#NonUnaDiMeno: scenderemo in piazza perché c’è bisogno del femminismo.
- novembre 15, 2016
- in riflessioni
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Il 26 novembre si terrà a Roma la manifestazione nazionale “Non una di meno”, contro la violenza sulle donne.
Ma che cos’è “Non una di meno”?
E’ “un suono, una mobilitazione, un grido collettivo”, il grido di chi vuole far sapere al mondo intero che solo in Italia nel 2016 si sono verificati oltre 60 casi di femminicidio. E noi non possiamo e non vogliamo più rimanere a guardare.
Scendere in piazza, oltre ad essere un nostro diritto, è un nostro preciso dovere, perchè “se toccano una, toccano tutte”. Porteremo i nostri corpi, la nostra voce, la nostra rabbia, porteremo storie di rivoluzionarie, perché in una società fondata sul patriarcato, la nostra autodeterminazione è un atto rivoluzionario.
Scenderemo in piazza perché nel 2016 abbiamo ancora bisogno del femminismo, ora più che mai.
Abbiamo bisogno del femminismo perché una donna di 30 anni si è suicidata dopo essere stata letteralmente lapidata dal web. Per cosa poi? Per aver fatto quello che tutti, nella nostra intimità, facciamo.
Abbiamo bisogno del femminismo perché una ragazzina di 16 anni, dopo esser stata vittima di violenze e abusi per tre anni, si è sentita dire che “se l’è cercata”, mentre dall’altra parte del mondo, in Argentina, una sua coetanea veniva torturata, stuprata e impalata.
Abbiamo bisogno del femminismo perché ancora oggi di obiezione di coscienza si muore. Perché l’aborto non viene tutelato, anzi, se decidiamo di abortire, il più delle volte veniamo viste come delle sporche assassine.
La violenza di genere è un problema che permane in tutte le strutture della società, e la violenza fisica non è altro che una delle tante forme in cui essa si manifesta.
Dal femminicidio, ossia l’uccisione di una donna in quanto tale (perché “fuoriesce” dal ruolo che le è stato imposto, o perché viene considerata come un oggetto di proprietà privata), alla violenza verbale delle donne contro le altre donne (che non fa altro che alimentare l’utilizzo di epiteti profondamente sessisti e maschilisti), per arrivare infine alla violenza di chi, professandosi femminista, vorrebbe confinare gli uomini in fondo al corteo del 26 novembre -come se esistessero spezzoni di serie A e di serie B, proprio in una manifestazione contro le discriminazioni di genere!-
Questo pseudo-“femminismo” non è quello che ci rappresenta, ma è quello che magari accetta anche di buon grado le campagne istituzionali anti-violenza che non fanno altro che riproporre un immagine stereotipata della donna come “angelo del focolare”, con tanto di grembiuli e guanti da cucina impregnati di sangue.
E allora il 26 saremo tutt* a Roma perché va instaurandosi sempre più a fondo questa consapevolezza: essere donna oggi è tremendamente difficile.
Essere donne oggi significa avere paura a camminare da sole per strada la notte e chiamare al telefono qualcuno/a per sentirci più al sicuro, significa passeggiare e sentire sconosciuti fischiarci e rivolgerci apprezzamenti solo perché magari quel giorno abbiamo scelto di indossare una gonna, significa venire chiamate “cagne” e “troie” se vogliamo avere svariati rapporti sessuali, “frigide” se non vogliamo averne.
Essere donne oggi significa essere considerate inferiori nel campo umano e lavorativo, venir pagate di meno, o addirittra non essere assunte perché abbiamo dei figli o intenzione di averne, essere licenziate se rimaniamo incinta, non arrivare a rivestire un ruolo dirigenziale, al contrario del nostro collega uomo che viene considerato “maggiormente incline alla leadership”.
Essere donna oggi significa che secondo ciò che gli altri si aspettano da te dovrai prenderti cura dei figli, cucinare per tuo marito, sbrigare da sola le faccende di casa.
Essere donna significa aver paura di venire stuprata e poi sentirsi dire che è soltanto colpa tua, perché lo hai provocato, perché avevi una scollatura troppo esagerata o una gonna troppo corta. Che stupida, avrai mica pensato di avere la libertà di vestirti come ti pare? Certo che no, se vieni stuprata la colpa è solo tua, che ci facevi in giro da sola a quell’ora di notte? Le signorine per bene rimangono in casa a stirare, si sa.
Adesso ho soltanto 18 anni, ma se un giorno avrò una figlia vorrei che si sentisse libera di andare in giro vestita come meglio crede, senza dover essere colpevolizzata per questo, senza sentirsi gli occhi dei passanti puntati addosso per un paio di calze a rete.
Spero in un mondo diverso, migliore, dove la donna sarà finalmente libera dall’uomo e dalla mentalità maschilista che attanaglia ogni aspetto della nostra vita, ed è anche per costruire questo mondo miglior che il 26 novembre sarò a Roma affianco alle mie sorelle e compagne di lotta, con il pugno chiuso a rivendicare il nostro diritto all’autodeterminazione e a urlare forte che non ci avranno mai come vogliono loro.
Ci volete immobili, ci avrete inarrestabili.
Ci volete schiave, ci avrete libere.
Ci volete sottomesse, ci avrete ribelli.
Ci volete chiuse in casa, ci avrete in piazza a gridare forte tutta la nostra rabbia: Ni Una Menos, Vivas nos queremos!
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