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Omicidio Cucchi: Ma dov’è scritto che rifiutava cure e colloqui?

Meno convincente di Giovanardi quando riferiva alle camere e alla tv che Federico Aldrovandi era un eroinomane. Il guardasigilli Alfano tira fuori in Senato il suo asso dalla manica sul caso Cucchi e il pubblico lo può osservare poco dopo su un sito di casa Berlusconi (panorama.it). Si tratta del modulo che avrebbe firmato Stefano al repartino del Pertini per negare ogni informazione ai familiari. Il condizionale è d’obbligo in ogni passaggio di questa vicenda così poco lineare da spingere la commissione parlamentare d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale ad aprire un’indagine sull’appropriatezza e sulla qualità delle cure somministrate al detenuto per possesso di marijuana e ricoverato nel padiglione penitenziario del Pertini di Roma dove è morto quattro giorni dopo, all’alba del 22 ottobre. Spiega il presidente Ignazio Marino che l’obiettivo dell’inchiesta è di capire se ci siano stati errori e omissioni da parte dei sanitari che, fino a ieri, avevano fatto trapelare che avrebbero tanto voluto incontrare i genitori di Cucchi ma che nessuno gli fece sapere che madre, padre e sorella facevano anticamera da giorni per sentirsi dire sempre la stessa bugia dalla polizia penitenziaria: serve un permesso del magistrato per incontrare i dottori. Il permesso serve solo per un colloquio col detenuto. Intanto il ragazzo crepa da solo e i medici fanno trapelare che stavano scrivendo al magistrato per esprimere il loro disagio e quanto sarebbe stato necessario confrontarsi con la famiglia. Ma quella lettera, se mai fu scritta, non fu mai spedita. Mo’ arriva il modulo firmato da Cucchi di cui nessuno sapeva nulla. Spunta dieci giorni dopo che il caso riempie le cronache. E ai familiari – che chiedono una perizia sulla firma – appare autentico come una banconota da undici euro. Intanto le prime carte sequestrate dai Nas al Pertini per conto di Marino,rivelano che Stefano aveva uno strano modo di rifiutare le cure. Infatti si sarebbe fatto prelevare il sangue ma non avrebbe fornito il consenso per robe meno invasive come le lastre e l’ecografia. Peccato che proprio quegli esami avrebbero dato conto dell’entità delle sue fratture e del sangue allo stomaco. «Assurdo pensare che in quelle condizioni Stefano abbia firmato un documento del genere. Anche se fosse vero sarebbe servita una perizia psichiatrica», reagisce l’avvocato della famiglia, Fabio Anselmo . E neppure è vero che Stefano non avrebbe cercato di contattare la famiglia. Il giorno prima di morire vide una volontaria e la pregò di contattare sua sorella. Voleva parlare con suo cognato, desiderava una bibbia, si preoccupava che la sua cagnolina stesse bene finché lui sarebbe uscito. Non cozza con tutte le versioni ufficiali di questa storia? Le undici domande di Liberazione , pubblicate domenica e martedì, si arricchiscono di nuovi interrogativi: a che ora fu arrestato, alle 22 o alle 23.30? Perché alle 15.45 del venerdì, 18 ore dopo l’arresto, ha dei lividi sotto gli occhi e strisciate rosse dallo zigomo alla mascella fino dietro la nuca? Perché al pronto soccorso, per due volte, ebbe il codice verde, il colore delle non urgenze? Perché a Regina Coeli non ci sarebbe stato il tempo per una visita psicologica ma poi ci sarebbero volute quattro ore per raggiungere il Fatebenefratelli a meno di due chilometri?«Le forze dell’ordine devono dire la verità e smetterla di comportarsi come una tribù – dice il segretario di Rifondazione Comunista, Paolo Ferrero , davanti a Palazzo Madama coi Giovani comunisti, mentre Alfano riferisce in Aula – forse i medici non hanno fatto al meglio il loro dovere ma il tema è più ampio: il governo infatti sta eliminando, categoria dopo categoria, i diritti delle persone, dai tossicodipendenti ai clandestini. Prima viene il diritto alla libertà, poi tutti gli altri».
fonte:Liberazione

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