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Paesi Baschi: “Lottare è legittimo. Amnistia totale!” Intervista a Sendoa Jurado

InfoAut pubblica la prima di due interviste che ha avuto l’occasione di condurre grazie a dei compagni italiani che vivono e militano in Euskal Herria sull’attualità nei Paesi Baschi e della lotta per l’indipendenza e il socialismo. In questa prima intervista hanno posto alcune domande a Sendoa Jurado, portavoce del Movimento Per l’Amnistia e Contro la Repressione (Amnistiaren Aldeko eta Errepresioaren Aurkako Mugimendua) sul ruolo di questo movimento e sulla situazione dei prigionieri politici baschi. Buona lettura!

Ci spieghi brevemente il tuo percorso di militanza nella sinistra basca?

A 13 anni iniziai ad avvicinarmi ad alcune mobilitazioni dell’Esker Abertzalea. Questo fu il mio primo contatto con la sinistra nazionalista basca, tuttavia non iniziai a militare seriamente se non qualche anno più tardi, soprattutto in ambiti giovanili, inclusi il movimento di occupazione e la Gazte Asanblada (assemblea giovanile), e nonostante mantenessi relazioni anche con qualche altra organizzazione.

Nel 2008 fui arrestato insieme ad altre cinque persone con l’accusa di aver partecipato ad un’azione diretta, nel 2009 a questa imputazione assommarono quella di passare informazioni ad ETA, e per il 2010 l’istruttoria era completamente gonfiata. Alla fine, sommate l’accusa di essere membro di un “gruppo terroristico” e quella di detenere esplosivi, ci chiesero 33 anni di carcere a testa. Infine, la condanna fu di due anni. Durante questo lasso di tempo sono stato membro del Collettivo dei Prigionieri Politici Baschi (Euskal Preso Politikoen Kolektiboa-E.P.P.K.), esperienza che mi è stata molto utile per comprendere il ruolo che gioca la repressione nei confronti dei militanti politici.

Come nasce questo movimento e quali sono le sue caratteristiche?

La nostra organizzazione nasce nella primavera del 2014, due anni dopo la scomparsa di Askatasuna (l’ultima organizzazione che ha difeso l’amnistia) che di fatto fu illegalizzata dall’ Audienza Nazional spagnola. C’erano altre organizzazioni che si occupavano del tema dei perseguitati, ma lo facevano solo da un punto di vista umanitario, e questo non ci sembrò sufficiente.

Crediamo che separare le conseguenze del conflitto (prigione, esilio e deportazione) dalle ragioni che le hanno causate (la lotta contro l’oppressione degli stati spagnolo e francese) sia il modo migliore per perpetrare il problema e rafforzare l’oppressione, poichè riteniamo che in questo modo, invece di tagliare le mani di colui che agita lo scudiscio, si curino le ferite prodotte dalla frusta.

La nostra organizzazione è socialista e indipendentista, decidiamo la nostra linea politica e di intervento attraverso un regime assembleare. Il nostro lavoro è completamente volontario e per questo non percepiamo remunerazioni. Siamo lavoratori che dedicano il loro tempo libero alla militanza.

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Qual’è il significato per voi dell’amnistia?

Facciamo nostra la definizione storica dell’amnistia fatta dal Movimento di Liberazione Nazionale Basco (Euskal Nazio Askapenerako Mugimendua-E.N.A.M.): libertà per tutti i militanti politici e superamento delle cause che li hanno spinti a lottare, ovvero la fine dell’oppressione che subiscono la nostra nazione e la sua classe lavoratrice. La fine dell’oppressione sarà la garanzia che le carceri non torneranno nuovamente a riempirsi di militanti, come accadde dopo la falsa amnistia del 1977 che dopotutto favori il franchismo, poichè fu una “legge del punto finale”.

Ad un anno da questa menzionata e cosidetta amnistia del 1977 duecento prigionieri politici baschi erano nuovamente in carcere, e Fran Aldaondo, l’ultimo prigioniero politico basco uscito dal carcere, fu ucciso in un agguato della Guardia Civil. Questo accadde sia perchè non fu data risoluzione al problema di fondo e sia perchè il paese non vedeva altra via di uscita che non fosse la lotta. Vogliamo evitare le false risoluzioni, la risoluzione verrà dal superamento dell’oppressione nazionale e di classe che subiamo.

Ci spieghi qual’è la vostra linea politica e quali sono i vostri obbiettivi?

Lo stato francese e quello spagnolo cercano la despoliticizzazione del conflitto, negando ai perseguitati il riconoscimento del loro status politico. Vogliono convertirlo in un problema di natura terroristica, allo scopo di evitare una via di uscita di carattere politico. Fatto questo, preparano il cammino repressivo con l’intenzione di mantenere il medesimo status quo. Il capitalismo ha bisogno della dissoluzione delle nazioni per poter uniformare il mercato economico, e perpetra lo sfruttamento della classe lavoratrice per continuare a vivere grazie al suo sangue e al suo sudore.

Recentemente abbiamo deciso che focalizzeremo la rivendicazione dell’amnistia sul tema della lotta. Nell’ultimo decennio il Paese Basco ha vissuto un processo di desmobilitazione e questo ci sembra il miglior contributo che possiamo dare alla lotta per la liberazione. “Lottare è legittimo. Amnistia totale!” (“Borroka egitea zilegi da. Amnistia osoa”) sarà la parola d’ordine che utilizzeremo da qui in avanti. Nel cammino per ottenere la libertà vogliamo aiutare a promuovere il paese che combatte.

Come intervenite nella società basca?

Da un lato abbiamo una nostra dinamica peculiare. Portiamo a termine mobilitazioni, dibattiti pubblici e dinamiche di coscientizzazione. Oltre a promuovere un discorso sull’amnistia, denunciamo i casi di repressione che avvengono in Euskal Herria e, come dicevamo poco fa, difendiamo la legittimità della militanza politica e della lotta.

Non possiamo non menzionare un importante impegno che abbiamo preso sin dall’inizio: nessun prigioniero politico rimarrà senza sostegno per aver mantenuto una posizione dignitosa. Ci occupiamo del sostegno umano e politico ai 6 prigionieri che, essendo in disaccordo con la lettura politica del Collettivo dei Prigionieri Politici Baschi, sono usciti dall’EPPK (Euskal Preso Politikoen Kolektiboa).

Dall’altro lato, manteniamo contatti con altre soggettività del movimento popolare, e di recente abbiamo fatto una scommessa per investire nel rafforzamento di queste relazioni. Di conseguenza, nei prossimi mesi vogliamo consolidare questi rapporti nel rispetto dei reciproci ambiti e della reciproca indipendenza.

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Come è cambiata negli ultimi trent’anni la società basca e quali sono per voi le prospettive di attualizzazione della causa indipendentista e socialista?

È completamente cambiata. È sceso il livello di mobilitazione e il movimento popolare si è indebolito. Non è stato qualcosa di casuale, poichè gli stati francese e spagnolo hanno investito molto denaro e messo in marcia moltissimi dispositivi per poter assimilare il Paese Basco attraverso la disinformazione e la repressione.

A questo si dovrebbe aggiungere il ruolo dei mediatori internazionali che sono venuti a realizzare il “processo di pacificazione”. In realtà quello che hanno fatto, come in altri paesi del mondo, è stato disattivare la lotta. L’unica cosa che hanno chiesto agli oppressori è stata quella di avere delle modalità repressive “più umane”. Questi stessi chiamano pace il non rispondere alla repressione, e questo significa legittimare e rinforzare la violenza strutturale.

Per quanto riguarda il Movimento di Liberazione Nazionale Basco (E.N.A.M.-Euskal Nazio Askapenerako Mugimendua) si è mosso in un processo di dissoluzione per covertirsi alla socialdemocrazia nel 2009. Al posto di destabilizzare le strutture degli stati, vi ci si sono introdotti negando il confronto e facilitando l’assimilazione del Paese Basco.

Nonostante tutto questo, negli ultimi anni in Euskal Herria sono nate nuove espressioni di lotta. Anche se le forze sono ancora divise, si sta aprendo il cammino necessario per praticare la lotta. Il nostro non è ancora un paese assimilato. Versiamo in una grave situazione, ma credo che ci siano ancora alcuni elementi per cui essere fiduciosi. Una pluridecennale volontà di lottare non può estinguersi da un giorno all’altro, e sono sicuro che la semina di un tempo darà i suoi frutti.

Come sono cambiati negli ultimi anni i dispositivi di attacco al movimento basco dello stato spagnolo non solo dal punto di vista della repressione, ma anche da quello della costruzione del discorso di criminalizzazione e emergenza politica?

Non possiamo dimenticare che le aggressioni non provengono solo da parte dallo stato spagnolo. Anche lo stato francese ci opprime allargando la divisione nel paese. In ogni caso, la repressione si conforma sempre alla situazione in relazione al livello di resistenza che incontra, fermo restando che di fronte ad una maggiore resistenza anche la repressione si farà maggiore. Gli stati lasciano sempre una via di uscita, e questa via di uscita è la resa. Con l’intenzione di promuovere questa capitolazione adeguano il livello repressivo.

D’altra parte stiamo vedendo come la repressione stia interessando settori sempre più ampi. L’intensità è minore, ma più diffusa. L’obbiettivo è quello di bruciare anche l’ultimo seme di resistenza, ma in Euskal Herria abbiamo costruito un enorme semenzaio nel corso degli anni. Non gli sarà facile.

In questo momento sono impegnati nel mistificare il passato con l’intenzione di condizionare il futuro. Ed è per questo che vogliono vietare gli “ongietorriak” (celebrazioni di benvenuto) che il paese organizza per i prigionieri politici quando vengono scarcerati. Il pretesto è quello di essere offensive per la memoria delle vittime, ma ciò che c’è dietro è la volontà di presentare i militanti politici come terroristi. Queste celebrazioni mettono a gambe all’aria questo teorema, perché servono ad evidenziare la natura politica del conflitto.

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Ci spieghi quali sono attualmente le condizioni dei prigionieri politici baschi?

Continuano ad essere gravi. Il ricatto contro i prigionieri politici infermi non si è fermato improvvisamente e si vuole spingerli a scegliere tra pentirsi o morire. La Dispersione prosegue ed alcuni prigionieri politici vengono mantenuti a più di mille chilometri di distanza da casa. Alcuni di loro continuano ad essere detenuti in regime di isolamento.

In Francia sí è stato concesso ai prigionieri un avvicinamento generalizzato, ma non lo hanno concesso alle prigioniere, mantenendole detenute in Bretagna o nei dintorni di Parigi. Questo è quello che lo stato francese ha concesso in cambio della consegna delle armi da parte di ETA. Proprio qui la Procura si sta invece dimostrando sfavorevole alla concessione della libertà condizionale per i prigionieri politici con una condanna di lunga durata, sebbene alcuni di loro siano in carcere da quasi 30 anni. Negli ultimi anni il tribunale di Parigi ha imposto anche parecchi ergastoli.

Tornando in Spagna, circa 100 prigionieri politici devono ancora scontare lunghe pene detentive, che in alcuni casi raggiungono i 40 anni. Nel loro caso, l’intenzione dello stato spagnolo è quella di far scontare la condanna nella sua interezza, e ad alcuni rimane da scontare la parte più consistente della pena.

Di fronte a questo non ci passa per la testa di accettare questa situazione, e continueremo a chiamare alla lotta, fino ad ottenere un Paese Basco senza prigionieri politici, indipendente e socialista, fino a concretizzare l’amnistia.

da InfoAut

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