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Omicidio Cucchi: gli strani errori nel verbale dei carabinieri

Dubbi e ancora dubbi. Più si scovano carte e voci più i dubbi sulla versione ufficiale della vicenda di Stefano Cucchi si fanno importanti. L’ultima notizia è relativa alle pressioni sul medico che lo visitò a Regina Coeli non appena arrivò dal tribunale. Questo dottore constatò che il trentunenne romano, arrestato solo tredici-quattordici ore prima, era in fin di vita e protestò per il ritardo con cui venne trasferito al Fatebenefratelli. Ci vollero tre ore per oltrepassare il ponte che separa il lungotevere dall’isola Tiberina, un paio di chilometri. E dire che, a causa dell’urgenza del ricovero, la direzione di Regina Coeli disse che non era stato possibile sottoporre Cucchi a una visita psicologica. Ora, grazie alle risultanze della commissione parlamentare che indaga sul servizio sanitario nazionale, pare che il medico sia stato oggetto di pressioni per autosospendersi. Ancora più inquietante il dettaglio fornito da Ignazio Marino, capo di quella commissione: quando venne convocato al Senato da Regina Coeli avrebbero risposto che era irreperibile, fuori dal Paese, forse in viaggio di nozze. Il camice bianco in questione è stato sentito già dai pm che si occupano della vicenda ma, all’uscita dal tribunale non ha rilasciato dichiarazioni. Dunque il dubbio è legittimo.
Secondo: una serie di siti, da Antigone a Ristretti.it fino alle pagine web dei radicali, hanno messo in rete le 348 pagine della relazione finale dell’indagine interna del Dap, il dibattimento dell’amministrazione penitenziaria. Spulciando meglio le carte dell’inchiesta amministrativa saltano agli occhi gli errori clamorosi contenuti nel verbale di arresto. Il primo sbaglio è relativo alla data di nascita e al luogo: si legge che Cucchi sia nato in Albania il 24 ottobre del 75, ossia sei anni prima di quanto sia nella realtà. Ed è nato a Roma. Poi si scopre che sarebbe «sfd», senza fissa dimora come l’indomani avrebbe scritto anche la giudice che gli ha negato i domiciliari senza accorgersi dei segni delle percosse sul viso. A dire il vero non se ne rese conto il legale d’ufficio. Solo al padre fu evidente che il figlio – quando poté abbracciarlo per l’ultima volta nell’aula di Piazzale Clodio – era stato gonfiato di botte. E se ne accorsero anche i suoi compagni di viaggio di quella mattina, dalle rispettive camere di sicurezza in caserme dell’Arma fino alle celle dei sotterranei della Città giudiziaria. Hanno testimoniato che Cucchi soffriva come un cane per il trattamento riservatogli dai carabinieri. Il verbale prosegue. E dice che Cucchi fu identificato a mezzo di rilievi fotosegnaletici e accertamenti dattiloscopici. Davvero esiste una foto segnaletica di Cucchi? Quando fu presa? E perché il verbale lo scheda come pregiudicato quando la sua famiglia lo nega decisamente?
Solo il nome corrisponde: si chiamava Cucchi Stefano. L’ora segnata dai carabinieri, le 15.20, neanche quella corrisponde. E perché il ragazzo che fu fermato con lui ricorda cinque uomini, tre in divisa e due in borghese, ma nel verbale ci sono solo quattro firme a dare atto di aver proceduto all’arresto?
Poi il verbale sembra prendere una piega più corrispondente al vero: «In data odierna, alle 23.35, mentre espletavamo servizio di pattuglia automontata per le vie della giurisdizione per prevenire e reprimere reati di spaccio di stupefacenti, nei pressi della chiesa di S.Policarpo, adiacenze via Lemonia, notavamo un giovane intento a cedere involucri di cellophane trasparenti in maniera furtiva ricevendo in cambio una banconota». Un racconto che, pare, non sarebbe stato confermato da chi fu fermato assieme a Cucchi. I due sarebbero stati fermati mentre erano sulle rispettive auto, affiancate. Ma è un dettaglio decisamente meno interessante di un altro. Dopo l’arresto, infatti, si scrive che «il detenuto interpellato» dichiarava «di non voler nominare difensore di fiducia».
Bugia: il teste ha sentito almeno tre volte pronunciare da Stefano il nome del legale di fiducia. Quaranta minuti dopo l’arresto, Cucchi fu accompagnato a casa per la perquisizione. Sua madre chiese se dovesse attivarsi per avvisare un legale. «Stia tranquilla – le rispose uno dei militari – è tutto a posto». Mica tanto perché il verbale recita che «pertanto questo comando nominava un avvocato d’ufficio» e segue un nome ma non è quello che Cucchi trovò al mattino in tribunale. Altra curiosità del verbale d’arresto: «Il pervenuto dichiarava di non dare notizia del proprio arresto ai propri familiari». Una frase che suona strana dal momento che pochi minuti Stefano e i carabinieri tornarono a casa Cucchi per la perquisizione che non avvenne in tutti i locali, come assicura il verbale, ma solo nella cameretta di Stefano e senza alcun risultato.
Però, a un certo punto, spunta finalmente il nome del legale che avrebbe voluto Stefano, che si lasciò morire al Pertini perché gli si impediva di avere contatti con l’esterno. Il nome dell’avvocato compare solo nel verbale di consegna del detenuto alle guardie penitenziarie dopo udienza di convalida. Sono le 13.30 del 16 ottobre. Si domanda Ilaria, sua sorella: «Se è vero che Stefano non l’aveva nominato che ne sapevano i carabinieri?». Ma anche in questo passaggio c’è un errore: quel nome viene segnato come avvocato d’ufficio. Invece Stefano aveva nominato in aula il legale che gli avevano fatto trovare e che non sarebbe mai andato a trovarlo in ospedale. Morirà il 22 ottobre, solo, disidratato e immobilizzato. Per la sua morte, finora, sono indagati tre agenti penitenziari e sei medici. Finora.

Checchino Antonini

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