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Paraguay: Repressione e criminalizzazione delle lotte contadine

La lotta per la terra è espressione di un conflitto sociale basato sulla disuguaglianza: di recente è stata promulgata in Paraguay la “legge di criminalizzazione” per colpire le lotte contadine ad uso e consumo degli interessi dell’agribusiness.
di Abel Irala

Storicamente il mondo contadino è stato emarginato nella sua condizione di soggetto politico e sociale da parte di coloro che dirigono lo Stato paraguaiano.
La grande massa contadina ha dovuto usare varie forme di proteste sociali per far sentire le sue rivendicazioni e richieste, a volte ascoltate e dimenticate, a volte con qualche incidenza all’interno della struttura statale. In quest’ultimo caso questo è stato generalmente il risultato dell’organizzazione e della mobilitazione contadina in corso da più di un secolo nel paese. Per esempio, nel 1926 fu creato l’Instituto de Tierras y Colonias per rispondere ai problemi dei contadini in seguito alle proteste di questo settore (Morínigo, 2005), ci sono poi state, dopo la guerra del Chaco, la creazione di colonie contadine e la stesura dello statuto agrario, nati come contributi alle politiche agrarie dello Stato paraguaiano.
La lotta per la terra non è qualcosa di nuovo in Paraguay, è l’espressione di un conflitto sociale basato sulla disuguaglianza, sull’esclusione e la violenza contro le comunità contadine e indigene. La lotta per la terra significa anche la resistenza, il potere e l’organizzazione delle comunità rurali impoverite del Paraguay, atte a influenzare le politiche statali, a disegnare piani produttivi e sociali che possano fornire migliori condizioni di vita alla popolazione paraguaiana. La lotta per la terra non può essere ridotta a una “azione bellicosa” di “invasione della proprietà”, come sottolineano costantemente alcuni settori del potere economico con rappresentanza parlamentare, che usano incarichi pubblici per difendere interessi particolari e da lì assicurarsi privilegi.

I dati ufficiali degli ultimi due censimenti agricoli in Paraguay indicano che, nel 1991, il 77% della superficie totale di terra produttiva era concentrata nelle mani dell’1% di proprietari terrieri. Tale concentrazione di terre e ricchezze è rimasta invariata nel successivo censimento del 2008. Il 2,6% della popolazione possiede l’85% delle terre, generando così un’estrema disuguaglianza fondiaria.1 L’alta concentrazione di terra nelle mani di pochi perpetua ed esacerba i modelli di disuguaglianza e povertà nel paese (Sepúlveda, 2013). Quindi, proteggere e mantenere l’attuale struttura agraria significa annullare le possibilità di sviluppo sociale, culturale ed economico del paese.

Quando le leggi vengono convertite esclusivamente in meccanismi punitivi per frenare le lotte contadine, ciò che si vuole ottenere è che questa struttura di disuguaglianza rimanga intatta, a beneficio di poche famiglie paraguaiane legate all’agribusiness e alle grandi imprese internazionali. Questa situazione si verifica nonostante le disposizioni della Costituzione Nazionale (art. 114), che situa la riforma agraria tra i fattori fondamentali per raggiungere il benessere rurale, che consiste nell’effettiva incorporazione della popolazione contadina nello sviluppo economico e sociale del paese (Sepúlveda, 2013). Le proposte legislative dovrebbero promuovere il superamento dei problemi legati alla terra e non criminalizzarli.

Il 24 agosto 2021, i senatori del Partido Colorados (il partito che ha sostenuto la dittatura Stroessner tra il 1954 e il 1989) e Patria Querida (che rappresenta anche gli interessi dell’agribusiness nel paese) hanno presentato un disegno di legge per modificare un articolo ( il 142) del Codice Penale. Il disegno di legge è stato discusso e fatto passare con una velocità istituzionale raramente vista prima; in meno di un mese è stato approvato dal Senato e il 30 settembre, dopo essere passato alla Camera dei Deputati, è stato promulgato dal Presidente della Repubblica, aumentando così le pene per le occupazioni di terra fino a 10 anni di carcere.

A differenza di altre iniziative legislative, la nuova “legge di criminalizzazione”, come l’hanno battezzata i movimenti sociali, è stata approvata a tempo di record, con le forze politiche conservatrici che hanno serrato i ranghi per rendere possibile la sua promulgazione, per rendere chiaro – ancora una volta – che la legge è solo uno strumento di garanzia per gli interessi di un gruppo selezionato e ridotto, ben lontano dalla proposizione aristotelica secondo cui la legge dovrebbe cercare il bene comune, al di sopra del bene privato. Le voci delle organizzazioni sociali non sono state ascoltate, né le loro argomentazioni sono state prese in considerazione, e non c’è stata nemmeno la possibilità di un’audizione pubblica per discutere la questione con i settori chiave.

Le organizzazioni popolari appartenenti all’Unidad de Acción Social (Unità di Azione Sociale) hanno indicato che la democrazia e lo stato sociale di diritto sono a rischio, affermando che “… in risposta alle grandi disuguaglianze e ingiustizie nella distribuzione della terra in Paraguay, la destra propone di imprigionare i poveri senza terra e le comunità indigene che pretendono di rioccupare i loro territori ancestrali”.2 Sono state categoriche nell’affermare che questa legge serve a proteggere le terre ottenute disonestamente,3 non la proprietà privata.

Le organizzazioni contadine e indigene hanno dimostrato la loro disapprovazione con mobilitazioni in diverse parti del paese e con un’importante manifestazione nella capitale, con un aumento della loro capacità di azione collettiva e d’uso di spazi pubblici per le proteste. Il governo ha risposto con la repressione, con il conseguente ferimento di almeno nove indigeni e con una campagna mediatica per stigmatizzare i manifestanti. Nonostante ciò, l’ONAI (Organización Nacional de Aborígenes Independientes) ha dichiarato che i popoli indigeni, stanchi delle violazioni dei loro diritti, della loro cultura e della loro dignità, continueranno a chiedere giustizia: “Non importa quanto violino i nostri diritti, quanto ci ignorino; anche se non rispettano le nostre autorità, le nostre terre o i nostri territori, noi continueremo a rimanere fermi e a rivendicare i nostri diritti, con la forza degli spiriti dei nostri antenati che rafforzano e guidano la nostra ricerca permanente di un buon modo di vivere”.

La modifica al codice penale per punire la lotta per la terra e, nello specifico, le occupazioni di terra, arriva in un anno accompagnato da molta violenza nelle zone rurali, violenze contro le comunità contadine e indigene. Solo nel 2021, nel contesto del conflitto per la terra, due contadini sono stati assassinati, ci sono stati sgomberi violenti degli insediamenti contadini, e ci sono state segnalazioni di minacce di morte e attacchi alle case dei leader contadini. Nel caso delle comunità indigene, il 2021 è stato l’anno in cui hanno subito il maggior numero di sgomberi, attacchi e intimidazioni eseguiti dalla polizia e da civili armati, guardie di sicurezza o, come cominciano ad essere chiamati nelle zone rurali, “scagnozzi privati”.

Durante il 2020 – nel quadro della quarantena dichiarata per la pandemia – più di 5.000 persone sono state colpite da sfratti e repressioni nel contesto della lotta per la terra. Le operazioni di sgombero includono la mobilitazione di elicotteri, autoidranti, ambulanze e un gran numero di poliziotti che entrano nelle terre occupate dai contadini per distruggere, bruciare fattorie e coltivazioni di sussistenza dato che, nella maggior parte dei casi, le famiglie contadine decidono di abbandonare temporaneamente l’occupazione di fronte allo spiegamento di polizia e procuratori. Gli atti di violenza contro i manifestanti sono direttamente legati alla smobilitazione, alla persecuzione e alla repressione della lotta per l’accesso alla terra.

Questa situazione di violenza contro le comunità indigene e contadine potrebbe aggravarsi ma, quello che è certo, è che con la nuova “legge di criminalizzazione” si apre uno spazio istituzionale affinché il sistema giudiziario paraguaiano possa agire con maggiore impeto nel perseguire le lotte per la terra. Permette alle attiviste e attivisti sociali non solo di essere accusati e arrestati, ma anche di essere condannati da sei a dieci anni di prigione. Questa è la via d’uscita e la risposta punitiva che alcuni potenti settori offrono ai problemi sociali radicati nella struttura agraria del Paraguay e nell’avanzata dell’agribusiness. Le leggi diventano una chiara espressione delle classi dominanti nella protezione dei propri interessi e benefici.

Tuttavia le occupazioni sono state il mezzo trovato da diverse organizzazioni contadine per rendere effettivo il loro diritto alla terra di fronte all’inazione statale (Krestchmer, Irala e Palau, 2019). Conquistare la terra e fondare un insediamento contadino significa garantire il lavoro familiare, la riproduzione della cultura, la produzione alimentare per il mercato interno, è il primo passo verso ulteriori progressi nella sovranità alimentare.

da Ecor Network

 

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