltano, un borgo agricolo di appena 400 abitanti tra Pisa e Livorno, c’è un edificio militare fatiscente che gli abitanti del posto chiamano “il radar”. Fino al 2006, infatti, da qui gli statunitensi della vicina base di Camp Darby tenevano sotto controllo i cieli italiani. All’epoca era recintato e circondato da torrette di sorveglianza, filo spinato e telecamere. Poi è stato dismesso.

I militari l’hanno gestito ancora per qualche anno prima di abbandonarlo del tutto, e ora è a malapena protetto da un cancello chiuso con un lucchetto e da una recinzione che sconta l’usura del tempo e l’assenza di manutenzione. Sull’area dove sorge quest’edificio giallo sbiadito sarà costruito il quartier generale del reggimento carabinieri paracadutisti Tuscania e del nucleo cinofili dell’Arma.

Il progetto sulla scrivania di Lorenzo Bani, presidente del Parco regionale toscano di Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli è ben dettagliato. Prevede una pista di atterraggio per gli elicotteri, due poligoni di tiro, caserme, centri di addestramento, laboratori, magazzini, palestre, piscine, uffici, mensa, infermeria, officine, un autolavaggio e 18 villette a schiera. I militari recinteranno 730mila metri quadrati di area protetta all’interno del parco, ci costruiranno 440mila metri cubi di nuovi edifici e lui non potrà opporsi. Il 23 marzo è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale un decreto della presidenza del consiglio composto di un solo articolo che toglie a Bani qualsiasi potere di veto. La nuova base viene destinata ai “centri di eccellenza dell’Arma dei carabinieri, impegnati nell’attività antiterrorismo e nella sicurezza delle rappresentanze diplomatiche a rischio, nonché nella attività delle forze speciali e delle forze per operazioni speciali delle Forze armate”, è definita “opera destinata alla difesa nazionale” e pertanto sottoposta a “procedura semplificata”.

 Vuol dire che può essere costruita in una zona sottoposta a vincoli ambientali senza che sia necessaria l’autorizzazione paesaggistica, per la quale sarebbe stato fondamentale l’assenso del parco.

Il decreto è stato firmato dal presidente del consiglio Mario Draghi e controfirmato dal ministro della difesa Lorenzo Guerini il 14 gennaio. Bani però lo ha scoperto solo due mesi dopo, quando è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. Nessuno si è preoccupato di avvisarlo. Pure alla regione Toscana sostengono di averlo saputo a giochi ormai fatti.

Un anno fa avevano ricevuto il progetto dai vertici dell’Arma e il 4 aprile 2021 lo avevano inviato al parco, chiedendo un “parere” sull’impatto ambientale dell’opera che era poi stato spedito al Comitato misto paritetico stato-regione per la regolamentazione delle servitù militari (Comipar). Quest’ultimo avrebbe poi preso la decisione finale. All’epoca Bani, che è stato assessore all’ambiente e alla cultura quando il comune di Pisa era governato dal Partito democratico (Pd), non era ancora presidente del parco. È stato nominato a giugno 2021 dal presidente della regione Toscana, Eugenio Giani, e si è insediato il 9 luglio. I tecnici gli hanno presentato una relazione che lui definisce “devastante” sull’impatto ambientale della cittadella militare che si vuole costruire.

 Secondo gli esperti, il progetto consuma troppo suolo, distrugge una “zona agricola di recupero ambientale” e in più ci sarebbe un rischio concreto di smottamenti in caso di alluvioni. A ottobre “alcuni alti rappresentanti dei carabinieri si sono presentati nel mio ufficio per spiegarmi il progetto e le loro esigenze”. Secondo lui così non era accettabile, perché avrebbe occupato troppo spazio e prevedeva troppo cemento, ma si è detto disposto a “lavorare insieme per migliorarlo, magari recuperando solo il vecchio radar e aggiungendo un po’ di terreni attorno”. Da allora non ha saputo più nulla. “Finché mi sono trovato davanti al fatto compiuto”.

Ambiente violato

Una settimana prima della pubblicazione del decreto, il governo Draghi aveva deciso di aumentare la spesa militare al 2 per cento del pil a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina e le camere avevano votato a larga maggioranza un ordine del giorno a favore.

Nel decreto si legge però che i soldi per la costruzione della cittadella militare di Coltano non arriveranno dai fondi stanziati per la difesa, bensì dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), i fondi stanziati dalla Commissione europea per risollevare l’economia italiana dopo la pandemia. “È uno scempio promosso dall’alto, una colossale speculazione edilizia”, dice l’ex presidente dell’area protetta, l’architetto e urbanista Giovanni Maffei Cardellini, che contesta “la dimensione spropositata dell’opera per quel contesto agricolo”. Il suo successore Bani ha capito che c’è ben poco da fare e chiede al governo di finanziare almeno delle “opere compensative”, come la realizzazione di un parco verde in una vecchia caserma non utilizzata e il restauro di un edificio vicino a una villa medicea per farne un polo dedicato all’agricoltura biologica e al cibo di qualità.

Nel frattempo la vicenda è arrivata in parlamento. Il 7 aprile le deputate Yana Ehm e Simona Suriano, della componente parlamentare di ManifestA, hanno presentato un’interrogazione nella quale contestano al governo la violazione dei vincoli ambientali, chiedono quanti terreni privati saranno espropriati e “se con i fondi del Pnrr si finanzieranno altre strutture militari in Italia”.

Il giorno dopo Legambiente ha denunciato “il sacrificio di una vasta area che da oltre quarant’anni è protetta dalla regione e dallo stato, che ora la sacrifica a esigenze militari”. Il decreto non specifica quanto costerà la costruzione della cittadella militare, ma chi ha studiato il progetto stima alcune centinaia di milioni di euro.

“Siamo al paradosso che le risorse destinate alla transizione ecologica saranno investite per cementificare una riserva naturale e riempirla di attrezzature belliche”, dice Ciccio Auletta, consigliere comunale pisano della lista di sinistra Una città in comune, oggi all’opposizione.

Palestra

Bani si dichiara contrario al riarmo e si ritrova a gestire l’area protetta più militarizzata d’Italia. Il parco di San Rossore ospita già due poligoni di tiro, la sede del Centro interforze studi per le applicazioni militari (Cisam), il centro di addestramento degli incursori del reggimento d’assalto Col Moschin e da meno di due anni pure il Comando delle forze speciali dell’esercito (Comfose), inaugurato il 12 giugno 2020 dal ministro Guerini e costato 42 milioni di euro.

All’inizio di gennaio nella vicina base di Camp Darby sono entrati nel vivo i lavori per collegare, con una linea ferroviaria, il più grande deposito di armi statunitensi in Italia al porto di Livorno ed evitare i trasporti notturni su tir lungo la via Aurelia, che in tali occasioni viene chiusa al traffico.

Sono stati costruiti due chilometri e mezzo di ferrovia, che ora attraversa un bosco dichiarato riserva dell’Unesco nel 2016 e deforestato fino all’altezza della stazione di Tombolo, e un ponte girevole sul canale dei Navicelli che dalla base arriva fino al mare. Si tratta di una struttura in metallo che si aprirà al passaggio delle imbarcazioni dirette a Camp Darby.

La ferrovia invece scorre protetta da una recinzione antideflagrazione e dal filo spinato. Stando alle dichiarazioni dei vertici militari, ci passeranno sei convogli di armi all’anno, ma potranno attraversarla anche due treni merci al giorno. È prevista anche la costruzione di un terminal e di un nuovo molo nello scalo marittimo toscano.

Secondo le stime, i lavori costeranno al dipartimento della difesa statunitense tra i 30 e i 45 milioni di dollari. Il governo italiano ha definito ancora una volta l’opera “destinata alla difesa nazionale” e il parco non ha potuto opporsi all’abbattimento di 937 alberi, tra i quali 380 lecci, 164 querce e 96 pini.

“E pensare che gli abitanti della zona negli ultimi anni si sono ribellati sia a un centro per l’identificazione e l’espulsione dei migranti (Cie) che alla costruzione di una centrale a biomasse”, ricorda Bani. Proprio a Coltano, nel 2011 cittadini e politici locali si erano opposti alla nascita del primo Cie per immigrati in Toscana. “Abbiamo condotto una lunga lotta per non farlo costruire, anche la giunta guidata da Marco Filippeschi (Pd) si era schierata contro e alla fine abbiamo vinto”, ricorda Auletta. Una vittoria simile c’era stata nel 2015, quando una società privata voleva costruire una centrale a biomasse utilizzando legna e arbusti del parco; in quel caso l’amministrazione di centrosinistra non era riuscita a convincere gli abitanti della bontà del progetto. In entrambi i casi, si ricordano accese assemblee nella locale Casa del popolo. Adesso i cittadini di questo borgo di campagna e di quelli vicini – tutti appartenenti al comune di Pisa – dovranno accettare sul loro territorio, senza discutere, i centri di addestramento e i poligoni. In paese in molti pensano che l’arrivo dei militari – se ne stimano almeno un migliaio – risolverà i problemi legati allo spopolamento, come la mancanza di servizi e la manutenzione delle strade.

“La verità è che il parco, che doveva offrire un modello di sviluppo alternativo a quello legato alle fabbriche e a un turismo che consumava territorio e risorse, è considerato una palestra militare”, dice Maffei Cardellini. Auletta accusa il sindaco di Pisa Michele Conti, della Lega, di essere stato a conoscenza dei piani militari e di averli tenuti nascosti per evitare le proteste. “Pensano che i lavori portino un beneficio all’economia locale, ma i cittadini non hanno bisogno di un’ulteriore militarizzazione”, dice. Fonti molto vicine alla maggioranza spiegano che in realtà la destra vedrebbe con favore l’espansione militare perché pensa che in questo modo il parco verrebbe risanato. Proprio al di là delle recinzioni di Camp Darby c’è un campo rom che ora potrebbe essere sgomberato

“Stanno approfittando della guerra in Ucraina per accelerare i lavori e scavalcare qualsiasi opposizione”, sostiene Bani. L’idea è che le forze militari statunitensi e quelle italiane si integrino sempre di più. Il Comando delle forze speciali, con un centro per l’addestramento alla guerra “non convenzionale”, si trova già all’interno di Camp Darby, i reparti scelti dei carabinieri sono stati impegnati con i soldati statunitensi in tutte le missioni italiane all’estero, dall’Afghanistan al Kosovo, e quest’area diventerà il più importante snodo logistico-militare d’Europa, al servizio della Nato – che in Italia conta 120 strutture – e della futura difesa europea.

Verso il mar Nero

Camp Darby è sempre più una base mista italo-americana. Da trent’anni è una piattaforma per gli interventi militari in Africa e Medio Oriente, e per le esercitazioni nel Mediterraneo e nel mar Nero. Da qui sono partite le armi per la prima e la seconda guerra in Iraq, per il Libano e per lo Yemen.

E secondo alcune ricostruzioni i movimenti delle navi statunitensi che trasportavano armi provenienti dal Golfo potrebbero aver avuto un ruolo nell’incidente che portò all’affondamento del traghetto Moby Prince, la notte del 10 aprile 1991 nel porto di Livorno. Lo scontro con una petroliera dell’Agip provocò il più grave disastro in mare dal dopoguerra: delle 141 persone a bordo, se ne salvò soltanto una.

I viaggi delle armi dal porto di Livorno sono proseguiti senza sosta fino a oggi. Il 20 giugno del 2021 è attraccata la Liberty Pride, una nave cargo privata statunitense utilizzata dal dipartimento della difesa per trasportare carri armati, blindati, elicotteri ed equipaggiamenti militari. Secondo i portuali livornesi legati alla Cgil e i vigili del fuoco vicini al sindacato di base Usb che hanno sollevato il caso, la nave ha fatto scalo in Toscana per caricare le armi da Camp Darby e poi proseguire verso il porto romeno di Costanza, sul mar Nero. Da qui si sarebbe poi spostata a Odessa, in Ucraina, per partecipare a un’esercitazione militare della Nato chiamata Sea breeze (brezza marina). “Camp Darby si conferma come il più grande polo di stoccaggio e smistamento di materiale bellico di tutta Europa”, hanno scritto in una nota il segretario regionale della Cgil Maurizio Brotini e Patrizia Villa, della Cgil di Livorno.

Da quando è scoppiata la guerra in Ucraina, il 24 febbraio 2022, i trasporti di armi si sono spostati verso l’aeroporto di Pisa, dove dall’inizio di marzo gli aerei cargo vengono riempiti di armi e munizioni destinate all’esercito ucraino. Un’attività che coinvolge il settore militare dello scalo e si è estesa al confinante scalo civile. Alle 2,19 della mattina del 12 marzo, su una pista del principale scalo toscano è atterrato un Boeing 737 cargo della compagnia islandese Blue Nordic. Il volo, classificato con il numero BBD312, proveniva da Colonia e doveva ripartire lo stesso giorno con un carico. Aveva una “esenzione dai controlli di sicurezza di merce in partenza”: l’autorizzazione all’“imbarco diretto” era stata concessa dall’Ente nazionale per l’aviazione civile (Enac) sulla base di una richiesta presentata il giorno prima da Toscana aeroporti, l’ente che gestisce lo scalo pisano, perché l’aereo avrebbe dovuto trasportare un “carico umanitario”.

La Direzione aeroportuale toscana aveva motivato l’inusuale deroga ai normali controlli argomentando che “l’unico mittente” era il ministero della difesa italiano e che la merce sarebbe stata “immediatamente imbarcata o in alternativa custodita all’interno dell’area critica, dunque protetta da interferenze illecite al momento della partenza”. La polizia di frontiera e la Guardia di finanza erano state avvertite, così i lavoratori hanno cominciato a caricare gli scatoloni di cibo e medicinali destinati alla popolazione civile ucraina senza che nessuno arrivasse a verificarne il contenuto.

Alcuni dipendenti si sono però accorti che, tra i pacchi di aiuti, c’erano delle casse di metallo con delle etichette arancioni e il codice 1.4, che indica la presenza di materiale esplosivo.

“Abbiamo fatto dei corsi sul trasporto di merci pericolose e sappiamo riconoscerle”, dice un lavoratore che preferisce rimanere anonimo. Quando si è accorto di quello che aveva di fronte, stentava a crederci. “Non mi era mai capitata una cosa del genere, ci hanno sempre insegnato che a Pisa non si possono caricare materiali esplosivi o radioattivi”, spiega.

Codice esplosivo

I facchini hanno segnalato il caso all’Unione sindacale di base (Usb) e alcuni di loro si sono rifiutati di caricare le casse. Il sindacato ha subito chiesto ai vertici dell’aeroporto di bloccare la spedizione. “Com’è possibile che una struttura del ministero della difesa chieda a dei lavoratori ignari del carico da maneggiare e senza alcuna competenza in tema di spostamento di armi ed esplosivi di effettuare tale operazione? Quali sono i rischi che stanno correndo il personale dell’aeroporto civile Galilei, i viaggiatori e gli abitanti di Pisa a causa di questo traffico clandestino di armi e di esplosivi?”, ha scritto in una nota. L’aereo è stato subito fermato. Poi “si è attivata l’Enac” e il volo “è stato sbloccato”, hanno scritto le consigliere del Movimento 5 stelle Irene Galletti e Silvia Noferi in un’interrogazione, nella quale chiedono al presidente della regione Toscana Eugenio Giani se fosse al corrente del traffico di armi.

Le casse sono state caricate a bordo “da altro personale”, ha spiegato il generale Francesco Paolo Figliuolo, comandante del Comando operativo di vertice interforza (Covi) ed ex commissario straordinario per l’emergenza covid, imballate insieme agli aiuti umanitari, e alle 21,32 dello stesso giorno il Boeing 737 della Blue Nordic è ripartito per l’aeroporto di Rzeszów-Jasionka, in Polonia, dove arrivano gli aiuti umanitari e le armi inviate dai paesi della Nato.

Non era il primo volo del genere. Dal primo marzo, quando il parlamento ha approvato l’invio di armi in Ucraina, ogni giorno da Pisa partono un paio di aerei cargo diretti allo scalo polacco, che si trova a un centinaio di chilometri dal confine con l’Ucraina, vicino all’autostrada E40 che porta fino a Kiev. Gli spotter – “osservatori” che controllano partenze e arrivi spiando le piste o seguendo le rotte dei voli attraverso siti come Flightradar24 e Italmiradar – li monitorano 24 ore su 24, segnalando il tipo di velivolo e le rotte. Prima del 12 marzo da Pisa ne erano già partiti 27. Le armi e le munizioni avrebbero dovuto essere caricate nel settore militare dell’aeroporto, mentre da quello civile sarebbero dovuti partire solo gli aiuti umanitari.

Il 16 marzo Figliuolo ha però confermato la partenza delle armi anche dall’aeroporto civile, spiegando che “i materiali erano parte del sostegno militare per l’Ucraina deliberato dal parlamento” e che la compagnia aerea era “abilitata al trasporto di quella tipologia di merci”.

L’ufficio stampa della Nato ha smentito qualsiasi “collaborazione” con la Blue Nordic per inviare aiuti in Polonia. Tra l’altro il proprietario della società islandese, l’imprenditore lituano Gediminas Žiemelis – che la controlla al 100 per cento attraverso il gruppo cipriota Avia di cui è a capo – non riscuote molte simpatie nell’Alleanza atlantica. L’uomo d’affari è malvisto dalle autorità militari per i suoi legami con alcuni oligarchi russi sanzionati dall’Unione europea. Uno di questi è Sergei Čhemezov, amministratore delegato della compagnia statale della difesa Rostoc, ex agente del Kgb e vecchio amico di Vladimir Putin, al quale il 15 marzo 2022 è stato sequestrato uno yacht da 140 milioni di dollari a Barcellona. Nel marzo 2021 le autorità lituane gli hanno negato il permesso di costruire un terminal nell’aeroporto militare di Zokniai, in Lituania, un vecchio scalo dell’epoca sovietica oggi usato dalla Nato.

Figliuolo non ha specificato cosa contenessero i pacchi con il materiale etichettato come “esplosivo”. Non avrebbe potuto farlo, perché la lista del materiale bellico e degli “equipaggiamenti per la protezione individuale e della popolazione civile” da consegnare all’esercito ucraino, messa a punto dai ministeri della difesa, dell’economia e degli esteri, è stata secretata insieme al decreto della presidenza del consiglio che disponeva l’invio. Dalla “notificazione” trasmessa in busta chiusa al comandante, e che l’Essenziale ha potuto visionare. si viene però a sapere che si trattava di 66 casse di metallo con armi di piccolo calibro e altre due di cartone rigido piene di proiettili, dal peso totale di 635 chilogrammi, provenienti da un deposito dell’esercito italiano a Bibbona, in provincia di Livorno.

Figliuolo ha poi aggiunto che “l’attività è stata condotta presso una piazzola di parcheggio civile del Galilei anziché, come avviene usualmente, nei parcheggi aeroportuali militari, per l’eccezionale e contemporanea attività di trasporto richiesta dalla situazione in atto”. Fonti aeroportuali confermano che, in contemporanea, quel giorno nell’area militare si stava caricando un aereo cargo Antonov ucraino, con il numero UR-82029, partito all’alba del 13 marzo.

Il presidente di Toscana Aeroporti, Marco Carrai, si è scusato e ha garantito che un errore del genere “non accadrà più”. “La gestione dei voli in questione fa capo direttamente al ministero della difesa” e “la società di gestione e le sue controllate non hanno avuto alcun ruolo”, ha risposto alla regione che gliene aveva chiesto conto.

L’Usb sospetta che non si sia trattato di un caso isolato e neppure di una leggerezza, e che dall’inizio della guerra i militari possano aver utilizzato più di una volta l’aeroporto civile per le spedizioni di armi. I lavoratori dello scalo interpellati sostengono che, dopo il 12 marzo, non hanno più visto carichi sospetti

da L’Essenziale

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