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Nicotera (Vibo Valentia), 11 giugno 1980: Giuseppe Valarioti, militante comunista, ucciso dalla ‘ndrangheta

Il 9 giugno del 1980, nelle terre di Calabria le elezioni comunali, provinciali e regionali sancirono l’affermazione del Pci che, per la prima volta, conquistò più voti del Psi e divenne così il secondo partito nella Regione.

A Rosarno, nella piana di Gioia Tauro, partì un corteo improvvisato che si diresse verso il Rione Case Nuove dove abitavano allora molti contadini che avevano “votato comunista”, ma dove c’erano anche le abitazioni del clan di ‘ndrangheta Pesce.

Giuseppe Valarioti,  professore di 30 anni, esperto di storia ed archeologia, ma, soprattutto, segretario della sezione del Partito Comunista Italiano di Rosarno, l’11 giugno del 1980 era a cena con i compagni, festeggiavano la vittoria alle urne. La campagna elettorale era stata caratterizzata da continue intimidazioni: l’auto bruciata al candidato Pci al consiglio provinciale Giuseppe Lavorato, l’incendio appiccato alla sezione cittadina del partito, minacce nei confronti degli esponenti comunisti. A freddarlo per strada fu, all’uscita dal ristorante La Pergola a Nicotera, una sventagliata di lupara, nessuno ha pagato per la sua morte.

La storia di Valarioti è quella di una delle tante vittime dimenticate di ‘ndrangheta, ma la sua vicenda ci parla anche della genesi dell’antimafia politica e sociale nella Calabria, del primo movimento bracciantile di massa che lottò con i piedi e le mani ancorate alla fertile terra della Piana contro i potentissimi e sanguinari clan Piromalli, Pesce e Bellocco. E di una scelta di campo, essere comunisti in quegli anni e in quelle terre, infatti, significava automaticamente prendere posizione contro le cosche, perché la ’ndrangheta aveva provato a infiltrarsi nelle liste elettorali di tutti i partiti, ma solo il PCI aveva provato effettivamente a fare muro.